Votes taken by JamesR

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    Non scambiò praticamente alcuna parola con Isabel, e tuttavia sembrava che la ragazza gli avesse dato via libera per andare in qualsiasi luogo volesse. Il dolore che continuava a tormentare James si era adesso impossessato della cugina della Mormont; il Roote sapeva cosa stesse passando, e voleva tanto consolarla. Ma, proprio come un tacito accordo, era stato deciso di andare verso la Fortezza Rossa. Forse la Snow non lo stava realizzando, ma il Cavallo dei Fiumi era sicuro che sarebbe stata d’accordo. L’obiettivo era uno solo: portare al sicuro il corpo di Daeva, affinché potesse essere pulito e reso più umano. Più grazioso, più pulito. Per darle almeno una degna sepoltura, degna della donna migliore dei Sette Regni.

    Voleva raggiungere la Sala Grande per un altro motivo: sapeva di trovare qualche persona importante lì. Qualche nobile, qualche guardia come minimo. Forse anche il Re, se si fosse degnato almeno quella volta di vivere intorno ai nobili del Regno, e non rinchiuso insieme a chissà quale consigliere, all’oscuro dal mondo. Arrivare nella Sala Grande serviva per scatenare la rabbia, forse proprio contro i presenti: cosa era successo? Come era possibile che nei nobili fossero stati rapiti dall’interno della Fortezza Rossa? E cosa stavano facendo i soldati, nel frattempo?

    Nessuno diede fastidio al passaggio di quel triste teatrino. Tra donne piangenti, corpi martoriati, uomini torturati e James che trascinava il tutto, quello spettacolo pareva uscito dalla penna del miglior drammaturgo di Westeros. Eppure era dannatamente reale, anche se James ancora non realizzava appieno. Aveva ancora la spada stretta in pugno, per difendersi da eventuali assalti. Era vigile, con gli occhi ben aperti: ogni via, ogni incrocio avrebbe potuto rappresentare una minaccia, un luogo in cui subire un’imboscata. E adesso doveva proteggere tre persone: Daeva, Isabel ed il prete. Già, perché stava mantenendo la promessa fatta a se stesso poco prima: non avrebbe ucciso il prete, non nel breve tempo. Doveva soffrire. James lo avrebbe trasformato in una figura poco simile all’essere umano, per poi esporlo all’intera Approdo. Sarebbe servito come monito, come minaccia per tutti i fanatici restanti. Ormai era diventata una questione vitale per lui; da argomento inutile, a cui prestava attenzione, l’uccisione di tutti i fanatici era diventato il suo obiettivo centrale. Non ne sarebbe rimasto nessuno. O meglio, i più fortunati sarebbero morti sul colpo. Gli altri avrebbero fatto la fine di quel prete, mutilato e torturato per le vie della città. E quello sarebbe stato solo l’inizio. Li avrebbe anche curati, questi fanatici, per non farli morire. Per continuare a farli soffrire fino alla fine dei tempi.

    Si meravigliò di riuscire ad entrare nella Fortezza Rossa, ed in ogni luogo volesse. Si meravigliò che le guardie lo riconoscessero, anche se forse lo guardavano troppo spaventate per poter reagire. O troppo pigre, dato il livello di sicurezza di quel luogo un tempo impenetrabile. Passò attraverso la Fortezza, per raggiungere la Sala Grande. Ma che razza di persona sarebbe stato, se avesse trascinato il corpo della donna amata davanti a tutti? In quelle condizioni terribili, non avrebbe usato il corpo di Daeva per farsi ascoltare dai presenti. Non sarebbe entrato nella Sala facendo leva sull’orrore della vista di quel corpo per far sì che i presenti obbedissero. No, sarebbe bastata la sola vista del Roote, e la furia della sua spada, nel caso.

    - Voi due… Prendete questo carretto e portatelo nelle stanze di Lady Isabel Snow. - disse il Roote rivolgendosi a due guardie trovate per i corridoi - Perdete di vista il corpo, e vi toccherà la stessa sorte di questo prete. Controllate questo carretto fino a quando non tornerò. Se ve ne andrete, lo saprò. E vi ucciderò. Se vi addormenterete, lo saprò. E vi ucciderò. Se non troverò questo corpo al mio ritorno, non ci sarà continente grande abbastanza per separarci. Vi troverò, e vi ucciderò con così tanta furia da farvi mendicare di non essere mai nati. Spero di essere stato chiaro. -

    Non servì altro, oltre all’ordine perentorio che diede ai due. E alle minacce che avrebbe portato a compimento, se non fosse stato rispettato il suo volere. Non seppe cosa voleva fare Isabel: seguirlo, insieme al prete, oppure accompagnare il corpo? Si mosse senza rispondere a questo quesito. Al contrario di Isabel, le sue lacrime si stavano asciugando, nonostante gli occhi fossero ancora insanguinati. Prese la corda che teneva il prete, e continuò a trascinarlo per i corridoio, verso la Sala Grande. Dentro di lui montava una rinnovata rabbia, che rischiava di scatenarsi su chiunque fosse presente. Man mano che si avvicinava, sentiva un vociare sempre più fitto: cosa c’era da discutere, mentre Approdo era sotto attacco da un gruppo di fanatici, e c’era chi blaterava nella sala, invece di combattere?

    Entrò nella stanza con passo calmo, quasi a voler fare in modo che tutti potessero vederlo. Come avrebbero reagito, alla vista di quell’essere mostruoso, ricoperto di sangue dalla testa ai piedi, con gli occhi dello stesso colore del sangue. Con un prete trascinato con una corda, irriconoscibile nella sua forma umana, tanto era stato torturato, e che lasciava una quantità indefinita di sangue per terra. La Sala sembrava abbastanza piena, sia di nobili che di guardie. Guardò negli occhi chiunque fosse vicino, senza tuttavia prestare attenzione ai loro volti. Che fossero amici o nemici, non aveva importanza. Che li conoscesse o meno, tutti loro erano colpevoli di non aver protetto la Fortezza e di non combattere i fanatici. La situazione non sembrava molto distesa, poteva vedere delle armi: forse un coltello, decisamente del sangue. Qualcuno stava litigando, come bambini. Ma non gli importò, tutto era ininfluente di fronte alla situazione di Approdo. E tutti avrebbero seguito James, tutti avrebbero seguito quando avrebbe detto. In caso contrario, avrebbero assaggiato la sua furia.

    - Come infanti… - disse dopo un tempo indefinibile, mentre continuava a passeggiare per raggiungere il centro della Sala, e oltre. La voce era roca, a causa della stanchezza, del suo stato d’animo e dei pianti che lo avevano fatto accasciare a terra - Vorrei tanto sapere di cosa state parlando, nobili signori di Westeros, mentre intorno a voi dei fanatici scorrazzano, rapinano, uccidono, mobilitano le folle. Vorrei tanto sapere, nobilissimi e coraggiosissimi signori, cosa state facendo per difendere la Fortezza, per difendere Approdo. -

    Vide il Frey, il nuovo Lord dei Fiumi. Una smorfia di disappunto si dipinse sul suo volto, di disgusto. Scosse la testa, guardando tutte le guardie ed i vari nobili. Una volta giunto nella parte opposta all’entrata, passando attraverso tutti i presenti nella sala, abbandonò il prete per terra, mentre con l’altra mano teneva ben salda la spada.

    - Quanti prodi cavalieri, qui, che imbracciano le armi pronti a combattere i fanatici. Che prodi, che coraggiosi, che eroi i nostri cavalieri… Avranno preso di sicuro dai loro Lord, così pronti a scendere in battaglia, senza macchia e senza paura. Ma come sono bravi, i nostri Lord. Guardali, mentre si preparano a combattere. Ma… Ma allora perché se ne stanno ancora chiusi in una sala della Fortezza, come ratti, come inetti, come reietti e scarti, mentre i fanatici rapiscono nobili… - il tono della voce si alzava sempre di più, mostrando tutta la furia del Roote parola dopo parola - Perché pensano a parlare tra loro, i prodi signori e cavalieri, mentre i fanatici uccidono nobili? - chiese urlando in modo rabbioso. Voleva spaventarli, tutti quanti.

    - Oh come mi piacerebbe sapere i tanto acuti problemi che state risolvendo, voi ratti, al posto di combattere. Come vorrei far parte della vostra importantissima discussione, che rivela la grandezza delle vostre cariche, mentre come vermi vi nascondete, tremate all’idea di combattere e difendere Approdo. Riesco già quasi a sentire le vostre voci… Qualcuno di voi avrà detto che questa non è casa sua. Qualcuno avrà detto che questa non è la sua battaglia. Qualcuno di voi supporterà perfino i fanatici. Tutto questo perché siete solo dei vermi, inetti, inadatti. Dei parassiti. Non sapreste neanche impugnare la spada in una battaglia. Figuriamoci combattere. E che bravi, i nostri coraggiosi e valorosi signori; ma che bravi, i nostri applauditi cavalieri, mentre abbandonano la battaglia impauriti. E se Daeva Mormont è morta, è merito vostro. Di tutti voi. -

    Cercò di ricacciare indietro le lacrime, anche se le sentiva vicino. Provò a tramutare quella profonda tristezza, quel vuoto sentito subito dopo aver pronunciato le parole, in rabbia. E si avvicinò a chiunque fosse vicino a lui. Squadrava ognuno dall’altro al basso, a partire dal Frey. Poteva sentire il loro respiro, mentre passava davanti al loro volto.

    - Frey, oh altissimo Frey… Tu cosa facevi, mentre Daeva veniva massacrata? E tu, cavaliere, quale armatura ti stavi mettendo, quando i nobili che dovresti proteggere venivano rapiti? Oh prode guardia, tu eri impegnato a pulire la tua spada dal sangue, mentre mi aiutavi ad uccidere decine di esaltati, non è vero? -

    Indicò il prete con la spada.

    - Ecco a voi uno di loro, un fanatico, una loro guida. Sicuramente grazie a voi è stato catturato. Sicuramente grazie a voi si trova adesso qui. Perché voi siete stati prodi, voi siete stati coraggiosi. Voi avete combattuto, avete ucciso. Voi avete difeso, avete eseguito i vostri compiti. O forse… forse mi sbaglio, forse invece eravate qui, a parlottare, a ridere, a scherzare. Vi siete leccati il culo a vicenda, non è vero? Ma che bravi questi signori, mentre si complimentano tra loro per ciò che sono: deplorevoli parassiti, inutili omuncoli. Ipocriti, villani, falsi, impauriti come conigli. Potrei perfino passarvi tutti per la spada, adesso, e tremereste come foglie, pensando comunque a come scappare, come nascondervi, come mostrare tutta la vostra inutilità. Oh ma siete molto bravi a pulirvi l’un l’altro, con la lingua. Ah che piacere quello, come siete bravi in quell’onorevole compito. Mi piacerebbe tanto sapere cosa state facendo, ora, per contrastare i fanatici. Perché io non vedo spade pronte a combattere, qui. Non vedo armature. Vedo solo dei piccoli omuncoli, degli infanti che piagnucolano perché non vogliono combattere. -

    Provava un disgusto profondo per tutti loro, un disgusto tale da non poter essere espresso con le parole. Voleva solo iniziare ad uccidere tutti loro, tutti quegli esseri inutili. Voleva vederli crollare a terra sanguinanti, mentre chiedevano pietà. Perché la morte di Daeva era colpa loro, di tutte quelle guardie, quei cavalieri e quei signori. E tutti loro meritavano la fine della Mormont. Più mille altre sofferenze.

    1733 parole.

    Un altro tiro per intimidire i presenti è sempre valido e ben accetto.

    Diplomazia: 28
    - Marzialità: 136 (45 forza, 57 destrezza)
    - Amministrazione: 2
    - Intrigo: 47
    - Conoscenza: 9

    Punti vita: 77.5
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    Voglio un po' piangere e disperarmi
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    Daeva... :(

    Ma il nuovo pg dovrà chiamarsi in modo simile e avere un prestavolto simile a Daeva, così James potrà impazzire del tutto e morire felice. Non si accettano compromessi.

    (Sì scherza, forse). In ogni caso bentornataaaa!
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    Il vecchio soffriva in modo inumano. James riusciva a vederlo, nonostante la pazzia di quell’uomo lo avesse reso quasi immune al dolore. Rideva, il prete, mentre il Roote si accaniva su quell’essere, infliggendo terribili pene. Non avevano funzionato le tecniche del Cavallo dei Fiumi; l’uomo non appariva terrorizzato, ma anzi sembrava davvero vedere nel ragazzo il suo Dio, che tanto bramava e pregava. James, dal canto suo, non stava cercando di intimorirlo, né il suo era un tentativo di fargli implorare perdono. Egli era invece chiuso in se stesso, alla ricerca di un modo per affievolire il dolore per la perdita di Daeva. Le torture inflitte non avevano lo scopo di farlo soffrire, ma servivano al Roote per trasferire la rabbia, per incanalare in un’unica persona tutte le terribili emozioni che gli passavano per la testa in quel momento.

    Così, egli non si curò del sorriso del prete, né delle sue grida di gioia. Sentiva come si rivolgesse ad altre persone, eppure non vedeva nessuno intorno a lui. La situazione era talmente surreale, talmente inumana, che non capiva chi dei due fosse impazzito. Possibile che in pochi minuti, in un angolo del Continente, tutto quel dolore fosse sprigionato? James andava avanti quasi per inerzia, rinvigorito unicamente dalle grida atroci del prete, quando non era intento a ridere e ringraziare lo Sconosciuto per quella dimostrazione di fede. Forse non aveva capito che la sua morte non sarebbe arrivata quel giorno, e neanche in quelli a venire. Le sue sofferenze sarebbero continuate fino a quando non avesse perso la voce a forza di gridare, esausto per quelle sofferenze. Ringraziava lo Sconosciuto, ma avrebbe fatto lo stesso dopo giorni di sofferenza, isolato e privo di forze? Decise quindi di continuare ad infliggere nuovo dolore: se egli stava vedendo il suo Dio, in quel momento, evidentemente aveva un problema di vista, ed il Roote decise di rimediare colpendo l’occhio destro con la punta della sua spada. Ma non rimase lì a compiacersi della sofferenza causata. Forse altro sangue sarebbe sgorgato, dalle altre ferite precedentemente inflitte. Forse avrebbe gridato nuovamente, accecato in un occhio. Tutto ciò non interessava al Roote, che si era alzato nel frattempo per andare verso la ragazza che amava.

    Cosa pensava chi lo vedeva? Fino a pochi giorni prima la sua vita stava andando avanti in modo perfetto; un sogno. Si era sposato con Daeva, era stato nominato Cavaliere dal Re in persona, e si stava creando una propria strada nel mondo. Poi, all’improvviso, si trovava in una piazza, circondato da cadaveri divenuti tali per suo merito, grondante di sangue ed altri liquidi corporei di tutti coloro che avevano tentato di ostacolare la sua via. Accecato da un odio inumano, i suoi occhi apparivano animaleschi, irriconoscibili, rossi a causa del sangue, della rabbia e delle lacrime. I suoi capelli erano appiccicosi, anch’essi uniti tra loro con sangue e strani altri liquidi, compreso forse brandelli di corpi morti. Furioso, non riusciva a vedere altro se non il vecchio e Daeva, la donna della sua vita. Si trovava proprio dove l’aveva lasciata qualche minuto prima, quando il mondo gli era crollato addosso. Era morta, ormai non c’era speranza alcuna, e James lo sapeva. All’iniziale incredulità e pazzia si era sostituita la rabbia, poi succeduta da un senso di vuoto assoluto; cosa avrebbe fatto della sua vita, da quel momento in poi? Cosa avrebbe dovuto fare in quel preciso istante, in un mondo privo ormai di senso?

    Aveva paura. Mentre si dirigeva verso Daeva, fatta a pezzi in mezzo alla piazza, percepì un tremolio di paura. Aveva paura di rimanere solo. Aveva paura di se stesso. Sentiva di star regredendo ad un momento terribile della sua vita. Qualcosa che aveva sentito dentro di lui da sempre, ma che in un modo o nell’altro era riuscito sempre a contenere. Ma adesso stava crollando ogni muro che aveva costruito, ogni certezza della sua vita che aveva custodito gelosamente per non sentirsi trascinato da quella sensazione. La testimonianza di quella regressione erano gli atti che aveva e che stava compiendo. Senza quasi emozioni, senza empatia, terrorizzava, torturava, uccideva. James era quello. Una macchina da guerra, inumana. La sua vita era condannata a quello: non momenti di gioia, ma di terrore e di morte. Era ciò in cui eccelleva, e la vita sembrava ricompensarlo sempre, presentandogli situazioni in cui l’unico obiettivo era uccidere. Ma se in precedenza aveva cercato di soffocare quella pulsione, in quel momento stava finalmente accettando la sua vita. E non gli interessava di come gli altri lo vedessero, in quella piazza ed in tutto il Continente.

    Cercò disperatamente un carretto, qualcosa su cui poter posizionare le varie parti di Daeva. Si guardò intorno, prima di accasciarsi sul torso della Mormont, tremando. Come avevano potuto ridurla in quel modo? La sua Daeva, fatta a pezzi in una piazza qualsiasi, da gente qualsiasi, per un Dio inutile. Perché tanta pazzia, tanta ferocia contro la ragazza? Si sentì subito in colpa per non aver agito prima, per non essere riuscito a prevenire la situazione. La sua testa scoppiava, ogni secondo presa da una sensazione e da un’emozione diversa. Trovò la forza di guardarle il viso. Sembrava contorto dalla paura, con gli occhi spalancati. Ma erano tristi, ormai spenti. Gettò la testa sul suo corpo, lasciando anche il segno della sua testa insanguinata sul petto della ragazza. E pianse.

    Le lacrime sgorgarono senza ritegno, come un fiume in piena. Guardare Daeva negli occhi lo fece crollare immediatamente, e non esisteva alcun blocco che potesse fermarlo. Cercò di nascondersi sul suo petto, come alla ricerca di un ultimo abbraccio. Il corpo sembrava emanare ancora un flebile calore, ma non capiva se fosse quello della Mormont oppure il proprio. Si nascose; se era difficile guardare negli occhi la ragazza, era impossibile guardare il corpo, distrutto con tanta ferocia. Non seppe cosa altro fare se non cercare riparo su quel petto che tanto aveva amato, come ogni altra parte di Daeva. Singhiozzante, tremava come una foglia mentre il sangue e le lacrime si mischiavano sul suo volto e sui vestiti della Mormont. Voleva rimanere all’infinito in quella posizione, con la speranza che una flebile voce si facesse strada tra le labbra della ragazza. Sarebbe bastato anche un sussulto, qualsiasi cosa che testimoniasse come fosse ancora in vita. Non voleva riaprire gli occhi, tornare alla realtà, lontano dal suo corpo, senza più sentire neanche quel poco calore ancora presente. Perché avrebbe significato la fine. La distanza, per sempre.

    Rimase in quella posizione a lungo, mentre il prete agonizzante si trovava a pochi passi da lui. Non che si potesse muovere, data la situazione in cui si trovava. Come era strana quella situazione: come se due James, con due emozioni del tutto diverse, si trovassero nello stesso luogo, intenti a fare due cose in contemporanea. Passarono i minuti, molti, prima che il Roote trovasse la forza di alzarsi. Chiuse per prima cosa gli occhi alla ragazza, cercando di conferire un aspetto più rigoroso al corpo. Poi si alzò, con tutta la forza che gli rimaneva, per trovare un carretto su cui adagiare la Mormont, facendo attenzione a ricomporre al meglio Daeva nella sua interezza. A questo carretto legò anche il prete mutilato ed agonizzante; sarebbe stato trascinato, legato al carro in modo da strisciare sulle pietre e sulla strada. E si mise in cammino, verso la fortezza. Non sapeva bene dove stesse andando, probabilmente mosso per inerzia, conoscendo la strada tramite i ricordi. Ed Approdo avrebbe visto. L’arrivo di un demone insanguinato, accompagnato da una donna morta ed un prete agonizzante, fanatico, che gridava allo Sconosciuto. Forse, lo Sconosciuto era proprio arrivato. Ed era lui, davvero. Pronto a condannare le persone alla morte.

    1280 parole.

    Mi dirigo verso la Fortezza Rossa, quindi per questo turno verso la Sala degli Alchimisti e la piazza.

    Diplomazia: 28
    - Marzialità: 136 (45 forza, 57 destrezza)
    - Amministrazione: 2
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    Una cosa era certa: James non aveva perso la propria forza. Non aveva perso lo spirito guerriero ed il coraggio necessario per caricare a testa bassa decine di soldati. Non che in quel momento fossero necessari, o almeno non apparentemente, dato che ciò che stava spingendo il Roote era pura vendetta, rabbia ed estrema tristezza. Tuttavia, ragionandoci a mente fredda nel futuro, non avrebbe potuto negare che la strage fatta fosse l’ennesima dimostrazione della sua forza. Era riuscito ad eliminare la maggior parte dei presenti, mettendo in fuga i restanti; solo un prete era rimasto dove si trovava, impassibile, per nulla spaventato né rattristato da James e dalla situazione in cui si trovava. Anzi, invece di scappare, egli si avvicinò al Lord di Isola dell’Orso, come a volerlo rassicurare, in un atteggiamento tipico dei preti.

    Che fosse un pazzo era evidente; non tanto per ciò che aveva sulla fronte, una stella a sette punte incisa sulla pelle, né per lo strano medaglione che portava al collo. Ma il modo in cui si comportava, davanti alla furia distruttrice di James, testimoniava la presenza di un uomo privo di senno. Questo sembrava intuibile anche dalle parole senza senso che uscivano dalla sua bocca. Parlava di un Dio inutile, parlava di religione. In una parola, blaterava. Perché stava aprendo la bocca? A cosa faceva riferimento, che pazzie stava raccontando? Il Roote appariva quasi confuso, non capendo cosa ci facesse un prete in quel luogo, e perché sentisse la necessità di parlare, di… Consolare? Eppure era stato lui, proprio lui, a decretare la morte di Daeva. Se non con l’atto pratico, quanto meno con il suo silenzio, dimostrando complicità. O peggio, egli ne era l’ideatore. Ma perché rimanere di fronte al Roote, allora, davanti a morte certa, se fosse stato l’ideatore della rivolta?

    La piazza improvvisamente si era svuotata, tranne per i corpi morti sparsi per terra. Quella era una rivolta. Fino a quel momento non ci aveva fatto caso, eppure Approdo era molto diversa da prima del rapimento. La piazza e le vie adiacenti sembravano vuote, prive di persone, nonostante la città pullulasse notoriamente di gente. Cosa stava accadendo? Il rapimento, guardie della città ribelli: l’ordine era stato spazzato via, ma per quale ragione? Sembrava che il prete fosse parte di quella rivolta, e di conseguenza, anche solo in minima parte, dove trattarsi di qualcosa di religioso. Forse le lontane rivolte religiose, a cui il Roote non aveva mai prestato molta attenzione, erano infine arrivate anche nel cuore del Continente? Se quella era la realtà, la morte di Daeva appariva ancora più priva di senso. Era stata uccisa per motivi futili, religiosi.

    James non riuscì a contenere la propria rabbia. Quell’uomo continuava a blaterare di inutilità, ma se tanto teneva allo Sconosciuto, il Cavallo dei Fiumi lo avrebbe presto accontentato. Il primo istinto fu di ucciderlo, subito, senza pensarci. Il modo in cui si comportava, ciò che aveva fatto, andavano ben oltre il limite sopportabile. Eppure, che senso avrebbe avuto? Egli desiderava così tanto raggiungere il suo dio; se avesse esaudito il suo desiderio, la vendetta sarebbe stata molto meno soddisfacente. Soddisfacente non lo era in ogni caso, dato lo stato in cui si trovava sua moglie. Ma capì subito che non avrebbe ucciso in un colpo solo il prete. No, serviva la sofferenza. Profonda. E non importava quanto fosse fanatico quell’uomo, poiché la sofferenza inflitta dal Roote sarebbe stata tale da far perdere in ogni caso la ragione. Non sarebbe andato sul sottile, con tecniche apprese solo vagamente in un passato remoto. No, l’obiettivo era creare dolore. Immediato. A cui si sarebbe poi aggiunto altro dolore, e poi altra sofferenza ancora.

    - La tua sposa si è ricongiunta ai suoi avi e la sua vita di peccato e sofferenza si è finalmente conclusa. Non lo desideri anche tu? Non desideri anche tu la morte dopo tanto patire, James Roote? -

    La morte dopo tanto patire? Quel prete non aveva idea di ciò che aveva combinato. Aveva rovinato la vita del Roote con un semplice gesto. Aveva fatto uccidere Daeva per delle sue fantasie bizzarre, e non contento si stava anche prendendo gioco del ragazzo. Sì, James aveva patito molto, e stava patendo in quel momento, nonostante l’arrivo di Daeva avesse portato gioia e tranquillità. Ma quei sentimenti genuini gli erano stati strappati dalle mani, dal cuore, nel momento in cui dei fanatici avevano deciso di fare a pezzi la Mormont. La maggior parte dei responsabili aveva fatto la fine che meritava. Ma quel prete non avrebbe avuto la stessa sorte: a lui non era riservato lo stesso privilegio della morte rapida, quasi indolore, poiché egli appariva più responsabile di altri. Egli appariva davvero convinto delle sue idee, tanto da diventarne martire. Sempre che il Roote decidesse di ucciderlo. Ma no, non era la morte che James cercava. Il prete avrebbe continuato a vivere a lungo, sempre e solo tra atroci sofferenze.

    Non disse nulla, non rispose a quell’uomo pazzo e inutile. L’unica cosa che fece fu caricarlo e gettarlo a terra, sporcando la tunica e la barba di sangue. Il sangue dei suoi sodali, morti per la furia del Roote che adesso si poteva concentrare su un singolo uomo, un singolo responsabile. Una volta gettato a terra il prete, strinse con forza la spada che aveva in mano (una spada qualsiasi, presa in giro) e con tutta la forza che aveva in corpo cercò di tranciare una gamba di netto. Se non fosse riuscito a separare la gamba dal resto del corpo con un solo colpo, avrebbe continuato fino al compimento di tale compito. Zampilli di sangue sarebbero schizzati ovunque, ma James era ormai immune a tale visione. Avrebbe gridato, il prete ormai divenuto monco? O avrebbe mantenuto il suo sguardo dolce?

    Ma una sola gamba non era sufficiente. Tranciò anche l’altra, ma facendo attenzione a non separarla dal corpo; non avrebbe più camminato, questo era certo. Doveva solo soffrire, e la gamba maciullata ma ancora attaccata al corpo (anche se per poco) appariva la scelta migliore. Il volto del Roote era ormai irriconoscibile, data la quantità di sangue che gli colava sulla pelle. Ma non aveva tempo di pulirsi. Non voleva farlo. Era troppo concentrato con quell’uomo.

    - Dov’è il tuo Dio, adesso? Perché non ti salva, facendoti morire? - gli disse il Roote quasi sussurrando all’orecchio. Dopodiché, fu la volta della mano. No, era inutile, non sarebbe più tornata utile a quel verme. Decise quindi di tagliarla di netto, aspettando nel frattempo che il dolore per le altre parti del corpo prendesse il sopravvento sul prete. Non stava più pensando a Daeva. Era diventato sovrumano, inumano. Era diventato…
    - Non ti accorgi, prete? Sono io il tuo Dio, sono qui per punirti, ma non hai compreso nulla. No, prete, tu hai mal interpretato. Io sono il tuo Dio, prete, ma tu non morirai ora. Tu mi hai adorato, ma io non sono ciò che tu speravi, prete. - disse il Roote aumentando il tono della voce al progredire delle parole. Stava impazzendo, forse? O forse l’uomo stava imparando ad avere terrore, impaurito da James? Chiunque, probabilmente, sarebbe morto di paura. Non solo per la presenza del Roote, ma per l’intera situazione.

    - Tu non morirai, prete. Non è questo il mio verdetto. Ma soffrirai, questo sì. Desideravi ricongiungerti al tuo Dio, non è vero? Eccomi qui, prete, sono qui per te. Ma io non sono il tuo Dio. Io ho ucciso colui che adoravi, e l’ho sostituito. L’ho ucciso, massacrato come i suoi seguaci, e con lui ho ucciso la sua passione per gli uomini. Tu lo adoravi, il tuo Dio, e lui adorava i suoi fanatici. Ma io l’ho ucciso, il tuo Dio, e ho ucciso la sua adorazione. Speravi di morire, per ricongiungerti con lui? Ma io l’ho ucciso, e tu non puoi più incontrarlo. Sono io il tuo Dio, prete, perché sono io la tua eternità. Non avrai ricompense, non avrai doni; sei destinato a soffrire, guardandomi negli occhi mentre preghi che il tuo Dio torni. Ma non tornerà, poiché io l’ho ucciso. Non potrà salvarti, mentre soffrirai. Prega, parla, maledici. Ma soffrirai in ogni caso, sapendo che il tuo Dio morto. E io l’ho ucciso. -

    James stava forse impazzendo. Non sapeva bene se credere alle parole che diceva oppure no. Credeva alla sofferenza che infliggeva, ma stava iniziando a credere anche alla sua natura divina. Era quella la pazzia? Era quello l’effetto della morte di Daeva? Non sapeva rispondere, sapeva solo che in quel momento il suo compito era uno. Infliggere pene atroci al prete, e farlo soffrire. Spaventarlo a morte. Ma lasciandolo in vita per poter continuare la sofferenza che si meritava. Mentre il Roote prendeva sempre più le sembianze di un Dio. Sanguinario. Violento.

    1465 parole.

    Non mi muovo dal posto, ma mi occupo solo del prete, in attesa di sue reazioni.

    Diplomazia: 28
    - Marzialità: 136 (45 forza, 57 destrezza)
    - Amministrazione: 2
    - Intrigo: 47
    - Conoscenza: 9

    Punti vita: 77.5
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    Il colpo inflitto al disgraziato davanti a lui ebbe l’effetto sperato. Neanche il tempo di rendersi conti di quanto stesse succedendo, ed i denti di James furono subito al collo del malcapitato, il quale non poté fare altro se non morire agonizzante, con il sangue che sgorgava come una fontana dal suo corpo. Non un grido, non un gemito. La forza e la rapidità del Roote non lasciarono scampo alla guardia, che finì a terra con gli occhi terrorizzati, mentre fino a qualche secondo prima aveva avuto il coraggio di prendersi gioco del Cavallo dei Fiumi e di sua moglie.

    Avrebbe voluto gioire, compiaciuto, di quanto appena fatto, sentendosi invincibile e vendicativo nei confronti di quell’uomo che lo aveva sfidato. Tuttavia, il pensiero andò subito a Daeva, la quale era scomparsa dal suo raggio visivo. Poteva sentire solo le sue grida, strazianti e disperate, con le quali forse cercava di invocare l’aiuto del Lord. Quelle grida lo misero in agitazione; un sentimento di ansia si impossessò rapidamente di James, tanto da costringerlo ad un respiro profondo per non lasciarsi dominare da un gelo immobilizzante e dai dolori che percepiva allo stomaco. Nonostante fosse ferito al volto, le uniche ferite che sentiva erano interne, mentali. Le urla di Daeva lo facevano sentire impotente, mentre cercava disperatamente di liberare le mani dalle catene. Non aveva tempo per ragionare e trovare un modo alternativo, quindi tutto ciò che fece fu caricare con quanta più forza possibile dritto davanti a lui, per riuscire a spezzare ciò che lo immobilizzava. Non ci volle molto per raggiungere l’obiettivo sperato, e appena riuscì nell’intento iniziò a correre all’esterno, cercando di prendere qualsiasi arma avesse la guardia morta. Non stava riflettendo sulle conseguenze: non sapeva cosa ci fosse all’esterno della struttura. In realtà, non sapeva nemmeno dove si trovasse questa struttura. Non che gli importasse, sul momento. Il suo unico scopo era quello di salvare la ragazza che amava, e fuggire insieme a lei. No, non fuggire. Combattere. Sentiva che la rabbia che aveva dentro di lui aveva bisogno di una valvola di sfogo, e quei soldati che lo avevano sfidato, imprigionato e picchiato, erano il bersaglio perfetto. Ma prima doveva trovare Daeva.

    La rabbia dentro di lui montava ogni istante di più, mentre raggiungeva il piano terra per uscire da quel buco. Ma la stessa rabbia scomparve, lasciando il posto ad una sensazione di sangue gelato, quando smise di sentire i lamenti della Mormont. L’ansia lo colpì ancora, ma questa volta lo lasciò senza fiato. Perché ci stava mettendo così tanto? Perché Daeva non gridava più, tutto d’un tratto? Cosa le stavano facendo? Continuava a sentire la folla presente davanti all’edificio, ma non più la ragazza. Proseguì, fino a giungere all’uscita, nonostante la morsa gli stringeva lo stomaco e i polmoni. Era impaziente di arrivare nella piazzetta. Voleva uccidere, uccidere tutti i presenti, nessuno escluso. Una furia ceca montava, rafforzata da una paura, una paura nascosta, che James non voleva neanche ipotizzare. Finalmente giunse al piano terra, e in un attimo distrusse la porta che lo separava dall’esterno. Si guardò intorno, probabilmente causando lo stupore di tutti i presenti, che non si aspettavano James libero e pronto al massacro, con il volto, la bocca e i denti insanguinati, come nei peggiori incubi. Dal canto suo, non aveva altro che la propria forza per uccidere le guardie lì presenti, ed era altresì immune a qualsiasi voce provenisse dall’esterno. Non sentiva niente, da quando Daeva aveva smesso di gridare. Era solo lui, contro chiunque si trovasse davanti. Chiunque avesse il coraggio di combatterlo. Chiunque su cui posasse il suo sguardo.

    Ma la prima cosa che vide, di fronte a lui, fu la causa della sua ansia. Non ebbe modo di pensare a nulla, la sua mente era vuota e priva di qualsiasi sensazione umana. La donna che amava, Daeva Mormont, era stesa a terra, come le bestie. Non solo era morta, ma quei presenti avevano deciso di ucciderla in modo diverso, doloroso, inumano: legata mani e piedi a quattro cavalli ancora lì presenti, era stata fatta a pezzi, tra atroci sofferenze. Rimase interdetto: possibile che fosse lei? Daeva, la ragazza che aveva conosciuto anni prima, che aveva imparato ad amare, che amava alla follia, fatta a pezzi in una piazzola di Approdo? No, non aveva senso. Non poteva essere. Che doveva fare? Cosa stava succedendo? Stava sognando, uno dei peggiori incubi? Non era lei la donna, era qualche persona diversa, che le somigliava?

    Non ebbe modo di respirare. Non riuscì a prendere fiato, né a chiudere gli occhi per vedere meglio. No. Sapeva che i suoi sensi non lo avevano abbandonato, che ciò che vedeva era reale. Era proprio lei, Daeva, irriconoscibile a causa delle torture a cui era stata sottoposta prima di morire. Le grida erano cessate perché era cessata la vita della ragazza. Era stata strappata dal Roote in modo ignobile, legata a dei cavalli, uccisa di fronte a un pubblico, felice e gioioso nel vederla soffrire e morire. La sua mente ancora non riusciva a reagire alla notizia. Stava solo osservando la realtà, non stava pensando. Non riusciva a trovare una spiegazione, non capiva neanche se fosse lei. Lo era, ma allo stesso tempo non lo era. No, Daeva doveva essere ancora viva. Non l’avrebbe mai abbandonato su quella terra, non si sarebbe mai separata da James, non in quel modo, non in mezzo ad una nuova battaglia da combattere. Probabilmente era riuscita a nascondersi, a fuggire da qualche parte, pronta per ricevere nuovamente James, per scappare di nuovo con lui. Sarebbero tornati in un luogo sicuro, ad Isola dell’Orso, a danzare nell’acqua, abbracciarsi, contare l’uno sull’altro. A combattere di nuovo, a dormire insieme di nuovo, a baciarsi, a comunicare le proprie paure, le proprie ansie. A costruire un futuro insieme, per Isola, per la figlia, per loro stessi. Come avrebbe potuto, Daeva, abbandonare questo, che tanto desiderava. Come avrebbe potuto lasciare James da solo, senza più nessuno su cui contare, senza un supporto? No, era semplicemente impossibile. Daeva era lì con lui, era pronta a combattere con lui, vero?

    Ma se era lì con lui, armi in mano, perché il Roote continuava a boccheggiare, senza aria nei polmoni? Perché aveva la mente in tilt, il nero assoluto, e vedeva in modo appannato? Se si trovava al suo fianco, perché i suoi occhi lo stavano tradendo? Perché sentiva il volto rosso, in fiamme, bagnato sebbene non piovesse? Perché, se era pronta a combattere insieme, tutto ciò che riusciva a sentire era un fischio costante, proveniente non dalle orecchie, ma dalla testa? Perché tremava, se stavano insieme? Perché tutto intorno a lui girava, e la vista di James era offuscata completamente? Piangeva, disperatamente; ma lei stava lì, perché disperarsi? Voleva dire qualcosa, chiamarla, sentirla al suo fianco, ma la bocca non rispose. Era asciutta, del tutto, e le labbra non riuscivano ad emettere alcun suono, non riuscivano ad aprirsi, men che meno ad esprimere parole sensate.

    Udì un grido. Rabbioso. Lo fece gelare il sangue. Chi poteva gridare in quel modo? Non era umano, non proveniva da una creatura a lui conosciuta. Era distante, e si guardò intorno per capire chi fosse in grado di emettere un simile suono. Tutta Approdo, probabilmente, lo aveva sentito. Troppo forte, troppo lungo, troppo… Intimo? Si guardò intorno, mentre tutti si erano rivolti verso di lui. Possibile il grido fosse il suo? Tremante, divorato dal dolore, con copiose lacrime agli occhi, rosso in viso e con il sangue sui suoi vestiti e sul volto. Ma allora era vero, quel grido non apparteneva ad una creatura umana. Perché se era stato emesso dal Roote, allora non vi era nulla di umano in lui. Non nel corpo in cui stava, non in ciò che sentiva, non nelle azioni che stava intraprendendo. Perché lui non stava percependo nulla, ma intorno a lui iniziavano a sgorgare fiumi di sangue. James era immobile, fermo con il pensiero ancora rivolto a Daeva, che per fortuna era viva. Ma stavano morendo delle persone, e vedeva la sua mano in movimento, anche se molto rallentata. Stava vendicando Daeva? E perché mai, se lei lo stava aiutando ad uccidere i soldati?

    Accanto alla donna fatta a pezzi, vi era una guardia che aveva intravisto prima, e due uomini religiosi, riconoscibili dall’abito che indossavano.

    - Daeva, uccidi loro! - disse in modo automatico rivolgendo la mano agli uomini appena intravisti, mentre egli continuava a far fuori gli altri presenti. Non ricevette alcuna risposta, ma sapeva che la Mormont si sarebbe diretta contro di loro. In battaglia erano legati come non mai, sapevano di poter contare sull’altro, sapevano di seguire ognuno le direttive dell’altra persona, come avevano sempre fatto. Funzionava, perché insieme erano devastanti, insieme erano una macchina da guerra mai vista prima. Ma quando pose di nuovo lo sguardo su quegli sciagurati, stavano ancora lì. Ma perché?

    Dalla bocca uscì flebilmente una sola parola. - Daeva… - farfugliò, con le lacrime di nuovo agli occhi, più di prima. Ma adesso non era più solo inumano. Non era solo cosparso ovunque di sangue. No, era anche furioso. Una rabbia mai sentita prima. Quegli uomini dovevano morire, ma dovevano anche soffrire nel frattempo. Urlò di nuovo, con quanto fiato avesse in gola, mentre sentiva le proprie vene sul collo dilatarsi notevolmente. Non era umano, perché quella rabbia non lo era. Voleva avvicinarsi alla donna stesa a terra, capire chi fosse; sapere se fosse Daeva o no. Ma lui lo sapeva, sapeva che la Mormont era morta. Eppure… Eppure combatteva con lui, no?

    1591 parole.

    Uso 20 punti forza per rompere le catene, ed uso 55 punti vita per uccidere 20 soldati. Cerco di spaventare gli altri che non riesco ad uccidere.

    Diplomazia: 28
    - Marzialità: 136 (45 forza, 57 destrezza)
    - Amministrazione: 2
    - Intrigo: 47
    - Conoscenza: 9

    Punti vita: 77.5
  7. .
    E dunque eccoci qui, nuovamente insieme, il lettore con il narratore, e James da una parte in attesa di sapere quale sarebbe stata la sua prossima mossa. Era evidente a tutti (tutti chi?) che il portafoglio del Roote, nonostante fatiche micidiali, fosse effettivamente molto poco pieno, e questo causava un problema di grande rilievo; senza denari, non avrebbe potuto comprare rimedi divini, altresì chiamati pillole blu della catena Pfizer-Irrihal, per poter ottenere il claim permanente su Isola dell'Orso.
    Il qui presente narratore, che avrebbe potuto descrivere la scena in modo molto preciso, era tuttavia posseduto da una pigrizia innata, e dal momento che per il primo post della libera oneshot non esistevano limiti minimi o massimi di parole, egli si sarebbe solamente limitato ad illustrare ai moderatori la richiesta di ottenere soldi, in modo da ottenere un PNG casuale che potesse dar lavoro al magnifico Cavallo dei Fiumi.
  8. .
    Il ritorno ad Approdo del Re era sembrato eterno, sia a causa della sua pressoché totale solitudine, nonostante la presenza dei suoi fedeli compagni, sia a causa dei traumi causati dalla battaglia per riprendere Harroway. La situazione appariva ironica, poiché figlia del medesimo evento, ovvero il dado allo stesso tempo malefico e salvatore di Albi: se da una parte la mano fatata del moderatore era riuscita nell’impresa di far riconquistare la propria casa ad un James molto poco attivo, dall’altra la vittoria portava con sé migliaia di morti (che per il bene della storia narrata faremo finta siano evaporati nel nulla per intervento divino). La catastrofe quindi avrebbe dato inizio ad una valanga di conseguenze spiacevoli, come l’avvertire i vari Lord (quelli rimasti in vita) che i propri eserciti erano stati spazzati via da una banda di barboni fanatici (bisogna ricordare che James non aveva idea di chi fossero i nemici, poiché si era bloccato all’inizio dell’assedio) e dalle truppe Roote traditrici, molto probabilmente per gelosia nei confronti della magnificenza del Cavallo dei Fiumi.
    Ebbene, durante il ritorno verso Approdo, che non faceva altro che testimoniare l’autoproclamato titolo poc’anzi menzionato e mai ufficialmente concesso dai moderatori, giacché non aveva avuto neanche il tempo di pulirsi dal sangue che subito aveva dovuto rimettersi in marcia, non ebbe modo di parlare molto, poiché i suoi compagni erano alle prese con pensieri simili (meno l’assillante dubbio di come sarebbe andato tutto se la mano di Albi fosse stata ancora più fatata, anche se va già ringraziato così). Il tempo per pensare, invece, era molto. Non che ci fosse molto altro da fare durante il viaggio, tuttavia i giorni per postare una libera che concedesse a Freene il privilegio, l’onore ed il sommo piacere di fare un tiro bimbi stavano giungendo al termine, cosicché il viaggio venne velocizzato e James (o chi per lui) dovette affrettarsi a scrivere un post semi decente.

    Arrivato ad Approdo, si ritrovò davanti una scena impressionante: non che ci fosse niente di particolare, tuttavia la voce narrante del Roote non aveva idea della situazione della città. Non sapeva cosa fosse successo o come si presentasse dopo la guerra, dato che non avendo avuto tempo per finire la propria quest, figuriamoci se ne avesse avuto per leggere quelle degli altri. Inoltre, a questo si aggiungeva l’inclinazione a non interessarsi delle quest altrui e fare affidamento sui riassunti salva vita della già citata Freene, che tuttavia in questo caso non erano presenti (o non erano stati letti). Per questo il narratore prese la licenza di descrivere la situazione come impressionante, tanto qualcosa di sconvolgente ad Approdo del Re c’era sempre.
    Se questo fosse stato un post serio, avrei descritto tutto nei minimi particolari, compreso i pensieri del viaggio; però, come potete capire, James era ad Approdo solo per due motivi, ovvero far fare il tiro bimbi a Freene e, notizia dell’ultima ora, fare una role con il Re e il fedele amico Caleb (no, non il cane. E no, non la smetterò mai di fare questa battuta). Tuttavia, già il fatto di teletrasportarsi magicamente in un luogo diverso vi fa capire il livello di questa libera, e quindi prenderemo per buono l’arrivo in città di James e la sua sistemazione, nonché l’incontro strappalacrime con Daeva, che nonostante gli interminabili appelli a lei rivolti da parte del narratore per tornare, aveva deciso di abbandonare spiritualmente (ma non fisicamente) il continente.
    In questo contesto, il qui presente narratore avrebbe dovuto descrivere l’unione di James e Daeva, una png fredda che ben poco aveva a che fare con la reale Daeva degli albori, colei che si divertiva a sgozzare isolani, bere il loro sangue e gridare abbasso la monarchia (il famoso Corona-virus, N.d.R.). Probabilmente se la Mormont fosse stata presente spiritualmente la libera sarebbe stata ben più articolata, dettagliata e spiritosa, tuttavia la freddezza con cui il personaggio aveva accolto James (scaturita dal fatto che il narratore aveva richiesto ai mod una libera oneshot, per non dover interagire e per scrivere quello che voleva, e dal fatto che non era stato descritto in alcun modo il personaggio di Daeva all’interno di questa role) aveva fatto sì che l’intera libera fosse stata scritta da un’unica mente e con solo tre obiettivi in mente, nessuno dei quali di carattere sessuale; per prima cosa, vi era l’ormai noto desiderio di Freene. In secondo luogo, James voleva ricevere per forza di cose il titolo Cavallo dei Fiumi, ma aveva deciso di non scrivere niente di rilevante per aggiudicarselo, ma solamente sottolineare questo desiderio (Freene, parlo con te, un desiderio esaudito a te ed uno a me). In terzo luogo vi era l’ennesima richiesta di cambiare il volto della madre dei Roote, tramite una piacevole operazione divina.

    Vi chiederete come mai il narratore abbia deciso di non descrivere nei dettagli l’unione con Daeva. Probabilmente, i più veterani si saranno domandati “perché con Daeva no, e con Elisabeth, che era ancora più PNG dei PNG, sì?” Ebbene, purtroppo non esiste risposta, e Alberto Angela non si trova a Westeros per illuminarci sui misteri del mondo, e quindi saremo costretti ad andare avanti nella storia. Inoltre, leggendo il titolo appare subito chiaro come il narratore-James sia estremamente addolorato per la perdita della compagna: descrivere vicende sessuali con una quasi-morta è sicuramente di cattivo esempio, nonché macabro e scandaloso, funereo, tetro, spettrale e lugubre, con un aggiunta di immoralità, indecenza ed oscenità (grazie Treccani).

    Va detto, ad onor del vero, che la suddetta libera era stata scritta con un obiettivo ulteriore rispetto al semplice soddisfacimento del desiderio dei moderatori. Per la precisione, tale secondo motivo era la possibilità di procreare e non perdere il controllo di Isola dell’Orso, almeno momentaneamente, per poter poi decidere con calma i progetti futuri, ma senza privarsi a priori di un seggio. Fu così, con queste motivazioni e con questo preambolo, che una volta arrivato ad Approdo del Re ed essersi incontrato con Daeva in una lacrima strappastoria, giunta la notte i due protagonisti decisero di tornare nella camera a loro assegnata, godendosi quei momenti di intimità e segretezza altresì chiamati sesso sfrenato con un PNG (chi non vorrebbe provare l’ebrezza?).

    Finì così la storia d'amore descritta in maniera quasi seria tra James e Daeva, portata avanti fino alla sua decisione di emigrare spiritualmente, e conclusasi con un post di siffatte dimensioni (modeste) e di altrettanto modesta pregiatezza. A meno di ritorni clamorosi, il narratore avrebbe anche potuto descrivere la fine ingloriosa di Daeva, ma non avendo voglia avrebbe terminato qui il suo post, con somma tristezza e (altre parole di Treccani che non ho più il piacere di cercare). Ordunque addio Daeva, insegna agli angeli ad ascoltare senza un orecchio.
  9. .
    Lasciò che la ragazza esternasse tutta la propria furia, insieme alle spiegazioni, e non la interruppe, benché fosse anch'egli leggermente adirato per quella mancanza di rispetto. Ma la capiva; era l'animo di una sorella senza risposte, che aveva perso il fratello senza sapere il motivo, ed in quel momento provava a dare spiegazioni per conto del fratello e di se stessa. Una reazione capibile, per non cadere nel baratro. Così, non disse niente durante tutta la sua sfuriata, ed una volta finito si prese qualche secondo per rispondere.
    Avrebbe voluto sorridere, bonariamente, dall'ingenuità della Forrester, per il fatto che lei non sapesse praticamente niente del rapporto tra Daeva e James, ma non lo fece. Non voleva correre il rischio di farla sentire presa in giro.

    -Corinna, se fosse tutto così semplice sarei il primo a piegarmi di fronte alle vostre punizioni. Ma voi ignorate i fatti, siete così accecata dall'odio nei miei confronti che non riuscite ad intravedere la realtà. Non pensiate che tali parole siano per me un affronto; come vi ho detto, riconosco il dolore, e so che voi siete afflitta. E così, non adirato, ma consapevole delle vostre ferite, vi racconterò come stanno i fatti, sperando una volta per tutte di chiarire questa diatriba e, in un certo modo, di porre un freno alla vostra... Emorragia, se mi consentite il termine, interna, che vi aggredisce di continuo. Bene, iniziamo dal principio...-

    James fece mente locale tra tutti gli eventi passati, e poi iniziò.

    -Mi accusate di aver agito da inetto, di aver interrotto l'amore tra Wilbur e Daeva, di aver cercato solo un tetto sopra di me. Di essermi fiondato su Daeva come un falco con la propria preda, senza sentimenti o pietà. Ebbene, lasciate che vi spieghi: io e Daeva ci conosciamo da molto tempo, abbiamo combattuto numerose battaglie insieme, che ci hanno legato in un rapporto sempre più intenso di amicizia, e nulla più. Nulla più poiché, come ben sapete, lei era legata a Wilbur da un legame ben più profondo, uno che non avrei mai avuto il coraggio, sebbene voi mi riteniate così mostruoso da esserne in grado, di rompere. E così, alla fine della guerra, io sono partito per la mia strada, separata da quella di Daeva. Ognuno, apparentemente, avrebbe dovuto vivere le proprie vite in maniera distinta. Passarono mesi, ma il caso volle, infine, che io tornassi ad Isola dell'Orso, per questioni militari. Una volta giunto lì, venni ricevuto da Daeva, la quale appariva uno spettro, un fantasma, una copia sbiadita della guerriera che avevo conosciuto un tempo. Vedete... Non fui io a rompere l'unione, ma Wilbur stesso. Egli era scappato, scomparso, senza lasciare traccia, fino a quando non arrivò la notizia che fosse morto. Daeva, dal canto suo, era devastata da questa notizia. Il suo amato, scappato senza dire niente, senza lasciare una parola, ve lo immaginate?-

    Fece una breve pausa, poi riprese.

    -Lascerei correre tutto, ma con gentilezza vi prego di non osare mai più dire che io mi sia preso gioco delle ferite emotive di Daeva, farebbe adirare anche me tale frase. Io avrei ben volentieri lasciato che il loro rapporto fiorisse, sbocciasse... Se ce ne fosse stato uno. Ma ormai quello era morto, era del tutto sepolto, nel passato. E così, da bravo ed onesto amico, sono rimasto accanto a Daeva per tutto il tempo che ne avesse bisogno, sebbene i miei piani fossero del tutto diversi. Perché, sapete, a quel tempo stavo unendo una piccola armata mercenaria, per riuscire ad avere un certo ruolo. Ma sono rimasto comunque insieme a lei, fino a quando... Beh, forse non mi crederete, ma quel che vi dico è la realtà: non sono stato io ad approfittarmi di lei, ma Daeva stessa chiese di unirmi a lei in matrimonio. Se fosse stato per me, non avrei mai fatto un passo così avanti. Semplicemente, sono troppo codardo in materia di sentimenti. Ma quando lei mi fece questa richiesta, come avrei potuto dire di no? Dopo tutte le tragedie che abbiamo passato, dopo tutto quello che abbiamo fatto assieme, come avrei potuto rifiutare? Io non me la sono giocata bene, Corinna, perché non conoscevo neanche le regole del gioco. Io non sapevo le sue intenzioni, ma ho accettato lo stesso.
    Confido, come voi, che sarebbero stati felici insieme. Lo credevo anche io, ma di loro non c'era più niente, non vi era traccia, poiché non esistevano più. E questo ci porta all'ultima parte della vostra invettiva.
    -

    Si inumidì le labbra.

    -Io, e potete credermi o no, provo dei sentimenti così forti per Daeva che il mondo intero potrebbe rimanerne estasiato, e lei lo stesso. Il nostro rapporto è maturato così tanto, da semplice amicizia a puro amore, che non aspetto altro se non il suo arrivo in questa città, per poterla finalmente stringere, per non dover più patire le sofferenze di un'esistenza misera e solitaria, distante dallo sguardo e dal colpo di colei che bramo. Per questo motivo vi ho chiesto di non ripetere mai più quelle parole ingiuriose; il solo udito è per me motivo di tristezza, rabbia e sconforto. I nostri sentimenti sono più cristallini che mai, testimoni di ciò che ci lega, indissolubilmente. Sapete, confidandomi con voi, ci sono volte in cui non riesco a capacitarmi di come sia riuscito ad avere un legame così profondo con Daeva, di come sia possibile che il nostro sentimento sia tanto alto. Ma così è... E così sarà. Tuttavia, ancora non siamo sposati, e siamo entrambi liberi. Per questo motivo, e dal momento che Daeva si trova ancora lontano da qui, non posso rispondere della domanda che tentate di insinuare, poiché sarebbe uno sgarbo nei confronti della ragazza. Cose così intime, trattate con tanta leggerezza... Come minimo un dispiacere per lei, se sapesse che io vada in giro trattando argomenti così privati. E, d'altra parte, con il massimo rispetto che ho verso di voi, non avrei niente, né sicurezze né affinità, che possano spingermi a parlare con voi di questioni così dettagliate.-

    Aveva quasi finito di rispondere, ma aveva ancora altro da dire.

    -Se mi permettete, vorrei dirvi una cosa: noi due, non siamo molto diversi, benché voi siate fermamente convinta del contrario. E se da una parte io spero di aver fugato in voi ogni dubbio sulla mia condotta, dall'altra riconosco fortemente il vostro dolore. Entrambi, in un certo senso, abbiamo patito lo stesso dolore. Che ti si pianta nella testa, che brucia nello stomaco, che ferisce più di mille spade. La solitudine di trovarsi sempre soli, di fronte ad una vita che non premia ma dà solo dispiaceri, batoste, sconfitte. Ebbene, non sono nessuno per dare consigli, ma posso dirvi che stare immobili a rimembrare il passato non serve a nulla. E non dovete combattere il dolore: lasciate che vi si attorcigli, che vi dilani, che vi trapassi ogni parte del corpo. Solo allora sarete in grado di controllarlo, di tenerlo a bada, di non temerlo più e di non esserne sopraffatti. E allora, solo allora, sarete in grado di non allontanare ognuno da voi, come fate adesso. Io, conscio delle vostre sofferenze perché testimone diretto io stesso, vi capisco, e non vengo intimorito dai vostri modi, poiché so bene quel che vi accade. Anzi, forse con vostra sorpresa, vi sto vicina, tento di aiutarvi, o semplicemente di offrire una spalla amichevole, per voi, affinché possiate appoggiarvi nel momento del bisogno. E nonostante siate convinta che il sia un mostro, non posso fare molto altro per farvi capire la bontà delle mie azioni, e che voi avete di me un'idea che è stata dipinta da altri, portata avanti a forza di maldicenze e cattiverie nei miei confronti. Spero che voi capiate, infine, la vera natura della mia persona, come io credo di aver capito la vostra. E non abbiate timore di essere dura, vi starò vicino anche allora, poiché sarà il momento in cui avrete maggior bisogno di un conforto.-
  10. .
    Il discorso del Re era finito da poco tempo, ed il Roote non fece in tempo a muoversi per la Sala, a fuggire da quel concerto di etichetta e simboli di potere, con rintocchi di ipocrisia e percussioni di falsa modestia, che subito venne bloccato da Corinna. Facilmente intuibile, dopotutto, considerando l’atteggiamento di James nei suoi confronti; sapeva quanto poco fosse la sua considerazione nei confronti del Cavallo dei Fiumi, per motivazioni più o meno razionali. Ma perché si era comportato in quel modo?
    Da un lato non lo sapeva neanche lui, aveva agito d’impulso, mosso dall’idealismo; aveva sentito dei commenti in disaccordo con qualcosa che reputava essere giusto, qualcosa di normale. E mosso dalla sua sete di ideale giustizia, si era mosso come testimone, sperando che il giudice, più o meno figurato, decretasse una volta per tutte la verità. Aveva riportato, per le cause che conosciamo, un fatto, reale ed innegabile: la forza ed il coraggio di Corinna, e la sua giusta ricompensa, ottenuta tramite la nomina a Cavaliere.
    Dall’altro lato, sapeva bene il motivo, almeno in parte. La conclusione di quel capitolo della sua vita, terminato con la fine dell’esilio data dalla sconfitta di Hoster Tully, aveva decretato un nuovo inizio per la vita del Roote, confermato anche dalla nomina che aveva ricevuto, con merito. E quindi, per coronare ed inaugurare l'inizio di un nuovo capitolo della propria esistenza, aveva deciso di terminare le lotte passate, perlomeno quelle facilmente risolvibili. Aveva teso una mano verso la Forrester, anche memore del rapporto di fiducia e di cortesia avuto con il padre. Non aveva mai capito fino in fondo il motivo della reazione eccessiva della ragazza, che era giunta a minacciare in malo modo, seppur fallendo.
    Così la guardo negli occhi, dopo molto tempo, finalmente in grado di scambiare due parole con lei. La guardò e vide rabbia, come sempre. Sembrava che la ragazza non avesse altra emozione se non una rabbia profonda, contro il mondo e contro di lui.
    Improvvisamente pensò di aver capito, di aver trovato la chiave di volta: la sua rabbia non era rivolta solo contro James, ma contro tutti. Aveva un malessere interno, che esteriorizzava per non morire internamente.

    -Pensate sempre che dietro a qualche gesto si celi un oscuro motivo? Eppure questo è evidente; io non ho fatto altro se non descrivere a chi non ne fosse a conoscenza la vostra maestria, le vostre gesta da guerriera. Voi pensate che io sia il peggiore dei farabutti, la feccia vivente, e questo pregiudizio vi annebbia la mente, vi rende cieca di fronte alla realtà, alla mia vera essenza. Il vostro odio è tale da farvi pensare che io voglia solo il male da voi, che sia pronto a tutto per farvi fuori o per allontanarvi, ma non è così: io non ho motivo di giudicarvi negativamente, né per la verità ho mai capito perché voi abbiate una considerazione così miserevole verso di me. Riconosco in voi una guerriera, una forte e coraggiosa, e per bontà del vero ho esposto questi semplici fatti dinanzi a tutti.-

    Fece una pausa, poi riprese.

    -Per la verità, mi si potrebbe etichettare come idealista, e sono sicuro che lo facciano in molti.- Disse sorridendo leggermente -Ma vedete, nonostante le vostre argomentazioni, ancora non chiare e forse neanche ragionevoli ai miei occhi, io non ho motivo per odiarvi, anzi tutt'altro. Si potrebbe quasi dire che la mia indifferenza verso di voi, se mi permettete questo termine, abbia permesso in un certo senso la nascita di un elemento bonario, che assieme al citato idealismo hanno fatto sì che io intervenissi al vostro fianco. Per carità, non crediate quindi che io sia in cerca di gloria, o di qualche tipo di potere: non sarebbe certo questa la mia strategia.-

    Era sinceramente divertito dalla sua discussione con la ragazza, poiché effettivamente, riflettendoci, James non aveva mai avuto il minimo interesse verso Corinna. Al pari delle decine di volti che passavano al suo fianco senza che egli se ne accorgesse, così accadeva ugualmente per la Forrester. Al massimo, per indole del Roote, tale indifferenza poteva migliorare, specie se ai primi incontri. La minaccia fallita, inoltre, aveva lasciato il tempo che aveva trovato, proprio a causa della sua mancata concretizzazione.

    -Non vi ho mai chiesto, a dirla tutta, il motivo del vostro rancore verso di me. Non vi ho mai chiesto del perché per voi la mia vita fosse così importante, tale da attirare la vostra attenzione ripetutamente, dal momento che nessuno di noi ha mai avuto il piacere, il tempo o ciò che gradite per poterci conoscere. Ho azzardato un’ipotesi, ma temo sia troppo disdicevole per essere ripetuta dinanzi a voi, se questo non lo considerate un affronto. In caso contrario, sarei sempre pronto ad esternare con voi il mio pensiero a riguardo, sperando tuttavia di non giudicarvi erroneamente in base alle rare, e brevi, occasioni in cui ci siamo incrociati. Sarò schietto, usando come banale scusa la mia maggiore maestria con la spada e non con le parole, per comprendere infine tale questione, un quesito lasciato librare in aria troppo a lungo. Perché, dunque, provate tanto astio nei miei confronti?-
  11. .
    Mentre si trovava immerso nei propri pensieri, il suo nome echeggiò nella Sala. Aveva notato, in precedenza, come già un'altra persona si fosse indirizzata verso il trono, dove si trovava il Re. Un uomo a lui sconosciuto, certo, ma pronto a ricevere la ricompensa, una delle tante che il Targaryen era pronto ad offrire, a quanto aveva detto. Quel soldato, pronto ad essere onorato dal Re, sembrava aver fatto qualcosa di molto speciale; stava per avere la possibilità di creare una nuova Casata, il padre fondatore di una nuova famiglia, proprio come aveva fatto il primo antenato della Casata Roote, e come la sua, tutte quelle di Westeros. Nonostante non conoscesse l'uomo, né, in quel momento, gli importasse conoscerlo, fu fiero di lui per il suo traguardo raggiunto, sicuramente simbolo di valore e virtù.
    Poi, subito dopo, venne il suo nome: improvviso, inaspettato, rapido. Era stato necessario il silenzio dopo le acclamazioni per Valerian, e senza indugiare oltre fu chiamato il Cavallo dei Fiumi. Un senso di orgoglio si impadronì del ragazzo mentre percorreva la strada, con gli occhi puntati verso di lui, fino a giungere davanti al Re per inginocchiarsi. Pochi istanti, ma bastarono per avere la certezza di un fatto: non sarebbe stato nominato Lord delle Terre dei Fiumi. Perché seguendo il ragionamento poco prima iniziato, era semplicemente troppo estraneo al Re, nonostante le sue azioni di lealtà.
    Una volta in ginocchio, egli vide l'acciaio della spada percorrere traiettorie molto vicine alla propria testa; sebbene fosse una rappresentazione di ricompensa, così non appariva agli occhi del primo spettatore, nonché protagonista, James Roote. Non che non fosse onorato della carica, o che non ne andasse fiero. Da farabutto delle Terre dei Fiumi, nobile qualsiasi di dubbia provenienza, a Cavaliere del Regno e del Re. Ma era proprio questo che lo preoccupava: quella spada, passata così vicino al collo del vincitore, rappresentava molto più di una semplice cerimonia. Era un promemoria, una sorta di condanna. Indicava che da quel momento in poi, James avrebbe obbedito al Re prima di ogni altra persona. E poteva anche dirsi fortunato, in un certo senso. Facendosi controllare, come stava succedendo tramite quella ricompensa, aumentava le proprie possibilità di diventare Lord dei Fiumi, in un futuro prossimo non bene identificato. Eppure, sarebbe potuta diventare una terribile punizione, se il Roote non fosse stato intelligente da lì in poi.
    Ma in quel momento, dopo aver risposto in modo quasi meccanico la formula di rito, più di ogni altra cosa egli si sentiva soddisfatto. Non importava, in quegli istanti, i giochi di potere che si sarebbero potuti creare, importava solo la carica appena ricevuta. Certo, niente in compenso a quanto chiesto, ma un passo decisamente fondamentale per la propria imposizione e per il proprio futuro.
    Vide il Re ridere, e sorrise con lui, simpaticamente: sapeva che il Targaryen fosse a conoscenza dei pensieri del Roote, poiché da quando si era presentato aveva rivelato il proprio piano, e non poteva di certo biasimare il Re per come si stava comportando, né per la risata bonaria. Quella era una delle prime prove che James avrebbe dovuto affrontare se fosse voluto diventare Lord, ed il Re stava facendo in modo che il Cavallo dei Fiumi lo capisse. D'altra parte, era entrato Lo Spogliato, e ne stava uscendo Ser James Roote.
    Tornò al proprio posto, soddisfatto del proprio percorso compiuto fino a quel momento, e fremente dal desiderio di raccontare il proprio traguardo a Daeva, la sua compagna di viaggio passato e futuro, alla quale doveva molto del merito per l'uomo che era diventato e per ciò che aveva ottenuto.
    Dopo la propria nomina, venne il momento di Corinna. E scoppiò il putiferio. Ai soldati presenti, ai Lord, non andava affatto bene quella spolverata di modernità, con la nomina di una donna a Cavaliere. E come biasimarli? Tuttavia, la protesta, seppur non diretta in prima persona verso qualcuno, animava l'animo e la bocca di numerose persone, creando un brusio molto forte nella Sala, tanto da richiedere l'intervento immediato di un nobile.
    Eccolo di nuovo, il Redwyne; non aveva perso occasione, da quando era entrato nella Sala del Trono, a mettersi in mostra. Che fosse ambizioso, lo si poteva intuire dalla propria tempestiva presentazione al Re, e da come si era rivolto al Primo Cavaliere. Lui aveva in mente un piano, voleva ottenere qualcosa, ma giocava a carte coperte, e nulla era decifrabile. Forse, come James, era a caccia del titolo per la propria terra d'origine. A Tosco si aggiunse Caleb, che difese Corinna come Lord di Grande Inverno. Eppure, serviva qualcuno, se mai ce ne fosse stato bisogno, che intervenisse a nome del Re. E chi meglio di un Cavaliere appena nominato che aveva giurato di servirlo?

    -Signori miei, vi prego di non scaldarvi così tanto... Questa nomina apparirebbe ben più meritata se conosceste la donna che l'ha ricevuta, se aveste combattuto insieme a lei. Credo siate tutti a conoscenza della forza, della lealtà e del coraggio che contraddistingue le donne del Nord, quindi perché stupirsi di una giusta ricompensa data ad una guerriera meritevole?-

    Disse il Roote facendo dei passi in avanti, come a voler difendere la Forrester ed il Re, e per mostrarsi davanti a tutti. Era giunto infine il momento di tendere una mano a Corinna, per riappacificare una relazione che per motivi a lui sconosciuti aveva portato la ragazza al punto di minacciarlo.

    -E se non vi fidate del mio giudizio, quando mi metto in gioco in prima persona per difendere l'integrità di Corinna Forrester e la nomina da lei ottenuta in modo meritevole. Ebbene, se non vi fidate del mio giudizio, se non vi fidate del giudizio di Lord Caleb Stark o di Tosco Redwyne, come potreste dubitare di quello del Re, del nostro Re che in questa Sala, in questo momento, ci riunisce finalmente in pace, dopo mesi di guerra? Entriamo, dopo questa scellerata campagna che ha visto i giusti vincitori dalla giusta parte, in un periodo di rinnovata pace, in un momento di stabilità che porta nuove opportunità per tutti. E quindi perché non permettere ad una guerriera che ha combattuto per il Re, che ha combattuto per tutti noi, e che come tutti noi ha fatto sì che si potesse raggiungere una nuova era di pace, perché non garantirle la ricompensa che si merita? Io vi dico, signori miei, che se giuriamo davvero di seguire il Re, se davvero siamo tutti fedeli del suo giudizio e onesti portatori di un nuovo ideale di pace, allora non dobbiamo essere solo in tre a garantire per Corinna Forrester, ma dobbiamo essere tutti quanti, dovete essere tutti voi, come è stato fatto con me e con Valerian.-

    Per quel discorso, il Roote aveva parlato con il cuore; nonostante il sesso opposto, si ritrova in ciò che aveva detto. Stava credendo in Corinna quando nessuno lo aveva fatto, proprio come era successo con lui. E stava tendendo una mano amichevole e pacifica alla ragazza, sperando che lei la afferrasse.

    1162 parole.
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    La Regina madre, nel suo ambiente, sembrava trovarsi a proprio agio. Una volta entrati Red Karstark ed Aconé Tyrell, e mostrato i doverosi omaggi, la ragazza iniziò a parlare, mostrato le qualità di colui che appariva come un amico fidato, e presentando alla vista un magnifico scudo, o quantomeno così decantato da entrambi.

    -Lady Aconè, Lord Karstark, sono felice di vedervi... E di certo mi fido di voi, Lady Aconè: se mi descrivete quest'uomo come un caro amico, e come persona retta, certamente lo sarà... Dunque, Lord Karstark, tiratelo fuori. Mostrate!-

    Rhaella toccò le venature descritte da Red, mentre lui continuava a descrivere il grande arnese.

    -Capisco certo l'invidia, le dimensioni non passano inosservate. Vedete- disse guardando il ragazzo negli occhi -Io, se così si può dire, ne ho visti molti, ed anche molto grandi... Si capisce, in alcuni luoghi molto lunghi, ma mancano di spessore, in altri l'inverso. Per questo vi dico, dopo anni ad aver visto opere del genere, ho capito una cosa: non è tanto la grandezza, ma la durezza. Vedete, di questa opera in particolare, da voi maneggiata ripetutamente, la marmorea resistenza si nota al tatto, ed anche alla vista. Si capisce bene come abbiate lavorato con perizia, e questo è molto importante. Tuttavia, se non mostrasse tutta la propria potenza nel momento del bisogno, la propria indomita preponderanza, se non si dimostrasse resistente e duro durante i momenti di massimo sforzo, sarebbe certamente un disappunto. Ecco perché ritengo che sia molto più importante la durezza... Ma sono certa che non ci siano suddetti problemi in questo caso.-

    Apprezzava, evidentemente, la durezza, la potenza, la grandezza, ma non appariva intimorita da questi tratti, segno di una certa esperienza. D'altra parte, gli anni erano dalla sua: più esperta del Karstark, sebbene non fosse ancora in grado di costruirne uno, aveva avuto modo di affinare le proprie bravura nel riconoscere il valore di quegli oggetti. Ed il modo di usarli.

    -Durante questo periodo di rinnovata pace tra i Regni, trovo fondamentale unire le relazioni per rendere i Sette Regni ancora più legati. Per questo motivo, non avrò problemi a ricorrere all'utilizzo delle vostre abili dita... Ma devo avvertirvi: non sono facilmente accontentabile, ed a causa di ciò potrei irritarmi se non venissi accontenta.-

    Aconé, nel frattempo, era uscita dalla stanza, per impellenti doveri con il figlio. Questo faceva sì che all'interno ci fossero solo la Regina madre e Red, mentre due guardie sostavano fuori dalla porta, chiusa subito dopo l'uscita della Rosa.

    -Ma prego, ditemi... Raccontate della vostra abilità con le dita, sono curiosa. Sono altresì sicura, vedendo la vostra rettitudine ed il vostro ingegno, che molti abbiano gradito il vostro operato, la vostra maestria. Com'è nata?-

    Chiese la Regina sedendosi comodamente su una poltroncina, ed invitando il Karstark a fare lo stesso. Non aveva ancora accettato che Red si mettesse d'ingegno per poter realizzare una delle sue opere; forse, con il racconto richiesto, nel caso fosse stato esaustivo, avrebbe cambiato idea.
  13. .
    Come previsto dallo stesso Ausel, reazioni più o meno eclatanti si dipinsero sul volto delle ragazze, chi con maggiore teatralità e chi più sobriamente.
    In ogni caso, la prima a parlare fu Sheira, la quale tra le altre sembrava né troppo arrabbiata, come Ayleen, né troppo tranquilla come Elly.

    -Lord Lydden... Voi siete impazzito! Non c'è altra spiegazione, se non questa. Sono forse io a dovervi spiegare la delicata situazione in cui ci troviamo? O per caso volete che il nostro corpo sia un buon pasto arrostito per il drago? Non vorrei mancare di rispetto, tuttavia...-

    -Mai!- esclamò in tono perentorio Ayleen, interrompendo la figlia di Tywin. La ragazza, non avendo bisogno di alcuna etichetta per dialogare con il Lord, fece capire tutta la propria rabbia con una sola parola. Ed Ausel, dal canto suo, avrebbe potuto facilmente notare come il suo sguardo fosse tutt'altro che bonario.

    -Quello che sta cercando di dire Ayleen, Lord Lydden- continuò la più grande, cercando in qualche modo di mediare per raggiungere ciò che voleva -È che per noi è quanto mai rischioso avventurarsi fino ad Approdo, in più in simili... Circostanze. Perché... Vedete, voi sapete il mio pensiero circa la protezione che potete offrire a tutte noi mentre siamo esposte, al di fuori della fortezza. E come detto, sapete molto bene quanto io mi fidi delle vostre abilità. Ma per carità, non è su questo che tratteremo tale argomento, poiché entrambi sappiamo abbastanza ormai. Tuttavia, come ben potreste immaginare, teniamo abbastanza alla nostra esistenza, al punto da non gettare come semi al vento la vita, indirizzandoci verso il nostro stesso nemico. Qui siamo al sicuro, qui abbiamo un posto in cui stare, perché dunque muoverci?-

    Elly in tutto questo continuava a stare in silenzio. Ayleen invece aveva già formulato, interiormente, qualche ipotesi sul motivo per il quale Ausel avesse chiesto a tutte loro di seguirlo. Tradimento forse? Sembrava la scelta più probabile. Sheira invece era l'unica che esponeva le proprie idee, certamente condivise da una delle due nipoti del Lannister. E se Ausel avesse voluto la loro presenza ad Approdo, avrebbe dovuto usare tutti i mezzi di persuasione a sua disposizione.

    Dunque, Sheira si fa da portavoce per il gruppo, e nessuno sembra essere in disaccordo con lei. Sta a te provare a convincerla!
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    Benvenuta!
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    Cara Daeva,
    È con grande gioia che ricevo queste tue lettere in questo momento, barlume di luce e speranza in momenti tanto bui. Il morale qui a Delta delle Acque è ottimo, dopo la vittoria sui Tully e la definitiva conclusione di questa ignobile guerra, ma troppo sangue è stato versato in questa battaglia, troppo per poter essere dimenticato così in fretta. E nel momento più sperato, alla fine della lotta, arriva la mia ora più buia, fatta di pentimento e dubbi. Non riesco a guardare le mie mani senza pensare al dolore che hanno causato. Ma perdonami, sto seguendo il filo sconclusionato dei miei pensieri, ancora in subbuglio. Proverò a descrivere come conviene, e mi perdonerai se in alcuni passaggi non sarò chiaro.

    Ti sono molto grato per le parole espresse, che rafforzano il mio animo ed il mio stato. Pensarti qui vicina aiuta nelle scelte da compiere, e di sicuro allevia la sofferenza, così come sapere che hai partorito una bambina sana e forte, proprio come avevo sperato. La gratitudine non può trasparire da queste mie parole, ma l'emozione riempie lo spirito, ed il pensiero di una simile creatura mi alleggerisce il cuore.

    Conscio che al nostro prossimo incontro potremo parlare per bene, non posso che dirti attualmente che supporto ogni tua decisione circa la riscoperta dei misteri che circondano la tua casata, e vorrei per questo accompagnarti in questa missione. Ne parleremo meglio in futuro, questo è certo, ma ci tengo ad anticiparti i miei pensieri. Per quanto riguarda il tale Red Karstark da te nominato, so che ha partecipato all'assedio anche lui, e fa parte del contingente del Nord. Proverò ad avvicinarmi a lui, magari riuscirò a scoprire qualcosa di utile. Inoltre, ti scongiuro e prego affinché il tuo viaggio sia senza pericoli e senza intoppi, poiché il pensiero di te al sicuro mi rende vivo e speranzoso per il nostro ricongiungimento.

    Ed a proposito di Delta delle Acque, ti comunico con felicità che la guerra è finita. Non c'è altrettanta gioia nel mio animo, giacché esso è preda del tormentato e del buio più che mai, ma la forza vitale che proviene dalla fiducia di rivederci e stare di nuovo insieme mi permette di andare avanti in questa ora terribile. È stato un massacro indescrivibile, e se la furia mi pervadeva come una fiera indomabile durante il combattimento, con altrettanta bestialità affronto la pena e la condanna di aver ucciso così tanti uomini. Neanche la pioggia è riuscita a pulire la pietra e la mia armatura, tanto era il sangue versato. Ma perdonami, non vorrei tediarti con argomenti così scabrosi, sebbene sappia che anche tu hai assistito a scenari simili. Tuttavia, nonostante le numerose battaglie insieme, ti assicuro che mai ho visto eguali alle scene presentatesi davanti a me qui a Delta.

    In ogni caso, ho ritrovato mio fratello, sebbene ci sia stata una discussione tra noi due, poiché ha disertato dai suoi doveri derivati dalla posizione sociale, lasciando Harroway in balia degli eventi e senza una guida. Parlando con lui, inoltre, mi è sembrato di ascoltare un bambino delirante, non quell'uomo che speravo di incontrare dopo mesi al Nord, e questo è stato un duro colpo. Sta fuggendo da qualsiasi responsabilità, rifugiandosi in argomentazioni da quattro soldi e malcelata ipocrisia. Come un infante quando gli viene fatto un torto, minaccia di allontanarsi dalla famiglia, rinnegando ciò che ha accettato per anni. Ho provato a farlo ragionare, ma temo sia del tutto inutile. Se non prenderà una giusta strada, temo che le conseguenze saranno importanti, e la strada dovrà essere tracciata da elementi terzi. Spero, con tutto il cuore ed il bene per la famiglia, di sbagliarmi.

    Insieme a mio fratello ed al contingente del Nord, siamo stati richiamati ad Approdo per giurare fedeltà al Re, un atto puramente formale a quanto ne so, quindi per ovvi motivi il mio ritorno ad Isola sarà ritardato di un paio di mesi. È per questo motivo che ti chiedo, ti imploro e ti supplico, compatibilmente con i tuoi doveri, di scendere ad Approdo, per poterci incontrare, senza dover aspettare mesi. E perdonami se risulterò invadente ed offensivo, ma la tua presenza al mio fianco è divenuta così essenziale, maturata nella mia mente così a lungo, che ho un impellente bisogno di averti accanto a me, di ossevarti, di sentirmi protetto, di abbracciarti. Ho bisogno di te, fisicamente ed emotivamente, come non ho mai necessitato di nessun altro. Ardo quanto mai nel bramoso desiderio di starti accanto e non separarci mai più, poiché terribile sono i momenti in cui ti attendo lontano, mentre il tempo sembra non scorrere mai, come una punizione divina. E forse, una punizione lo è: grazie a questa, capisco che tu sei l'unica persona in tutta Westeros a desiderare, l'unica che occupa la mia mente in pace ed in battaglia, che mi permette di combattere e di vivere con delle speranze. Se la mia condanna è la guerra, la mia redenzione sei tu.

    Daeva, sei la mia musa, e come un suonatore senza il suo strumento, sono perso in un mondo di cui faccio parte ma non riesco ad afferrare. Non ho le capacità, senza di te, di rimanere a galla, e sopravvivo durante la mia vita, senza riuscire a viverla. Accanto a te, i miei occhi riescono a riempire di colori l'intero cosmo, altrimenti condannato ad un triste binomio di bianco e nero. La quantità di emozioni che mi assalgono mi annebbiano la mente, tanto sono forti. Le parole non riescono ad esprimere ciò che la mente ed il cuore partorisce, quelle sensazioni esplicabili solo con gesti arditi ma profondi. La lontananza non è più sopportabile per il mio animo, che ha bisogno di quella energia che solo tu hai, quelle emozioni che sono tu trasmetti. E devo ammettere, arrossisco mentre ti scrivo questa lettera, ed altre sono sparse per la stanza, poiché incerto se stessi scrivendo la cosa giusta o no. Ma sono sicuro, Daeva, che esprimere ciò che sento a te sia la scelta giusta, poiché sono sicuro di ciò che provo. Come già scritto, mi scuso se non sono riuscito a dare una forma ordinata e precisa dei miei pensieri, ma non avrei potuto fare altrimenti.

    Con sincero ed immenso affetto,
    tuo James.

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