Cavalli di Rovo. Più che una libera, una soap opera

Libera viaggio+cure con png studioso

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    Alfiere

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    11 Marzo 285



    Kammo strinse a sé a Davvi, felice di vederla così orgogliosa. La prese lì, davanti a tutti, prima in piedi, poi a terra, infischiandosene delle occhiate perplesse dei guerrieri, quando probabilmente ai loro occhi perse tempo in lunghi preliminari, preliminari che però piacevano tanto a Davvi e alla fin fine piacevano pure a lui. Se ne fregò anche del fatto che probabilmente avrebbe dato scandalo prendendola da davanti, ma per fare pari la prese poi anche da dietro. E la prese anche dopo che se la portò in tenda. Insomma probabilmente era stato l’amplesso più lungo che s’era mai visto nel mare d’erba, ma ora che aveva finalmente tempo e meno preoccupazioni, aveva sfogato tutto il desiderio represso che aveva accumulato in anni di solitudine. Alla fine, come aveva preventivato, esausto e soddisfatto si accasciò accanto a Davvi, sul letto di pelli incredibilmente comodo rispetto alla dura terra alla quale era abituato e si risvegliò solo il giorno successivo, un poco dolorante, magari aveva esagerato, ma alla fin fine non gli importava poi tanto.

    12 Marzo 285



    Il primo ordine del giorno successivo fu di mandare quattro esploratori sulla strada verso vaes dothrak per assicurarsi di non avere sorprese. Intanto l’accampamento venne smontato e il khalasar si mise in moto e Kammo si rese conto di quanto fosse lento spostarsi con un khalasar. C’erano donne, vecchi, bambini e schiavi e soprattutto diverse persone erano appiedate. Impedì ai suoi uomini di frustare gli schiavi. Picchiarli non avrebbe messo loro le ali. Vedendo lo sforzo del cavallo assegnato al carro, Kammo si convinse di doversi procurare una bestia più potente. Non gli importava la velocità, gli serviva la potenza per poter smuovere il carro e il carico su esso trasportato. Un mulo, un bue, qualsiasi cosa. Doveva razziarne uno, era poco ma sicuro. Organizzò dei turni, in modo che chi era appiedato potesse stare a turno sul carro, schiave comprese. Gli schiavi maschi invece avrebbero camminato, erano robusti. Durante lo spostamento incaricò Gralato di guidare il khalasar e Kammo prese con sé un guerriero armato di arco e andò a caccia. Che meraviglia l’arco! Doveva assolutamente procurarsene uno e imparare a usarlo, era utilissimo con la caccia. Unendo la sua esperienza decennale come cacciatore e l’esperienza di Nero con l’arco, tornarono al khalasar con un numero di prede atte a soddisfare tutti e forse ne sarebbe anche avanzato.
    Continuò la marcia sino al primo pomeriggio e poi decise di far accampare il khalasar.
    Mise Oqetti e Tirli a cucinare e si assicurò che anche gli schiavi ricevessero una generosa porzione di carne, visto che ne avevano in abbondanza. Se si fossero indeboliti, avrebbero rallentato ulteriormente il passo del khalasar e Kammo non lo voleva. Aveva dovuto camminare due, tre ore in più per percorrere quanto aveva percorso in mezza giornata nei giorni precedenti. Non voleva ritrovarsi a impiegarci un giorno intero.
    Nel resto della giornata si prese cura dei cavalli e lasciò che chi voleva potesse andare a caccia, ma aveva spedito 4 guerrieri verso i quattro punti cardinali al limitare dell’orizzonte. Se avessero visto una minaccia sarebbero tornati di corsa e il khalasar si sarebbe preparato a combattere o fuggire.
    Quand’ebbe finito con i cavalli, approfondì la conoscenza con Elaji e Jilli le due anziane dothraki del khalasar. Non erano più fertili, ma sapevano far nascere bambini, quindi c’era da sperare che vivessero ancora a lungo e insegnassero alle altre femmine come fare. Sapevano anche riparare le selle e gli abiti di pelle, quindi per quanto fossero lente e deboli, erano membri utili e importanti per quella piccola famiglia.
    Al tramonto si radunarono tutti attorno al fuoco, assieme alle quattro vedette che erano rientrate all’imbrunire. Mangiarono, bevvero, scoparono chi vollero, anche se Kammo si assicurò che non maltrattassero nessuna, che si trattasse di schiave o di dothraki. Non voleva rischiare che l’indomani le donne doloranti rallentassero la carovana. Potevano montarsele, ma senza far loro del male, fu categorico. Magari le donne non erano proprio consenzienti, ma alla fine era consuetudine che le donne si sottomettessero ai pruriti maschili e accettarono quelle attenzioni passivamente. In fondo l’interesse degli uomini si spegneva rapidamente così come era venuto. Tranne quello di Kammo per Davvi, che fu persino costretto a interrompere l’amplesso perché doveva iniziare il suo turno di guardia. Aveva deciso che quella notte lui si sarebbe occupato dei cavalli e prima dell’alba Garro gli avrebbe dato il cambio. Quindi dovette interrompere nel bel mezzo il suo piacere, dopo aver già fatto godere la moglie. Si scusò, rimise mal volentieri l’erezione dentro i calzoni e baciò ancora Davvi.
    “Jalan atthirari anni, quando finisco il turno, se sarai sveglia, finirò” le assicurò.
    E con quel pensiero rimase con la salsiccia mezza sveglia per tutto il suo turno di guardia. Non vedeva l’ora di tornare nella tenda e finire quello che aveva iniziato. Ringraziò mentalmente il Grande Stallone e verbalmente Garro quando questi venne a dargli il cambio e a passo svelto raggiunse la propria tenda. Vi entrò e nelle deboli luci del braciere vide il corpo nudo di Davvi steso sulle pelli. L’aveva aspettato nuda, bella come non mai… ma era crollata per la stanchezza. In fondo allestire l’accampamento non era un’impresa da poco e la maggior parte del lavoro lo facevano le donne e gli schiavi.
    Kammo non se la sentì di svegliarla. Sospirò e rassegnato uscì dalla tenda, accomodandosi attorno al focolare ormai morente. Ravvivò le braci e si guardò attorno. Gli schiavi dormivano vicino al fuoco, all’addiaccio. Il suo sguardo indugiò su Mirri, sulle sue forme coperte da quell’indumento di tessuto ormai sporco e logoro, ma decisamente esotico agli occhi di qualcuno che in vita sua aveva indossato solo pelle e pellicce.
    Scosse il capo. Si era già dovuta prendere il cazzo di Mago e Nero quella sera, se anche glielo avesse chiesto non avrebbe di certo voluto pure il suo. Ma il suo compagno calvo era affamato, aveva aspettato per ore di potersi rituffare nel pertugio caldo-umido di Davvi e invece gli sarebbe toccato rimanere a secco. Kammo sospirò rumorosamente, sciolse i lacci dei calzoni e iniziò a masturbarsi. Non era come Davvi, ma era sempre meglio di nulla. Reclinò un poco il capo, socchiudendo gli occhi, mentre il respiro si faceva più pesante. Gettò un languido sguardo sul corpo di Mirri, per stuzzicare la propria fantasia, ma gli si gelò il sangue nelle vene quando si rese conto che lei era sveglia e lo stava fissando.
    Kammo puntò lo sguardo sulle fiamme, continuando a darsi piacere, anche se quell’improvviso disagio aveva raggelato un poco il suo entusiasmo.
    “Perché ti tocchi?” domandò Mirri.
    “La Khaleesi dorme… Non voglio disturbarla” rispose Kammo.
    “Perché non prendi me o un’altra donna?”
    “Perché tu dormivi e le altre pure” rimbrottò Kammo infastidito. Si fermò e posò le mani sulle ginocchia, fissandola. “Devi fissarmi ancora per molto?”
    “Ora sono sveglia” fece notare lei, tenendo lo sguardo basso.
    Kammo alzò le sopracciglia e lo sguardo corse sul tessuto che fasciava il corpo della schiava. Si umettò le labbra e poi distolse lo sguardo in imbarazzo. La sua libidine lo prese a pugni nella sua testa. “Hai già soddisfatto due uomini oggi… e hai pianto ogni volta” commentò con uno sbuffo.
    “Ma se loro metteranno un bambino dentro di me, tu hai detto che mi farai trattare bene. E già lo fai… oggi mi hai fatto stare sul carro e me e anche a mia nonna” rispose Mirri.
    Kammo annuì. “Sì, l’ho detto e io mantengo quello che dico” rispose.
    La schiava si alzò e si avvicinò. Alzò le mani dietro la nuca e sciolse il laccio che sosteneva il vestito, il quale scivolò a terra, svelandone la nudità.
    Kammo si ritrovò con lo sguardo esattamente all’altezza del triangolo scuro della ragazza e schiuse le labbra, inspirando d’apprezzamento. Alzò lo sguardo sul quel corpo dalla pelle più chiara di quella di Davvi, per lo meno dove era stato tenuto nascosto dal vestito I seni più piccoli di quella della moglie. Mirri era donna, ma era diversa dall’unica donna che lui aveva conosciuto. Kammo sbuffò rumorosamente, mentre la schiava si inginocchiava davanti a lui. “Non mi importa se fa male… voglio un bambino dei signori dei cavalli dentro di me. Mettine uno tuo, ti prego.” Probabilmente sperava che se avesse avuto un figlio dal khal le sue sofferenze sarebbero state ulteriormente ridotte.
    Kammo alzò le iridi scure dai capezzoli della giovane e le portò al di lei viso. Aggrottò la fronte. “Ti fa male?” scosse il capo perplesso. “A Davvi non fa male… tranne quando ho troppa fretta e glielo metto dentro senza prima farla sbrodol…” Si zittì. Aveva sempre visto prendere, nessun corteggiamento, nessuna preparazione. Solo penetrazione, una dozzina di colpi in media e via. Persino lo stallone corteggiava le femmine più a lungo prima di montarle…
    “Be’ magari hai già un bambino dentro… ma se per sicurezza vuoi provare anche con me… mica dico di no” rispose, accennando un sorrisetto. Si inginocchiò a sua volta e Mirri automaticamente gli diede le spalle sollevando il pube.
    Kammo aggrottò la fronte. Non che la visuale gli dispiacesse, ma gli sembrava tutto così… rapido. Non voleva mica stuprarla e nemmeno farle male solo per avere il proprio piacere. Era una schiava, ma era comunque sotto la sua responsabilità.
    Si risedette, mise le mani sui fianchi di Mirri e se la tirò vicino, costringendola a sedersi tra le sue gambe, la schiena nuda contro il suo petto e l’amico calvo che le premeva contro i lombi. Lasciò scorrere le mani sul corpo di Mirri, accarezzandone i fianchi, le cosce, le braccia, le prese i seni, stringendoli gentilmente eppur con decisione. Oh sì, era fatta proprio bene, anche se aveva sulla pelle i segni della frusta. Quella ragazza era magra, poteva sentirne le costole sotto la punta delle dita. “Dovrò darti più cibo” disse cupo. “Una cavalla troppo magra non fa puledri sani” spiegò, sentendo quell’esile corpo tremare tra le sue braccia. Mirri era tesa, spaventata, stava barattando il suo corpo in cambio della promessa di una vita migliore, per quanto potesse essere migliore la vita di una schiava. Sussultò quando Kammo le baciò una spalla, risalendo poi lungo il collo. Il sapore della sua pelle non era deciso come quello di Davvi, era più delicato. Quando le prese l’orecchio tra gli incisivi, il corpo della giovane fu scosso da un brivido violento. Paura che volesse morderla? Forse. O magari c’era anche un poco di piacere? Forse era solo un’illusione di Kammo, in fondo la sentiva ancora così rigida tra le sue braccia.
    Chissà che sapore aveva la fica di una donna agnello… Ma l’idea di leccare dove poco prima un altro dothraki aveva messo il suo uccello non è che gli arrideva molto. Pazienza, voleva dire che, invece della lingua, avrebbe usato le dita. In fondo aveva scoperto che a Davvi piaceva essere toccata anche da quelle, con delicatezza però, perché una volta le doveva aver fatto male, al punto che la ragazza si era scostata di colpo da lui.
    Memore di quell’esperienza, Kammo lasciò scivolare la mano sinistra lungo il ventre di Mirri, sino a insinuarla tra le sue cosce, accarezzandone la femminilità.
    Lei sussultò imbarazzata, o forse spaventata e si irrigidì all’intrusione, ma almeno non provò dolore.
    Kammo iniziò a muovere le dita dentro di lei, lentamente, continuando a baciarle il collo. Non ci volle molto affinché il corpo di Mirri rispondesse a quella stimolazione. Gli umori della giovane iniziarono ad avvolgere le dita di Kammo, il clitoride fece capolino e Kammo iniziò a giocherellarci con le dita. Mirri appoggiò la schiena al petto di Kammo, il respiro le si fece affannoso, accelerato. Era sicuramente più ostinata di Davvi. Sua moglie sarebbe venuta prima, mentre Mirri era come frenata da qualcosa.
    Kammo pensò fosse perché lui era brutto come la fame, non certo perché era stata strappata da casa, stuprata più volte, percossa o anche solo perché era in mezzo agli altri schiavi e chiunque si fosse svegliato li avrebbe visti… insomma a quelle cose non ci diede peso… pensò fosse solo colpa della sua orrida bruttezza.
    Si coricò su un fianco, assieme a Mirri, continuando a baciarla. Smise di stronfinare le dita tra le sue gambe, solo per afferrarsi l’asta e indirizzarla nel punto giusto. Entrò lentamente, trattenendo l’irruenza anche se la voglia era tanta. Sentì Mirri irrigidirsi di nuovo e le passò un braccio sotto la testa, mentre con l’altra mano tornò a stimolarle il clitoride. “Ora prega il Grande Stallone, affinché ti benedica con un figlio.”
    “Il Grande Pastore” disse lei.
    Kammo aggrottò la fronte. “No, prega Verzhof! È l’unico dio, è lui che fa nascere i dothraki” spiegò e poi iniziò a muovere il bacino.
    Forse non fu attento come era con Davvi, in fondo Mirri era solo una schiava, ma era la sua prima donna straniera. Se la gustò, affondo dopo affondo, carezza dopo carezza, bacio dopo bacio. Quando finalmente il suo ardore si sfogò tra i lombi di Mirri, Kammo la strinse a sé, strofinandosi contro di lei soddisfatto.
    Kammo non sapeva dire se anche la schiava avesse raggiunto il piacere o meno, quindi si scostò un poco e le osservò il viso alla luce tremolante del fuoco. Lei lo fissò ansante, la pelle sudata, l’indice della mano destra stretto tra le labbra, forse per soffocare i gemiti di dolore? O di piacere? Incrociò lo sguardo di Kammo qualche istante e lo distolse intimorita.
    Kammo le accarezzò la guancia e sorrise. “Non hai pianto! Spero di non averti fatto male. Mi hai dato molto piacere Mirri. Se troverò Davvi addormentata un’altra volta, magari ti verrò a cercare ancora!” le disse, schioccandole un bacio sulla guancia. Si alzò e se ne andò a dormire accanto a sua moglie.

    13 Marzo 285



    La giornata proseguì come la precedente, fatta eccezione per una breve pioggia che rallentò il cammino di tutti. La caccia fu più proficua, perché gli uccelli volavano basso per afferrare gli insetti e Nero era un ottimo arciere. Raggiunsero il corso d’acqua che Kammo aveva incrociato all’andata e stavolta il khal diede ordine di accamparsi sulle rive. Ora che potevano contare su turni di guardia adeguati, potevano arrischiarsi a stare vicino a un corso d’acqua. Ne approfittarono per lavarsi e pescare. Finalmente Kammo poté liberarsi del sangue secco che aveva infilato ovunque. Davvi gli ricompose la treccia sotto lo sguardo divertito delle altre donne. Era da quando dopo la prima notte dopo la genesi di quel khalasar che le donne lo guardavano e ridevano, a volte gli lanciavano lunghe occhiate insistenti che lo lasciavano perplesso. Forse non lo consideravano un buon khal, forse era così brutto e strano e ridevano di lui.
    Sperò che fare l’amore con Davvi scacciasse quella preoccupazione, ma il sonno che seguì l’amplesso fu comunque agitato. Poi arrivò l’allarme. Kammo saltò in piedi, brandì il proprio arakh ed uscì di corsa dalla tenda. Aveva chiaramente riconosciuto la voce di Oqetti che gridava. Quello che gli si parò davanti agli occhi era un branco di cani selvatici che era riuscito a far incursione nel campo. Uno degli animali aveva afferrato Oqetti per una caviglia e la stava trascinando verso le tenebre. La giovane scalciava e lottava con un altro cane che cercava di azzannarla alla gola. Kammo si gettò alla carica, spaccò la schiena del cane che cercava la gola della donna e a quell’azione mise in fuga l’altro che però venne raggiunto da una freccia di Nero.
    Kammo si inginocchiò vicino a Oqetti, controllandone lo stato. Aveva una brutta ferita sulla caviglia, gli altri erano graffi, ma era meglio curarla.
    “Va tutto bene, Oqetti, ora sistemiamo tutto” assicurò. “Gralato, stai di guardia mentre la curo” disse prendendo la ragazza in braccio. “Voi altri tornate pure ai vostri posti e a riposare chi non è di guardia. Da domani quando ci accamperemo voglio le tende delle donne e dei cavalli al centro dell’accampamento” sentenziò. Non avrebbe più permesso che le cose più preziose del khalasar fossero tenute sul perimetro, mettendo a rischio donne e cavalli.
    Gralato li scortò al fiume distante appena una ventina di metri e piantò una torcia a terra, mentre si mise di guardia con il proprio arakh al limitare del cerchio di luce, scrutando le tenebre. Kammo mise a terra Oqetti e le lavò la ferita, controllandone poi la profondità. La medicò come poteva e alla fine gliela fasciò. “Domani andrai a cavallo con Davvi, non puoi certo camminare per un po’” disse e poi le accarezzò il polpaccio e sorrise. “Hai le gambe lisce anche tu! Anche Davvi le ha lisce ora!”
    “Nostra madre ci ha insegnato a farci più belle agli occhi degli uomini e io e mia sorella ci siamo prese cura della Khaleesi, mio Khal” disse Oqetti. “Ti piace?” chiese poi.
    “Oh… la pelle di Davvi ora è così liscia! Tu e Tirli siete state brave!” rispose lui e poi si zittì quando Oqetti spinse il busto in avanti avvicinando il viso a pochissima distanza. Oqetti portò una mano a sfiorare la caviglia offesa, incontrò la mano del Khal e risalì lungo l’avambraccio di Kammo, sino a tastare con mano uno dei bicipiti.
    “Mi hai salvato” disse sommessamente. “Sei così forte” aggiunse, fissando Kammo negli occhi.
    “Be’, sono il khal, devo difendere il mio khalasar… e per farlo devo essere forte…” disse lui.
    Oqetti intrecciò le braccia dietro la nuca di Kammo sfiorandogli le labbra con le proprie. “Mi hai salvato due volte” sussurrò, baciandolo poi con trasporto. Kammo si ritrovò spiazzato di fronte a tutta quell’intraprendenza. La sua salsiccia aveva già raddrizzato la testa, mentre lui si domandava se era possibile che una donna stuprasse un uomo.
    Le prese il volto tra le mani, ricambiando quel bacio irruento, poi la scostò e la fissò perplesso. “Cosa fai?” chiese sospettoso. In fondo erano giorni che non facevano altro che ridere di lui.
    “Mi dono al mio khal per ripagarlo di avermi salvata due volte” rispose lei adagiando le spalle sulla terra umida della sponda, sollevando la pelle del gonnellino che le copriva i fianchi sottili sino a mettere in mostra la sua femminilità. “Voglio sentire le tue mani su di me, voglio sentirti dentro di me, voglio gemere come fai gemere la tua khaleesi” le disse sorridendo sorniona. “Nessuno è come te nel khalasar” aggiunse. Kammo aveva gli occhi fissi su quello che lei gli stava offrendo. Portò uno sguardo alla schiena di Gralato, ancora intento a fare la guardia.
    Alla fin fine non la stava stuprando, era lei che gli si offriva, gliela stava letteralmente sbattendo sotto al naso.
    Era una situazione insolita, completamente nuova per lui. Aveva davanti una donna… che lo voleva. E non era sua moglie, era qualcuna che voleva quello che lui sapeva dare alle donne. Sorrise a quel pensiero, sovrastò Oqetti puntellandosi sul braccio sinistro e la prese con irruenza. Rapidi e potenti affondi, conditi dai propri gemiti di piacere, dallo scampanellio della treccia che ondeggiava a ogni poderoso affondo del bacino, mentre la mano destra esplorò il corpo di Oqetti. Era diversa, sia da Mirri che da Davvi. Quella fu la sua prestazione peggiore in termini di durata, ma dalle graffi che Oqetti gli aveva lasciato sulle braccia e dai suoi gemiti di dolore misto a piacere non doveva essergli dispiaciuto poi così tanto. Ma a Kammo diede fastidio l’aver concluso così in fretta, quindi affondò il viso tra le sue cosce dandole piacere con la lingua. Lei gli affondò le dita tra i capelli, mormorando “Sek” più di una volta, concludendo il tutto con un urlo liberatorio che fece girare anche Gralato che inarcò un sopracciglio all’indirizzo di Kammo, il quale si rivestì imbarazzato, prese Oqetti tra le braccia e la riportò da sua sorella e da sua madre. Mentre se ne tornava alla tenda, la sentì di nuovo ridere assieme a Tirli.

    14 Marzo 285



    L’indomani il khalsar si rimise in marcia secondo la ormai consueta tabella. Davvi però non voleva che Oqetti cavalcasse con lei.
    “Non può camminare, è ferita a una caviglia” le spiegò Kammo.
    “Perché non la fai cavalcare con te, Mio Sole e Stelle?” disse lei duramente.
    “Luna della mia Vita, devo andare a caccia io” replicò lui. Non gli piaceva che Davvi si opponesse a lui così apertamente davanti al khalasar.
    La prese per un braccio e si allontanò con lei, portandosi in disparte agli altri che stavano smontando il campo.
    “Perché fai così? Non hai mai avuto problemi a cavalcare con Oqetti prima…” chiese lui.
    Lei gli afferrò un braccio e fissò con rabbia mal celata uno dei graffi rossi che ancora gli decoravano la pelle. “Perché te la sei scopata e lei si vanta che con lei sei stato più uomo che con me” sibilò furente.
    Kammo aprì la bocca e allargò le braccia. “Più uomo? Si vanta? L’ho… praticamente stuprata… era lì… a gambe aperte davanti a me. Cosa dovevo fare? Dire no?”
    Davvi gli tirò un pugno sul petto. “Non dovevi farla godere più di me!”
    Kammo sgranò gli occhi, incassando e poi cercò di afferrare i polsi della moglie, che scalciava peggio di un cavallo imbizzarrito. “Ma che cazzo ne so di quanto ha goduto? Credevo di farle male e a te non voglio fare male!”
    “Dillo che vuoi scopartele tutte, pure le vecchie magari!” ringhiò lei, cercando di divincolarsi.
    Kammo la strinse tra le braccia e la baciò, incontrando una strenua resistenza all’inizio ma vincendola dopo qualche istante di lotta. Davvi si rilassò tra le sue braccia.
    “Per cominciare, se volessi, potrei scoparmele tutte” esordì, rimediando una testata di Davvi, che lo colpì dritto sui denti. La strinse nuovamente a sé, dopo che per il dolore aveva allentato la sua presa e quando finalmente riuscì a bloccarla incatenò gli occhi a quelli furiosi della consorte. “Sono il Khal e lo sai. Sei tu che hai detto che se un dothraki vuole qualcosa se la prende. Be’, se volessi, me le prenderei tutte, anche le vecchie, anche i cavalli. Ma è te che voglio. Tu sei la mia Khaleesi, la Luna della mia vita” sottolineò, baciandone il collo.
    Davvi inizialmente puntò le mani sul suo petto, cercando di respingerlo, ma quel gesto si tramutò infine in una carezza. “Non mi piace essere presa con forza… se a lei piace, problema suo” mugugnò.
    Kammo sorrise, strusciandosi contro di lei. “Non ti prenderò con forza. Non troppa almeno. Tu potrai sempre dirmi se qualcosa non ti piace e se proprio non riuscirò a togliermela dalla testa… mi toglierò lo sfizio con la schiava o con Oqetti” commentò divertito, mordicchiandole l’orecchio.
    “O con Tirli…” borbottò lei.
    Lui si scostò. “Non l’ho neanche toccata Tirli” assicurò con decisione.
    “Ma lei vorrebbe lo facessi. Kammo… tutte vorrebbero farsi toccare, pure le donne sposate. Gli uomini che ho conosciuto fino ad adesso, prendono il piacere dalle donne che possiedono e non gli importa altro… Alcune sono fortunate e trovano soddisfazione comunque… ma… tu sei il primo che mi ha dato il vero piacere…” mugugnò arrossendo.
    Kammo le accarezzò le braccia. “Be’... è un bene no? Almeno so fare qualcosa di buono, no?”
    Davvi lo fissò con un broncio infantile. “Qualcosa di buono che ora tutte vogliono assaggiare… Ho paura che ti stancherai di me…” spiegò, abbassando lo sguardo.
    Kammo aggrottò la fronte e poi l’abbracciò, sorridendole. “Non succederà, sei la Luna della mia Vita e così come c’è una solo luna in cielo, ci sei solo tu nella mia vita” assicurò. Davvi lo abbracciò, strofinando la guancia contro la spalla di lui.
    “Oqetti può cavalcare con te?” chiese Kammo dopo qualche istante passato ad accarezzare la schiena e i capelli della moglie.
    Lei lo spintonò via e si riavviò verso i cavalli. “Va bene, ma se una di queste notti non riuscirai a soddisfarmi perché hai sprecato troppe energie con quella zoccoletta vogliosa, ti strapperò le palle e ci farò una zuppa!” ringhiò divertita.
    Kammo la osservò perplesso e si tastò le palle. Insomma, aveva iniziato a usarle da poco ma ci teneva a loro.
    Il khalasar si mise in marcia. Quando Kammo raggiunse la carovana con i proventi della caccia di quella giornata, Tirli gli si fece incontro con un’otre. Kammo lanciò uno sguardo a Davvi che lo fissò con l’espressione che voleva dirgli ‘che ti avevo detto?’, mentre Oqetti alle sue spalle gli sorrise maliziosamente.
    Kammo distolse lo sguardo. In che razza di guaio si era infilato?
    Quando raggiunsero le rocce che li avevano ospitati giorni addietro, il khalasar si accampò.
    Mentre erano quasi tutti radunati attorno al fuoco, Kammo si accorse di qualcosa di differente. Djago, Chero e Gralato si stavano dando da fare con le rispettive consorti e… prima di stantuffarle li aveva visti affondare il viso tra le cosce delle loro donne. Non si erano dilungati molto nei preliminari, ma almeno ci avevano perso qualche istante.
    “Stai diventando un esempio da seguire” commentò Davvi al suo fianco, mentre mangiava il suo stufato.
    Improvvisamente si voltò di lato e diede di stomaco.
    Kammo e le sue ancelle furono subito al suo fianco.
    “Luna della mia vita…” esclamò lui con una punta di terrore nella voce.
    Lei scosse il capo. “Non è nulla… è tutto il giorno che ho lo stomaco sottosopra…”
    “Forse è qualcosa che hai mangiato?” chiese preoccupato, guardando con sospetto lo stufato.
    “Abbiamo mangiato tutte le stesse cose… forse ha preso freddo per colpa della pioggia” pigolò Tirli.
    “Probabilmente ha ragione Tirli” rispose Davvi e si alzò in piedi. “Vado a riposare, se non ti spiace… così questa sera potrai farti l’ultima che manca” gli sussurrò all’orecchio.
    Kammo la guardò offeso e Davvi gli arruffò i capelli.
    “Non fare quella faccia. Sei un uomo. Non saresti un uomo se non lo avessi pensato. Tanto lo avevi detto: se mia moglie non avrà energie e io sì” disse scimmiottandolo “allora verrò da voi” concluse allargando le braccia e accennando alle due sorelle. Quindi si congedò con un’espressione divertita.
    Il tempo trascorse, le fiamme del falò si abbassarono, gli uomini presero i posti di guardia, alcuni si recarono a dormire, altri sfogarono i propri impulsi con Mirri, sua nonna e Oqetti. Oqetti piaceva molto, era disinibita, provocante, e quando la si montava gemeva di soddisfazione, amplificando la sensazione di potenza e supremazia che quell’atto instillava negli uomini. Nessuno prese sua sorella, invece, forse perché troppo timida, forse perché meno bella della sorella, anche se in realtà erano molto simili di viso e di corpo, solo che Oqetti si metteva in mostra, mentre Tirli si lasciava cadere i capelli sul viso, come se non volesse essere notata in nessun modo.
    La serata volgeva ormai al termine, gli ultimi gemiti si erano ormai spenti nell’accampamento, quando Kammo si alzò e si diresse alla tenda di Gralato. Izhi stava pettinando i capelli di Tirli, che cantava e, per il Grande Stallone, la sua voce era veramente meravigliosa come il padre aveva assicurato, mentre Gralato giocava con la piccola Kassi.
    “Oqetti dov’è?” domandò perplesso.
    “Nero l’ha voluta per sé questa notte. Ha barattato un fagiano con Gralato per poterla avere solo per sé fino all’alba” lo informò Izhi.
    “Un fagiano?” ripeté Kammo perplesso. Un fagiano soltanto? Guardò Gralato con disappunto e poi sospirò. “Ah… io non ho un fagiano… tutto quello che ho catturato è stato cucinato stasera.”
    “Dai troppo da mangiare agli schiavi. Se mangiassero meno, avremmo delle scorte” obiettò Gralato.
    “Sono pelle e ossa, se non do loro da mangiare non si reggeranno in piedi e ci rallenteranno” ribadì lui.
    Il vecchio si strinse nelle spalle. “Sarà…” ma sorrise.
    Kammo sospirò e fece dietro front.
    “Dove vai?” chiese Gralato.
    “A dormire. Non ho niente da scambiare e non darei niente per scopare. Se proprio voglio farlo, posso prendermi chiunque” rispose Kammo.
    “Hai salvato me e la mia famiglia. Oqetti ti ha già ringraziato, ora può farlo Tirli” ribadì il vecchio.
    “O sì, infatti, certo, si vede come sprizza voglia da tutte le parti” disse Kammo indicando Tirli, che lo fissò trepidante. Annuì impercettibilmente e il khal aggrottò la fronte. “Vuoi?” domandò stupito.
    Lei annuì con decisione.
    Kammo si passò una mano sulla nuca, si avvicinò a lei e gli tese una mano, lei l’afferrò e si alzò in piedi, sorridendo imbarazzata. Lanciò uno sguardo alla famiglia, poi prese Kammo per i polsi e lo guidò lontano dai loro sguardi. La metteva in imbarazzo l’idea di farsi vedere dai suoi genitori. Si sistemarono tra le rocce, sotto lo sguardo vigile di Barbo che controllava i dintorni e Tirli si tolse i vestiti, sistemandoli sulle rocce più aguzze per non ferirsi.
    Kammo alzò le sopracciglia e sorrise. “Astuta!” disse, levandosi i pantaloni, unici indumenti che portava visto che la sua casacca era stata distrutta nello scontro con Kovarro, aggiungendoli a quelli della ragazza. Lei si sedette e Kammo le si mise accanto, portando poi una mano a carezzarle il piccolo seno sodo. Davvi rimaneva quella con le tette più belle, non c’erano confronti.
    Tirli gli posò una mano sulla guancia e gli sfiorò la pelle con i polpastrelli, gli accarezzò la fronte, poi il collo, studiandone il corpo con espressione assorta, quasi triste. Kammo la lasciò fare, studiandola in silenzio, sino a quando lei alzò lo sguardo nel suo.
    “Hai sentito molto dolore?” chiese sottovoce.
    Kammo deglutì. Nemmeno Davvi si era mai interessata di quello che lui aveva provato nel suo passato. Scosse il capo. “No… il male non era tanto… il prurito… quello era insopportabile. Non sono cicatrici di guerra, quando ero bambino ho preso una malattia che mi ha ricoperto di bolle…” spiegò e vide la tristezza velare lo sguardo della giovane.
    “E cos’è successo?”
    “Si stavano ammalando tutti… il khalasar ha abbandonato tutti quelli che erano malati…” disse ancora, distogliendo lo sguardo e tirando su con il naso. “Mi hanno lasciato solo…” sussurrò con voce rotta.
    Tirli lo abbracciò, appoggiandosi la sua testa al seno, accarezzandogli i capelli. “Non lo sei più. Non ci abbandonerai e io… noi non abbandoneremo te” disse dolcemente.
    Kammo abbozzò un sorriso triste. “Almeno non sino a quando qualcuno non mi sconfiggerà…”
    Tirli gli mise l’indice sulle labbra e scosse il capo. “No, io rimarrò comunque con te. Mi hai salvato da Kovarro, ti devo la mia vita” assicurò, mettendogli una mano sulla spalla.
    Kammo aggrottò la fronte, gli tornarono alla mente le parole di Shuri. “Come un principe…” mormorò sommessamente.
    “Come un principe” sussurrò Tirli riducendo le distanze, annullandole con un bacio dolce, leggero.
    Kammo sollevò una mano, posandogliela sulla gota e ricambiò quel contatto, approfondendolo.
    Un principe. Era sempre stato convinto che un principe dothraki fosse un khalakka, figlio di khal.
    Si sdraiò con Tirli su quelle pelli e continuò a ricambiarne i baci, che divennero sempre più umidi, piacevoli, ma era una portata che bruciava lentamente. Non voleva smettere di baciare quelle labbra, ma se non lo faceva non poteva leccarla in mezzo alle gambe. Sopperì alla mancanza affondandole una mano tra le cosce, lei sussultò e gemette sulle sue labbra, ma non smise di baciarlo. Lui sorrise e continuò a stuzzicarne la femminilità, strappandole dei mugolii di piacere, sempre continuando a tormentarle le labbra con desiderio. Adorava quelle labbra, gli piacevano da morire.
    Lei però non era una sprovveduta e portò a sua volta una mano tra le gambe di Kammo, iniziando a massaggiarne la virilità. Kammo strinse le palpebre mugolando di soddisfazione. Sembrava quasi un muggito, tanto che Tirli rise. Lui rise a sua volta, ma poi ripresero a baciarsi e a toccarsi. Quanto andarono avanti? Parecchio, dato che Rakharo aveva dato il cambio a Barbo e il cielo iniziava a schiarire a oriente, quando Kammo riversò in Tirli il frutto di quella serata di coccole e chiacchiere. Chiacchierarono e pomiciarono ancora per un po’ poi ognuno tornò alla propria tenda. Kammo collassò accanto a Davvi, sbadigliando e addormentandosi quasi subito dopo aver abbracciato la moglie.
    Quando l’indomani lei riuscì a svegliarlo, e dovette scuoterlo un bel po’ per riuscirci, la prima cosa che fece fu domandarle: “Come stai?”
    “Meglio, su, che hai dormito troppo, dobbiamo andare.”

    15 Marzo 285



    Il khalasar si rimise in marcia e fu una fantastica giornata di caccia. Riuscirono a catturare ben quattro montoni selvatici!
    Raggiunsero la macchia di vegetazione dove Kammo si era accampato la prima notte dopo aver lasciato Vaes Dothrak. Erano vicini oramai.
    Ma quella notte scoppiò un acquazzone tremendo. Kammo rimase di guardia quella notte, ma fu costretto a farlo da sotto una tenda. La pioggia era così fitta che non si vedeva a un palmo dal naso e tutti i fuochi che non erano protetti si spensero.

    16 Marzo 285



    Continuava a piovere. Impossibile muoversi con tutta quella pioggia, tanto valeva rimanersene fermi, almeno al riparo delle tende erano all’asciutto. meno male che il giorno prima avevano cacciato abbastanza, perché quel giorno nessuno si mosse dall’accampamento. Cucinare fu un’impresa. Meno male che la sera prima Davvi aveva avuto l’idea di prendere un po’ di legna e metterla ad asciugare vicino al braciere che aveva nella tenda, altrimenti sarebbe stato quasi impossibile accendere il fuoco.
    Tirli e Oqetti cucinarono accendendo un fuocherello nel preingresso della tenda del khal.
    Mirri e sua nonna erano dentro la tenda a cardare la lana che avevano recuperato dalle pelli dei montoni, Davvi lavorava le suddette pelli e Kammo si stava annoiando a morte, lucidando la lama del proprio arakh. Mangiarono e le schiave finirono di cardare la lana, la infilarono in alcuni sacchi e la nonna si apprestò a lasciare la tenda, prendendo la nipote per un braccio.
    Mirri puntò i piedi. Dentro quella tenda si stava meglio che sotto quel telo dove stavano, il cui terreno si era già impregnato d’acqua. Lì c’era anche il tepore del fuoco.
    Mirri guardò Kammo. “Khal Kammo… Mirri può rimanere?”
    “Se vuole, può rimanere anche tua nonna” rispose lui, mentre faceva da cavia a Davvi che stava prendendo le misure per fargli una nuova casacca.
    Mirri parlottò con la nonna, provando a convincerla ma la vecchia fu irremovibile e lasciò la tenda sotto la pioggia.
    Passò il tempo e Kammo divenne sempre più insofferente alle attenzioni della moglie. Cioè era felice che Davvi si preoccupasse per lui, ma era stufo di mettersi in posa per quella stupida casacca.
    “Mi annoio” borbottò esasperato.
    “A questo potrei rimediare” rispose civettuola Oqetti.
    Se lo sguardo di Davvi avesse potuto incenerire, probabilmente ci sarebbe stato un bel mucchietto di cenere al posto della maggiore delle figlie di Gralato. Ma lo sguardo assassino di Davvi divenne incredulo quando incrociò quello supplice del marito.
    La khaleesi scosse la testa.
    Kammo sfoggiò un’espressione implorante.
    Davvi lo fissò severa.
    Kammo mise anche il labbro tremulo.

    17 Marzo 285



    Kammo aggrottò la fronte e aprì un occhio. Doveva aver smesso di piovere. Gettò un occhio verso l’ingresso della tenda e gli parve fosse ancora buio, ma avvertiva il cinguettare degli uccelli che preannunciava l’alba.
    Cercò di muoversi e il dolore di mille spilli gli si conficcò nelle carni. Si morse le labbra e inspirò, facendo fatica a respirare. E per forza, Aveva Davvi possessivamente stretta a lui alla sua destra, con il capo riccioluto adagiato sulla sua spalla e la gamba destra sul suo addome. Gelosa e possessiva la sua khaleesi. Alle sua sinistra la dolce Tirli, con il capo posato sul petto. Sul suo sterno invece dormiva Oqetti, proprio accanto alla sorella, mentre la povera Mirri era rannicchiata tra le gambe di Kammo, coperta da una pelliccia, così come le altre donne.
    “Mai più” si disse Kammo, alzandosi a stento da quel groviglio di corpi. Gli era sembrata divertente l’idea dell’ammucchiata ma soddisfare quattro donne in un colpo solo? Mai più, non se tra quelle quattro poi c’erano Davvi e Oqetti che gli avevano succhiato tutte le forze per riuscire a farle stare buone senza scannarsi.
    Si trascinò verso il bordo del letto e proprio in quel momento lo colse un crampo che lo fece ruzzolare a terra, con un gemito di dolore.
    Quando aprì gli occhi vide gli occhi di Davvi fissarlo imperscrutabili da oltre il bordo ligneo del letto.
    “La prossima volta che insisto...” sussurrò lui, “picchiami” concluse.
    Davvi sorrise e si sporse a baciarlo sulle labbra. “Va bene” disse rimettendosi a dormire. Kammo si rivestì e uscì dalla tenda. Fece il giro dell’accampamento a controllare che tutto fosse a posto e controllò i cavalli, iniziando a spazzolarli.
    All’alba il khalasar si rimise in marcia e giunse a Vaes Dothrak a pomeriggio inoltrato.
    Sistemato il campo, Kammo prese la giumenta, le armi che aveva preso in prestito e assieme a Gralato e Oqetti si recò da Qranna e orgoglioso la informò della riuscita dell’impresa e le restituì ciò che la vedova gli aveva prestato.
    Poi umile e contrito come suo solito, le chiese se poteva curare lui, Gralato e controllare la ferita di Oqetti.
    La donna rimosse i bendaggi ormai sporchi di Kammo e fece una smorfia. Spurgò la ferita eliminando il pus, insensibile alle lamentele del ragazzo, poi le pulì per bene, da cima a fondo, togliendo i corpi estranei lasciati dalle bende utilizzate e disinfettando con olio di lavanda. Stese quindi su ogni singolo taglio del miele, che avrebbe impedito all’aria di corrompere la carne. Infine fasciò il torso del neo khal con delle bende di lino e le strinse per bene. Concluse il tutto dando una pacca sulla spalla di Kammo che ululò di dolore.
    “Ma smettila… sicuramente ha fatto più male quando la lama ti ha aperto la schiena che ora” disse lei bonariamente, dedicandosi alle ferite di Gralato.
    “Non è stato piacevole nemmeno ora” borbottò Kammo, massaggiandosi una spalla con cautela. “Qranna” esordì poi. “Ho con me la vedova di Khal Kovarro. So che devo presentarla al dosh khaleen affinché si unisca a voi… E poi… ora mia moglie è Khaleesi. Vorrei presentare anche lei…”
    “Credi che riuscirà a mangiare il cuore?” chiese la vedova e Kammo serrò i pugni e annuì. “È forte, ce la farà. Se Verzhof ha dato a me la forza di vincere Kovarro e mi ha perdonato le brutte azioni, sento che aiuterà anche lei!”
    “Lo sai che potrebbe morire soffocata, nel tentativo?” lo ammonì la donna.
    Kammo sbiancò. Morire? Davvi? “N-no… ma lei è forte!” aggiunse spaventato.
    “Vieni domattina” disse Qranna.
    Kammo annuì e tornò all’accampamento quando Gralato e Oqetti futono medicati.
    Sull’altra sponda del lago vide un nutrito numero di dothraki accampati. Stessa posizione, stessa estensione. Doveva essere il khalasar di Merago, questo voleva dire che Rakharo non era ancora tornato.

    18 Marzo 285



    Fu così che giunse l’ennesima notte e quando l’alba si affacciò sulla città sacra, lui non aveva chiuso occhio. Per tutta la notte lo aveva tormentato un pensiero:
    E se Davvi morisse?
    Con quella paura nel cuore si avviò con Puni e Davvi verso la grande costruzione del dosh khaleen. Lo seguirono tutti, eccetto Gralato e sua moglie che rimasero a badare ai cavalli e agli schiavi.
    Le vedove del Dosh Khaleen accolsero Puni tra di loro, levarono canti e inni in onore del defunto Khal e poi finalmente si rivolsero a Kammo.
    “Quando ti chiameremo, verrai da noi e ascolteremo le tue richieste” disse la più anziana.
    Kammo stava per risponderle pure male ma Davvi lo trascinò via di peso, prima che si mettesse nei guai. Furente, Kammo si preparò alla lunga attesa. Un’attesa fatta di caccia nei dintorni di Vaes Dothraki e allenamenti con i guerrieri del khalasar per migliorare le sue prestazioni. Un’attesa fatta di chiacchiere per Vaes Dothrak alla ricerca di qualcuno che rimasto senza khalasar per un motivo o per l’altro. Pensò anche di andare a trovare a Merago, ma visto come si erano lasciati l’ultima volta accantonò l’idea. La prossima volta che si sarebbero visti, lontano da Vaes Dothrak, Merago avrebbe distrutto il suo khalasar e preso tutte le donne. No, meglio stargli alla larga. Per ora.
     
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    Per le malattie veneree non ti preoccupare che ora me ne occupo io di te XD
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