Noi siamo Dothraki

Libera con varie cose

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    Alfiere

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    Gli zoccoli di Noah erano pesanti su quel terreno duro, in fondo, la corporatura del cavallo era tozza, massiccia, adatta alla vita dura da cavallo selvaggio. La sua criniera ondeggiava nel vento, mentre l’ultima luce del giorno si spegneva sulle montagne. Fu allora che il cavallo e i due uomini che trasportava giunsero nei pressi del gruppo di cacciatori che li avevano preceduti.
    Kammo tirò le redini e sentì il prigioniero alle sue spalle irrigidirsi per il disappunto. Era ovvio, d’altronde, i suoi cacciatori avevano isolato un gruppo di donne e un paio di loro erano scesi da cavallo per poter stuprare le femmine.
    Fermi” disse Kammo.
    I suoi uomini alzarono lo sguardo increduli di lui. “Cosa?” domandò Nero.
    “Vi ho detto di catturare le donne e lo avete fatto, ma spetta a me la prima scelta” sentenziò il giovane butterato. “Non solo ho ucciso più avversari di tutto il resto del khalasar messi assieme, ma sono anche il vostro khal” continuò il dothraki. “Quindi prima mi servirò io e dopo toccherà a voi. Non temere, Nero, avrai una figa calda tutta per te stanotte, ma ora riportiamo queste donne al villaggio e accenderemo le pire per i nostri caduti, per permettere loro di raggiungere il khalasar del Grande Stallone” spiegò.
    A malincuore Nero e gli altri rimisero gli uccelli dentro i calzoni, rimontarono in sella, e costrinsero le prigioniere ad avviarsi verso il villaggio scelto da Kammo.
    Scendi” disse il butterato rivolto al prigioniero, “ora camminerai con le femmine” spiegò. Il ragazzo scese e a capo chino si preparò alla marcia.
    Il khal spronò il cavallo al passo e si mosse in mezzo al gruppo, scrutando le future schiave.
    Si accorse di come il prigioniero si fosse avvicinata a un paio di esse e queste parlottassero con lui a bassa voce, sicuramente non in lingua dothraki. Li lasciò fare.
    Raggiunto il villaggio, supervisionò l’ultima fase dei lavori. I cadaveri dei sei caduti e dei cavalli morti vennero disposti sulle pire e i ceppi furono dati alle fiamme, che presto si alzarono alte.
    Kammo osservò le lingue di fiamme lambire i corpi di quelli che erano stati suoi uomini, anche se per poco e seguì il percorso delle scintille che salivano verso il cielo, confondendosi con le stelle. Le lande della notte si aprivano per loro, presto avrebbero galoppato in una mare dall’erba nera e i loro cavalli infuocati li avrebbero accompagnati nelle razzie dell’aldilà.
    Kammo inspirò a fondo lasciando che l’odore di carne bruciata gli si imprimesse nella mente. Quegli uomini erano appartenuti a Cohollo, ora appartenevano al Grande Stallone. Erano stati così deboli, da morire alla prima razzia da lui capeggiata. Ma era stata una mancanza loro o una mancanza sua? Sicuramente, lo Stallone che Monta il Mondo non avrebbe perso nessuno nell’attaccare un villaggio insignificante come quello. Sbuffò infastidito e si allontanò dalle pire, raggiungendo il gruppo dei prigionieri, sorvegliati da Gralato e altri dei suoi uomini. In fondo, non si era ancora creato un forte legame con le persone che avevano seguito Iris, abbandonando Cohollo. Erano loro a piangere i loro fratelli caduti, per la maggior parte quella sera.
    Quell’occasione di lutto, fece capire a Kammo perché i Khal dividevano i propri khalasar in tanti piccoli khas. Erano tante piccole famiglie che collaboravano assieme, ma che comunque tendevano fare gruppo a sé. I grossi khalasar erano un agglomerato di tante piccole realtà, piccole comunità famigliari che si piegavano al proprio Kos, che a sua volta obbediva al Khal.
    In un simile contesto, era facile pensare che i Kos più grandi cercassero di allargare la loro influenza, magari facendo sposare i propri figli a quelli di un altro Kos, o di un altro Khas, in modo da creare un’alleanza o incrementare le fila del proprio piccolo clan. Lo scopo ultimo era raccogliere abbastanza seguaci da poter controllare quante più persone possibili nel momento in cui il khal avesse perso il suo titolo.
    L’attenzione di Kammo cadde sul ragazzo, il primo che aveva accettato le sue condizioni e aveva salvato in quel modo il villaggio.
    Nessuna casa bruciata, è vero, ma i prigionieri erano stati costretti a preparare la cena ai dothraki, utilizzando le loro scorte alimentari, perlomeno quelle a cui non avevano dato fuoco loro stessi.
    Il ragazzo, dicevamo, aveva attirato lo sguardo di Kammo. Era di nuovo vicino alle due donne, era chiaro che stesse cercando di consolarle.
    Kammo si avvicinò loro e si accovacciò davanti a essi, puntando le iridi scure sul ragazzo e lanciando poi un’occhiata attenta alle femmine. Queste, cercarono di nascondersi in parte dietro al ragazzo. La più grande doveva avere più o meno la stessa età, mentre l’altra se aveva 13/14 anni era tanto.
    Era chiaro che il ragazzo volesse proteggerle.
    “Come ti chiami?” chiese il khal al ragazzo.
    Quello deglutì. “Tokho…”
    “Sono le tue mogli?” chiese poi Kammo, accennando alle due femmine.
    Tokho si irrigidì, chissà quale era la risposta migliore da dare in quel caso. Alla fine sospirò e chinò il capo, con atteggiamento rassegnato. “Lei lo è” spiegò, indicando la coetanea. “Il suo nome è Onari, mentre lei è Anasazi, è mia sorella.”
    Kammo annuì, arricciando le labbra. “Quindi ti sei scopato Onari…” disse senza pudore.
    Tokho sgranò gli occhi, la donna arrossì, poi l’uomo annuì.
    “E tua sorella ha mai scopato?” chiese poi il dothraki.
    Tokho scoppiò quasi in lacrime, scuotendo la testa. “Non fatele male… vi prego…” pigolò.
    Kammo sorrise. “Tranquillo. Avete accettato le mie condizioni, quindi vi voglio premiare. E poi tu mi condurrai da Faqi e porterai con me qualcosa per guadagnarti la sua attenzione. Hai detto che senza dargli nulla lui non vi degnava di interesse. Non so cosa gli piace, ma voi sì, quindi sceglierai qualcosa di adatto. Se Faqi mi parlerà e mi spiegherà alcune cose, come ricompensa tua moglie non verrà mai scopata da nessun altro se non te stesso. Sarete miei schiavi, è vero, ma nessuno te la porterà via. Quanto a tua sorella… sarà mia. Nessun altro nel khalasar l’avrà e, considerato che io ho già una khaleesi e ogni tanto mi scopo altre tre donne, credo che difficilmente mi verrà voglia di montare anche tua sorella. Non dico che non capiterà, ma se accadrà, ti assicuro che farò del mio meglio per non farle male” disse al prigioniero, per poi alzare una mano, con l’indice proteso al cielo. “Ma questo solo se Faqi mi parlerà e risponderà alle mie domande. Altrimenti ho 35 guerrieri e 34 cavalli maschi che non aspettano altro che conoscere le tue donne” spiegò con una scrollata di spalle, alzandosi in piedi.
    Si mosse quindi tra i prigionieri, passando in rassegna i novelli schiavi. C’erano tante donne, quasi una trentina, tra le quali quattro vecchie. Parlò un poco con loro, avevano un accento stranissimo, ma una era la guaritrice di cui Tokho gli aveva parlato. Tra le donne vi era pure la donna visibilmente gravida che aveva incrociato per prima il suo sguardo. Singhiozzava stringendo a sé due bambini.
    Figli tuoi?” domandò Kammo, avvicinandosi baldanzoso.
    “Ti prego, abbi pietà di mia figlia. È incinta!” supplicò un vecchio, cercando di pararsi davanti alla gestante.
    Era un uomo sui sessantanni, provato dalla vita in miniera. Troppo malconcio per avere una qualche utilità per il khalasar. Come lui ce ne erano altri cinque.
    Kammo aggrottò la fronte, fissandolo. “Non sono cieco, la vedo che è incinta. Ancora un poco e la pancia le esploderà come una melagrana matura!” commentò tranquillo, spostò il vecchio senza troppo garbo e si accovacciò davanti alla donna. “Sono figli tuoi?” le chiese nuovamente. Lei annuì.
    I due ragazzini dovevano avere quattro e cinque anni.
    Kammo aveva visto altri due bambini nel gruppo, un maschio e una femmina, forse della stessa età di questi che aveva innanzi.
    Kammo diede ordini a Gralato, affinché gli portasse gli altri due bambini e le loro madri. Pochi istanti dopo, il vecchio guerriero si presentò con due donne e i due marmocchi.
    Kammo li controllò, come si controllano i cavalli. Sembravano in salute, anche le donne, queste non sembravano nemmeno incinte.
    Kammo si alzò in piedi e iniziò a muoversi tra gli schiavi. Indicandoli uno alla volta li fece spostare, dividendo gli uomini adatti al lavoro, tra i quali Tokho, quattro in tutto, i vecchi, che erano sei, la moglie e la sorella di Tokho, la donna pregna e i bambini. I due separati dalle madri iniziarono a piangere, ma Kammo non se ne curò.
    Rimasero così da parte 23 giovani donne e le quattro vecchie.
    Il khal affidò il proprio arakh a Gralato, poi fece disporre le schiave su tre file da nove ciascuna e iniziò a passarle in rassegna con attenzione. Le spogliò una a una, osservandone i corpi nudi e tremanti.
    Tutte loro, giovani o vecchie, tentavano di coprire le proprie nudità con le mani, tutte eccetto una. Più bassa delle altre, i capelli scarmigliati, dal colore spento. Insomma, non era bella, ma rispetto alle altre era più in carne, i fianchi presentavano persino un rotolino di grasso, una cosa che Kammo non aveva mai visto. Non era giovanissima, non era vecchia, non era bella. Teneva lo sguardo basso, ma non faceva nulla per nascondersi. Kammo gli mise due dita sotto al mento e la costrinse delicatamente ad alzare il viso. Lo sguardo della donna era vacuo.
    “Che cos’hanno i tuoi occhi?” le chiese cupamente.
    “Non vedono… La luce si è spenta per loro da anni, dopo una brutta malattia…” rispose lei, con un accento forte a inquinare la parlata in lingua dothraki.
    “E perché non ti hanno lasciato morire? Che utilità potrai mai avere?” chiese ancora.
    Lei rabbrividì. Aveva sentito dire quanto i dothraki fossero spietati e uno schiavo inutile, era uno schiavo morto. “So lavorare la lana e intrecciare i vimini e la paglia… Ho partorito due volte…” Magari, il fatto che era fertile le avrebbe salvato la vita.
    Kammo si mosse attorno a lei, studiandone le forme. Aveva sicuramente le tette più grosse che aveva mai visto. “Come ti chiami?” le chiese.
    Kerala” fu la risposta.
    Kammo si fermò alle sue spalle, la costrinse a inginocchiarsi con una presa ferma ma non dolorosa e abusò di lei, davanti ai suoi uomini, in mezzo alle altre schiave. Non ci impiegò molto, erano quasi due settimane che non scopava, quindi gli bastarono pochi affondi per raggiungere il piacere. Si rialzò in piedi, recuperò il proprio arakh da Gralato e poi si rivolse ai suoi dothraki. “Sono vostre, ma non fate loro del male. Sia ben chiaro che non voglio che vengano percosse. Se si rifiutano, potete prenderle con la forza ma non rovinatele. Ci aspetta una lunga marcia e non voglio che ci rallentino perché qualcuno di voi ha spezzato loro le gambe."
    Passò il resto della sera a guardare i suoi uomini trastullarsi con le schiave o con le altre dothraki, lasciando che Davvi, Tirli, Oqetti e Mirri lo lavassero dal sangue e dallo sporco. Una volta che fu pulito, si dedicò alla cura delle proprie ferite. Si fece aiutare dalle donne, per assicurarsi che i graffi fossero ben puliti. Non erano ferite profonde, non sarebbero servite nemmeno delle bende, ma le avrebbe tenuto d’occhio, per evitare che si guastassero con il passar dei giorni. Si mosse quindi per il villaggio, prestando quel poco di cure di cui era capace ai feriti, prima ai dothraki e poi agli abitanti del villaggio.
    Raduno quindi i suoi uomini attorno al falò.
    “Oggi abbiamo combattuto e vinto. I nostri caduti ora cavalcano con il Grande Stallone nelle lande della notte e ci guardano da lassù. Abbiamo dimostrato di essere forti, ma da voi mi aspetto di più. Siamo Dothraki! Presto nel mare d’erba il vento parlerà di noi, presto inizieranno a cercarci per distruggerci perché invidiosi e noi li combatteremo tutti e li schiacceremo! O con noi, o contro di noi! Non permetteremo a niente e a nessuno di impedirci di farci notare dal Grande Stallone. Da domani, voglio che ciascuno di voi si alleni quotidianamente con più impegno. Vi voglio più forti, più agguerriti, più feroci!” ruggì a gran voce. "Voglio che il vento che parlerà di noi non sia una leggera brezza, voglio che sia una tempesta in grado di sradicare gli alberi e far nascondere i deboli nelle loro case di pietra!”
    Bevvero quel poco di latte fermentato che avevano. Ora che c’erano nuovi cavalli e cavalle, avrebbero potuto farne di nuovo, anche se ci sarebbe voluto un po’ prima che arrivasse al giusto grado di fermentazione.
    Rimase a parlottare un poco con i suoi uomini, quindi si ritirò nella sua tenda assieme a sua moglie.
    Fece l’amore con Davvi, la sua amata khaleesi, fino allo sfinimento. Quando riaprì gli occhi, il cielo schiariva dietro le montagne, che come un muro naturale ritardavano il sorgere del sole, nascosto dietro le loro creste.
    Davvi mugolò infastidita quando Kammo le si avvicinò in cerca di attenzioni. Era stata una giornata faticosa quella passata, la khaleesi voleva riposare ancora. Kammo sorrise e lasciò la tenda, dopo averle schioccato un bacio tra i riccioli corvini.
    Si avvicinò agli schiavi, sorvegliati con cura dai dothraki.
    “Onorate i vostri morti. Hanno combattuto, questo gli fa onore. Anche se sono deboli, si sono dimostrati agguerriti. Il Grande Stallone premia i guerrieri, quindi vi concedo di seppellire i vostri morti, invece che darli in pasto al mio leone. Domani partiremo. I vecchi e quella donna incinta, rimarranno qua. Porteremo via i bambini. Dei maschi adulti prenderemo solo i quattro che si sono offerti a noi” sentenziò, creando sollievo, disperazione e confusione assieme. Confusione nello sguardo dei suoi uomini, che non capivano perché lasciare indietro degli schiavi. Potevano averli tutti. Sì, ma come li avrebbero mantenuti? Le donne almeno potevano scoparle, i maschi erano utili solo se sapevano far qualcosa di essenziale. I bambini potevano essere scambiati per qualcosa di buono dai mercanti di Vaes Dothrak, ma i vecchi… avevano poco valore. La donna incinta si vedeva salva da una vita da schiava fatta di stupri e sempre in viaggio, ma doveva dire addio ai suoi due figli. Le altre donne, invece, avrebbero tenuto i figli con sé almeno sino a quando non avrebbero incontrato una carovana di mercanti o sarebbero tornati a Vaes Dothrak. Kammo si dimostrava clemente da una parte, spietato da altre.
    “Tokho, quando avrete fatto, vieni da me. Mi accompagnerai dal dothraki” disse al giovane, dirigendosi verso il recinto di Zasqa. Lungo il tragitto, Lekh vide il padrone e gli corse incontro scodinzolando. Kammo piegò il busto e fece qualche coccola al cagnolone, prese un bastone e lo lanciò lontano. Quando il cane glielo riportò, Kammo lo premiò con un pezzettino di carne secca. Aprì la gabbia di Zasqa e gli fece un grattino sul testolino candido. In quelle due settimane di viaggio il leoncino era cresciuto, era grosso quanto un cane, anche se ancora più piccolo di Lekh. Nonostante le dimensioni ridotte, aveva comunque un morso poderoso e gli artigli non erano piacevoli quando affondavano nella carne. Kammo aveva imparato a giocarci maneggiandolo con cura.
    Kammo lanciò il bastone. Entrambi gli animali corsero a prenderlo e finirono per litigarselo. Lekh aveva le dimensioni dalla sua parte e riusciva a vincere le resistenze del felino, ma quest’ultimo era ben agguerrito e non mollava la presa sul bastoncino.
    “Zasqa” chiamò Kammo. Il leone lasciò la presa e lo guardò, mentre Lekh fuggì con il legno tra i denti, vittorioso. Il giovane hrakkar riportò l’attenzione sul cane e si apprestò a seguirlo.
    Kammo dovette chiamarlo di nuovo, ma questa volta il leone gli diede retta e gli si avvicinò. Ottenne in premio un bocconcino e una carezza.
    Passò il resto della mattinata ad addestrare i suoi animali. Lekh nel seguire una traccia odorosa, Zasqa per andare a caccia.
    Smise solo quando Tokho lo raggiunse per accompagnarlo da Faqi.

    Riassumendo:
    Kammo stupra Kerala (vai di tiro bimbi, Fra’)
    Kammo si cura. La scena è molto breve, ma contando che gli mancano solo 16 pv e ne potrebbe curare poco meno di 50 a role di cura, direi che dovrebbe bastare.
    Kammo passa del tempo con i suoi animali, per insegnare a Lekh a seguire le tracce e a Zasqa ad attaccare a comando, una volta che il cane ha trovato la preda. A parte l’affinità con le bestiole, non so se si guadagna altro)
     
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