Il lungo viaggio verso Vaes

puntata 2

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    Alfiere

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    24 maggio

    Il secondo giorno di viaggio iniziò sotto un cielo cupo che brontolava in lontananza. L'odore di pioggia si sentiva vagamente e Kammo guardò l'orizzonte incerto. Alla fine decise di far spostare il khalasar comunque.Verso metà mattina la pioggia iniziò a cadere, insistente, fredda, fastidiosa.
    Kammo fece una smorfia. Sperava il temporale avrebbe concesso loro di percorrere più strada.
    “Allestite il campo, prima che la terra sia ridotta a fango” ordinò. Lui stesso aiutò gli schiavi a montare le tende, più gente ci lavorava, prima il lavoro sarebbe stato ultimato. Ben presto le donne, i bambini e gli anziani furono al riparo. Gli schiavi più deboli trovarono riparo sotto ai carri, mentre agli altri allestivano dei ripari di fortuna, tendendo delle pelli tra i carri stessi.
    Kammo era seduto sul suo sgabello di legno, dentro la propria tenda, scrutando la pioggia battente che picchiettava sull'erba fuori dall'ingresso della sua dimora nomade.
    Oqetti sorrise sorniona, spazzolando la criniera del copricapo leonino. “Se ti annoi, sappiamo come farti passare il tempo” disse maliziosamente, attirandosi un'occhiataccia rassegnata da parte della khaleesi.
    Kammo scosse il capo. “No, l'ultima volta che vi ho prese tutte assieme è passata l'intera giornata. Non vedo l'ora che smetta di piovere o che almeno si riduca. Dobbiamo metterci in marcia, è un lungo viaggio per Vaes Dothrak” rispose il giovane butterato, il cui sguardo si spostò su Mirri, l'ultima delle sue moglie, la non più schiava.
    “Mirri, vieni qui. Voi tutte...” disse lasciando scivolare le iridi su Davvi, Tirli e Oqetti, “pregate Verzhof affinché spiova presto” le esortò accorato.
    Le ragazze si inginocchiarono al fianco del khal e iniziarono a rivolgere parole sommesse al Grande Stallone.
    “Verzhof, fai smettere di piovere. Fa' in modo che i carri non rimangano impantanati nel fango, fa' che il mio khalasar possa riprendere la marcia” disse cupamente Kammo, senza distogliere lo sguardo dallo scrosciare della pioggia.
    L'acquazzone non durò ancora per molto ma la pioggia non si esaurì assieme ai tuoni, si ridusse soltanto di intensità.
    Ferro, Nero e Gralato si presentarono all'ingresso e Kammo uscì sotto la pioggerella fastidiosa. Lì a nord faceva freddo, soprattutto con quel clima.
    “Ci rimettiamo in marcia?” chiese Ferro al khal.
    “Non conviene” intervenne Gralato. “La pioggia viene da ovest, lungo il nostro tragitto il terreno potrebbe essere zuppo e impraticabile...”
    “Quindi perdiamo l'intera giornata qui?” chiese Kammo spazientito.
    Gralato strinse le labbra in una linea sottile. “Fa freddo, khal Kammo. Se proseguiamo sotto la pioggia, potremmo far scoppiare delle febbri nel khalasar” ventilò l'anziano.
    Gralato non era forte, non era il migliore, ma era il più anziano tra i suoi guerrieri, quello con più esperienza di vita. Kammo non prese alla leggera le sue parole, senza nascondere la smorfia che esse gli dipinsero sul volto. Febbri. No, voleva evitarle assolutamente.
    Il giovane butterato incrociò le braccia sul petto nudo, dove spiccavano le innumerevoli cicatrici che sfregiavano il suo povero corpo.
    “Rimarremo per il resto del giorno” sentenziò. “Nero” aggiunse poi spostando lo sguardo sull'arciere. “Scegli gli otto uomini migliori, andremo a caccia. Gli altri rimarranno qui a badare al khalasar. Dobbiamo cercare di non assottigliare troppo le nostre scorte di cibo, siamo tanti ora e il numero di guerrieri temo non sia sufficiente per soddisfare le esigenze di tutti.”
    Nero aggrottò la fronte. “Ma con questo tempo gli animali più piccoli si saranno nascosti nelle tane...” ipotizzò.
    “Prima che iniziasse a piovere” rispose Kammo spostandosi un poco dalla tenda e indicando un punto verso sud, “ho visto della polvere in quella direzione. Solo tanti grossi erbivori sollevano polvere quando si spostano” disse.
    Nero annuì e si allontanò.
    “Ferro” disse Kammo, “organizza i turni di guardia del campo e dei cavalli. Gralato, tu controlla gli schiavi e fai in modo che non prendano troppo freddo. Non voglio che si ammalino, così come non vogliono che si ammali nessuno di noi” proferì cupo in viso.
    L'anziano annuì, Ferro anche e si allontanarono in differenti direzioni, mentre Kammo tornò nella tenda.
    “Preparate le mie armi, vado a caccia” avvisò, rivolgendosi alle sue mogli che si mossero in fretta per accontentarlo. Davvi gli portò l'arakh, Oqetti il copricapo ottenuto dal grande hrakkar e Tirli la daga.
    Mirri si avvicinò timidamente, porgendogli un involto di lana.
    Kammo aggrottò la fronte prendendo quel fagotto e lo srotolò. “Una casacca?” commentò perplesso.
    “La lana tiene caldi” assicurò la lazhareen. “Se starai sotto la pioggia, credo starai meglio...”
    Kammo indossò l'indumento e soppesò per un poco il pizzicore prodotto dalla lana a contatto con la sua pelle umida di pioggia. Dopo qualche istante sorrise, posò una mano sulla nuca di Mirri e le schioccò un bacio sulle labbra. “Ottimo!”
    Indossò quindi il copricapo, assicurò alla cintura la daga e poi prese dalle mani della sua khaleesi l'arakh. Cinse la donna con il braccio libero, posando la fronte contro quella dell'amata. “Luna della mia vita, torno presto. Assicurati che qua fili tutto liscio.”
    Davvi annuì, sollevando una mano per accarezzargli una guancia.
    Kammo si scostò e volse le spalle alle sue mogli, lasciando la tenda.

    La pioggia leggera picchiettava sul suo volto, mentre i dieci signori dei cavalli si spostavano cavalcando senza troppa foga. Inutile stancare i cavalli se non vi era un obiettivo preciso. Al loro fianco correva Lekh, il grosso cane da pastore rinvenuto ferito sui monti e curato dal giovane khal, che ne aveva iniziato l'addestramento da un mesetto ormai.
    Kammo, in una sacca da sella, portava con sé anche Zasqa. Se si andava a caccia, era bene che il cucciolo di leone andasse con loro. Anche il piccoletto dal candido mantello era con Kammo ormai da una luna.
    Kammo alzò un braccio, facendo ai suoi uomini cenno di fermarsi. Scese da cavallo, tirò il leoncino fuori dalla sacca e lo adagiò a terra. Quella bestiola cresceva a ritmi sorprendenti, ma era normale. In meno di un anno sarebbe diventato il più devastante predatore del mare d'erba.
    Il butterato si accovacciò a terra, sfiorando il terreno. Vivere in solitudine per un decennio aveva affinato le sue capacità di cacciatore. Indicò un'impronta nel fango, dove l'acqua piovana si era raccolta.
    “Non sono cavalli... Sono più grossi e massicci a giudicare dalla profondità” commentò alzandosi e controllando i paraggi dove l'erba era piegata dal passaggio degli animali.
    “Quanti saranno secondo te?” domandò Nero.
    “Una dozzina direi, ma le tracce sono parzialmente rovinate dalla pioggia. Ma sono andati di là” disse il khal, indicando la scia lasciata nell'erba.
    “Bisonti” commentò uno Rakharo.
    “Mi sembrano più piccoli” disse Kammo, salendo in sella. “Lekh, Zasqa” chiamò e i due animali alzarono il muso dalle tracce che stavano annusando e lo guardarono in attesa. “Cerca” ordinò il ragazzo.
    I due animali fiutarono un poco il terreno, poi il cane iniziò a correre nella direzione indicata dal khal, zigzagando tra l'erba calmpestata. Il leoncino gli corse dietro, ancora inesperto nel seguire le tracce, ma bravissimo a sfruttare le capacità del cagnolone nel trovare la scia.
    I dothraki iniziarono a seguire i due animali e quando Kammo li vide assumere la posizione di punta e nascondersi nell'arma in cima a una collina, fece fermare i cacciatori e li invitò al silenzio.
    Scese da cavallo e si avvicinò al bordo del crinale scrutando il dolce pendio che scendeva oltre la cresta erbosa. Ed eccoli, a un centinaio di metri, quindici animali dal manto lungo, bruno scuro alcuni, altri quasi argenteo. Erano grossi bovini simili ai bisonti, più piccoli, le femmine dovevano essere quelle più piccole, ma tutte avevano robuste corna sul capo che non invidiavano nulla a quelle degli esemplari maschili. Kammo contò un paio di vitelli.
    Se si escludevano i cuccioli, una di quelle bestie, anche la più piccola, doveva pesare almeno 200 chili, le più grosse forse mezza tonnellata.
    Nero lo affiancò, muovendosi cautamente nell'erba alta. “Grandi prede, ma quelle corna mi preoccupano e noi siamo solo in dieci...” commentò sottovoce.
    “Non li voglio mica prendere tutti, non saprei dove mettere tutta quella carne. Guarda quell'esemplare... un poco defilato dal branco” replicò sommessamente Kammo.
    “Mi sembra grosso... il capobranco?”
    Kammo scosse il capo. “No, il capobranco è quello là che vigila sulle femmine. Ci sono altri maschi, più piccoli del dominante e quello lì credo che zoppichi un poco. Forse ha combattuto per una femmina e ha avuto la peggio. Puntiamo a quello. Cerchiamo di staccarlo dal branco e abbattiamolo” disse, tornando verso i cavalli.
    Salì in sella a Noah e istruì gli altri cacciatori, quindi il gruppo dei signori dei cavalli si lanciò al galoppo oltre la collina, convergendo verso il gruppo di bovini.
    Inaspettatamente, però, quelli non si diedero alla fuga. Si riunirono tutti assieme, disponendosi a cerchio, con i due vitelli al centro delle schieramento e un muro di corna rivolte verso l'esterno.
    “Non scappano!” urlò Nero.
    “Lo vedo...” ringhiò Kammo. Non aveva mai avuto a che fare con quei bovidi il cui lungo manto peloso toccava quasi terra.
    Lekh si avvicinò abbaiando e per poco non venne incornato da una di quelle montagne di pelo e muscoli.
    Kammo fermò l'andatura del cavallo e indicò uno degli animali. “Arcieri, scoccate verso quello!”
    Kammo avrebbe tanto voluto sapere usare un arco. Sicuramente suo padre lo aveva addestrato prima dell'abbandono, poiché era risaputo che i dothraki imparano a tirar con l'arco sin da quando hanno quattro anni. Ma quelle lezioni erano scomparse dai ricordi del dothraki.
    Quando imbracciava l'arco, per non si sa quale motivo, non era nemmeno in grado di incoccarre la freccia, la quale finiva per cadere a terra. O se anche riusciva a incoccarla, quando rilasciava la corda, l'arco lo colpiva dolorosamente sul naso. Perché l'importante è il realismo, ma in realtà ci sono regole che superano la realtà e la coerenza e il realismo sono solo cose scomode che vengono penalizzate dalla presunta perfezione, che però tarda ad arrivare. E mentre la si aspetta, miracolosamente i dothraki riescono ancora a cacciare rimanendo in sella ai loro destrieri, anche se è risaputo che non potrebbero più farlo. Ma poi l'importante è il realismo, quindi meglio narrare gli eventi, le battute di caccia e i presunti combattimenti, invece che dover sfidare le leggi della fisica che dovrebbero essere realistiche, ma non qui, dove invece che affrontare il problema ci si nasconde dietro un muro, insultando l'intelligenza umana.
    I dothraki incoccarono e rilasciarono, tecnicamente non avrebbero potuto farlo, ma narrativamente posso ancora scriverlo, le frecce sibilarono e si conficcarono alcune nel corpo del bovino, altre a terra, alcune colpirono il bersaglio ma il pesante vello ne annullò l'efficacia.
    Zasqa ruggì. Ovviamente ottenne uno scarso risultato, alla fin fine era ancora un grosso gatto spelacchiato e nulla di più, non il possente leone bianco che sarebbe diventato.
    Kammo caricò e tre animali tentarono di incornare la minaccia, compreso quello ferito. Il dothraki fu lesto nel far scartare Noah, per evitare di essere colpito. Si allontanò da quel mura di corna, ma poi si accovacciò sulla sella e spronò nuovamente il cavallo verbalmente e Noah si lanciò contro i bovidi che di nuovo lo caricarono in tre. Kammo lo fece scartare di nuovo, ma poi spinse con forza sui talloni e saltò verso quello colpito dalle frecce, brandendo l'arakh. Lo colpì con forza dietro la testa e il sangue sgorgò in un fiotto copioso, che la pioggia non riuscì a lavare via. L'animale muggì, barcollando, Kammo atterrò sul dorso di quell'animale ma avendo le mani strette sull'arakh non riuscì ad aggrapparsi e cadde a terra. Il fango attutì l'impatto, ma Kammo si ritrovò in mezzo al muro di corna e gli animali, spaventati dall'odore di sangue, lo caricarono. A salvarlo furono Lekh e Zasqa, i quali si frapposero tra lui e gli animali abbaiando, ruggendo, mordendo e graffiando.
    Con quell'agitazione, il compattezza del branco si era dissolta, i suoi uomini riuscirono a rompere il muro di corna e i bovini si diedero alla fuga, lasciando il loro compagno ferito ai dothraki. Kammo si passò la mano sul viso, per pulirlo dalla pioggia, dal fango e dal sangue e poi si avvicinò alla preda, dandole il colpo di grazia.
    Legarono la carcassa e tornarono all'accampamento dove le donne e gli schiavi iniziarono a sezionare l'animale. Un bue muschiato disse Tokho.
    Quel giorno, ogni membro del khalasar, schiavi compresi, poterono godere di una generosa porzione di carne.
    Anche Zasqa e Lekh ne ricevettero una porzione generosa. Avevano salvato il loro padrone e Kammo li premiò per la loro fedeltà e aiuto.
    Quella sera, nella tenda, Davvi era felice. Le nausee nelle ultime settimane erano scemate, anche se la stanchezza si faceva ancora sentire. Suo marito era tornato da una battuta di caccia con una preda importante. Mai come quando era tornato con un gigantesco leone bianco e il suo cucciolo, ma per il khalasar quasi quattrocento chili di carne erano una benedizione.
    Aiutata dalle altre moglie, spogliò il khal e lo lavò, lasciando gli abiti alle cure di Mirri.
    Kammo aveva comunque vent'anni e con tre donne che lo accarezzavano e massaggiavano per pulirlo per bene, era normale che il suo corpo si svegliasse. Contiamo poi che Oqetti sapeva dove mettere le mani per fartelo andare in tiro e probabilmente lo faceva apposta.
    Davvi però era la Khaleesi. Kammo la prese tra le braccia e la condusse al talamo, dove l'adagiò sulle pelli e la spogliò.
    “Le tue tette diventano sempre più grosse, Luna della mia vita!” Ah! Il romanticismo dothraki!
    Le allargò le cosce e affondò il viso tra di esse, deliziando la consorte, sotto lo sguardo d'invidia di Oqetti.
    All'apice del piacere, Davvi strinse tra le dita le pelli, irrigidendosi, per poi accasciarsi con un sorriso soddisfatto sulle labbra.
    Kammo la sovrastò, pronto a prendersi il proprio piacere, ma Davvi gli posò due dita sulle labbra, per impedire di essere baciata.
    “Mio sole e stelle, sono così stanca... e tu hai altre tre mogli. Le hai volute, adesso ne approfitto un poco anche io” disse con un sorriso e metà tra il divertito e l'offesa. La khaleesi non gradiva la presenza di quelle che vedeva come rivali. Forse quella era una vendetta, alzare la temperatura e poi lasciare Kammo con un pugno di mosche.
    Ma Kammo aveva appunto tre mogli. Sorrise. “Va bene, Luna della mia vita, risposa” disse, scoccandole un bacio sulla fronte.
    Con il membro ben eretto si avvicinò quindi a Oqetti. Alla primogenita di Gralato le piaceva la rudezza, se anche non avesse perso tempo in preliminari, si sarebbe goduta comunque la cavalcata.
    Oqetti era seduta sul proprio giaciglio, fissando insistentemente il talamo dove Kammo e Davvi amoreggiavano. Al suo fianco, Tirli cercava di ignorare i gemiti della khaleesi, ma probabilmente Davvi era persino più rumorosa del solito proprio per sottolineare la sua posizione dominante.
    Come la maggiore delle due sorelle vide avvinarsi il khal, si sdraiò, mettendo in bella vista la propria femminilità, toccandola con le dita, gli occhi vogliosi piantati sul corpo di Kammo, il quale non era un adone, ma aveva provato di essere il più forte del khalasar.
    Kammo si mise carponi, strusciò il pene contro l'inguine della donna fissandola divertito, per poi penetrarla senza troppe cerimonie. Oqetti si morse il labbro inferiore, socchiudendo le palpebre.
    Rapidi affondi decisi del bacino di Kammo infilzarono la donna. Ancora non aveva palesato i primi sintomi della vita che le fioriva in grembo e Kammo aveva preso l'impegno personale a ingravidarla, senza sapere di esserci ancora riuscito.
    Uscì da lei, la invitò a mettersi a carponi, le posò le mani sui fianchi e riprese l'amplesso.
    Tirli si era alzata sulle ginocchia e aveva iniziato a baciarlo, in questo modo lo distrasse, costringendolo a rallentare e dividere le attenzioni tra le due. Quand'ebbe finito con Oqetti, Kammo si sdraiò tra le due sorelle, chiacchierando con Tirli, rispondendo alle sue domande sulla caccia di quel giorno, continuando a baciarla e ad accarezzarla. Quando la sua salsiccia riprese tono, consumò l'amplesso anche con la secondogenita di Gralato e poi se ne andò a dormire accanto a Davvi.
    Quando si svegliò all'alba, fece l'amore con la khaleesi e, prima di lasciare la tenda si occupò di Mirri, sempre che l'ex schiava lo desiderasse. Sia mai che le sue moglie non fossero soddisfatte.
     
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    -Guadagni +1 Marzialità (battuta si caccia)
    -Guadagni +5 Affinità Zosqua (per averti soccorso. Inoltre Zosqua ottiene +5 Affinità verso Kammo)
    -Guadagni +5 Affinità Lekq (sono da telefono scusa, il cane insomma)
    -Guadagni +10 affinità con tutte le mogli con cui hai fatto sesso, non ho capito quante siano 😅
     
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