Acciaio di Valyria- Forgiare l'Acciaio Vicare

Chiamata del Fato Vicare

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  1. Il Duca di Plexiglass
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    Alfiere

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    Corse tanto forte da perdere sensibilità ai piedi e pianse così tanto da non distinguere più le forme. Ombre inquiete e rifessi sbaditi nel buio, l’incubo si sfaceva attorno a lui, il mondo collassava nell’incertezza. Sicuro di morire, il cuore gli rimbalzò violentemente quando sentì di colpo una familiare voce chiamarlo e amichevoli braccia sollevarlo.
    Il coltello gli cadde di mano mentre premeva la testa contro la spalla del suo soccorritore.
    Basta! Basta! - piangeva isterico - Voglio tornare a casa! - il dolore già striava i suoi ricordi, le lacrime rigavano le immagini, l’odore neutro della cenere cancellava l’olfatto, un vuoto silenzio annullava i suoni…il trauma veniva seppellito, un tesoro maledetto nascosto su un’isola sperduta nella Vecchia Valyria. Mai più, mai più avrebbe conosciuto quel dolore.
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    Vicare inspirò, svegliandosi improvvisamente come da un’apnea sulla stessa sedia dove, una quantità indefinita di tempo prima, aveva iniziato la sua sfida col vecchio misterioso.
    Pareva avesse vinto, ma era troppo stordito per ricordarsi come o per compiacersene.
    Si pulì un rigo di bava dalla guancia, era chiaramente ubriaco. Maledetti incubi - sbiascicò notando un bigliettino dove prima aveva trovato lo sfidante. Ne soffriva da Qohor, ma quelli sembravano ancora più vividi ed inquietanti dei soliti. I mostri non mancavano dai suoi travagli notturni, ma suo padre…suo padre non lo sognava spesso e gli incubi… Non arrivano mai a tanto…non raggiungono una conclusione di solito- e invece aveva sognato con cognizione fino alla fine.
    Il macigno che sentiva in cuore gli impediva di trovare la cosa “buffa” o interessante.
    Non sapeva cosa aspettarsi dal biglietto, si ricordava molto più dell’incubo che del suo incontro di cyvasse, il che implicava che le sue capacità di giocatore si moltiplicassero con un livello sufficientemente alto d’incoscienza.

    “Ti cercherò ancora quando saremo nella capitale di questo continente, scricciolo”
    Rimase interdetto. “Scricciolo”
    Scricciolo - ripeté. La testa iniziava a dolergli.
    "Scricciolo! Sono io, sono io!"
    Tu? - la voce gli si spezzò in gola. Senza nemmeno rifletterci gli occhi si appannarono.
    No, no, no - si rifiutò prima scrutando il biglietto da più vicino e poi invece gettandolo lontano da se. Provò ad alzarsi dal tavolo, avvertendo un certo dissenso dal suo corpo.
    Vide il volto, il volto dell’uomo del suo sogno, lo ricordò meglio di come lo avesse sognato, lo ricordò a Braavos. Ricordò la madre che piangeva, ricordò gli zii parlare di naufragio, ricordò delle giornate nel mare, il viaggio con suo padre.
    Si forzò ad abbandonare il tavolo, come se potesse fisicamente fuggire dall’epifania.
    La sedia ruzzolò capovolta ed alcuni pezzi di Cyvasse si rovesciarono sul pavimento inclinato del sottocoperta, rotolando assieme all’ondeggiare della nave.
    Appoggiandosi alle pareti ed ai corrimani si trascinò sul ponte sperando che l’aria lo facesse rinsavire, che si trattasse di una grande allucinazione.

    Una volta all’aperto guardò il cielo, le stelle sembravano muoversi. Merling maledetto - grugnì cadendo sulle ginocchia. Tutto si muoveva attorno a lui. Si risentì gli occhi malvagi puntati contro, si sentì solo in quella caverna, intento a gattonare via da suo padre.
    Arrivò al limitare del ponte sostanzialmente strisciando. Gli occhi erano colmi di lacrime, ma il respiro era troppo esitante ed irregolare per permettergli di piangere come avrebbe voluto.
    Tutto il male che lo aveva seguito, tutto il buio che sentiva…tutto era improvvisamente spiegato. Mai più la domanda “perché a me?” avrebbe potuto essere invocata di fronte alle sventure. Continuava a negare ma sentiva in se crescere la sicurezza che fosse tutto vero.
    Mi hai ucciso! Hai ucciso tuo padre! Sei stato tu! Sei stato tu!
    Chiuse gli occhi sperando che il mondo che lo circondava smettesse di muoversi, ma anche con le palpebre sigillate vedeva le stelle parecipitare nel buio.
    Infilò la testa fra le assi del parapetto e vomitò con veemenza.
    Hai ucciso tuo padre! Sei stato tu! Sei stato tu!
    Il veleno usciva da quello scrigno che doveva rimanere seppellito a Valyria e gli entrava nel petto.
    Hai ucciso tuo padre! Sei stato tu! Sei stato tu!
    Maledetto quasi dall’inizio, come poteva Vicare essere vettore di altro se non di male? Lo sguardo folle di suo padre era anche il suo, ecco l’eredità diretta che aveva sempre cercato.
    Sei stato tu! Sei stato tu!

    Sempre! Sono sempre stato io! - sbraitò con la testa oltre il parapetto, ruggendo contro le onde- Non quello che ho fatto, non quello che gli altri fanno o pensano! E’ tutto scritto e deciso!
    Sono stato io! Tu sei morto ma camminiamo lo stesso percorso! Vaffanculo! Morto! Morto!

    Due marinai lo afferrarono prima che l’impeto lo facesse cadere nel Mar Stretto. Le sue urla per loro dovevano essere le farneticazioni in basso valyriano di un ubriaco.
    Si trascinò in cabina, il sonno talvolta cambia le cose, ma col passare del tempo quella convinzione si faceva più consapevole ma non meno dolorosa.
    Quella note avrebbe mormorato scuse e maledizioni in egual misura per suo padre, sempre più freddo a ciò che di brutto aveva vissuto e sempre più timoroso nei confronti di ciò che, invece, c’era di bello nella sua vita. Quella promessa di felicità poche cabine più in là, quanto tempo ci avrebbe messo a trasformarsi in un boccone avvelenato? Come poteva lui realisticamente diventare padre? Come poteva generare vita e ancor peggio quella vita guidarla? Lui il padre lo uccideva, non lo poteva diventare.

    905 parole ed allegria. Che bello imparare a forgiare le cose (:
     
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10 replies since 11/3/2022, 09:53   258 views
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