Quando non resta più niente, inchinati

Libera

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    Condottiero

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    La tenue luce del tramonto attraversava le ampie finestre della camera, bagnava ogni superficie di un arancio brillante ricordando vagamente la sabbia dorata che riflette la calura del deserto a mezzogiorno. Una vista da togliere il fiato, se solo avesse potuto goderne appieno. Non era raro rimanere affascinati dalla bellezza naturale di Lys, ma di certo lo era distogliere lo sguardo dal sole calante per posarlo avidamente su una figura che, volente o nolente, richiamava a se tutta l'attenzione della stanza. Sotto la potenza penetrante dello sguardo dello schiavo, Nadine si sentì piccola e vulnerabile, incerta al punto che avvertì l'insolito bisogno di muoversi o sgusciare fuori dalla sua stessa pelle. Spostare il peso del corpo da un piede all'altro e torturarsi le dita delle mani strette in grembo, però, non fece altro che suscitare uno sguardo di disapprovazione in quel volto tanto bello quanto stoico. Capì subito che non era quella la reazione più appropriata al contesto, che avrebbe dovuto fare di meglio.
    Si morse una guancia tanto forte da farla quasi sanguinare. Era diventata immediatamente consapevole di quell'infelice scivolone da parte sua ed ancor più consapevole che quel silenzio che si protraeva da fin troppo tempo, aggravato soltanto dall'incessante sfida di sguardi, era stato studiato ad arte per metterla sotto pressione.
    E che stava fallendo.
    Erano passati troppi secondi, minuti o addirittura ore in cui l'unica cosa certa erano stati gli occhi azzurri dell'istruttore nei suoi altrettanto azzurri. Nadine non aveva ricevuto il permesso di interrompere quel gioco, di godere della morte del giorno per far rinascere la sera, di assaporare gli ultimi raggi del sole prima di essere rinchiusa dentro alle camere di un bordello. Non aveva il permesso di essere nervosa, di interrompere l'immobilità del corpo anche solo per portare sollievo ai piedi gonfi e doloranti. Perché si trovava lì? Una domanda semplice, ma che racchiudeva in se significati molto più ampi per Nadine.

    Tutti gli schiavi, prima di essere venduti al miglior offerente, dovevano imparare a comportarsi rispettabilmente dinnanzi ai Signori più potenti del continente. Chinare con sottomissione la testa quando richiesto o assumere un atteggiamento di educata sfida se necessario, baciare il terreno dove un padrone camminava o sputare su quello dei più insignificanti, era tutta una questione di recitare una commedia. Un contatto visivo, una stretta di mano, un inchino galante, niente era mai lasciato al caso e, mentre la sua mente era lasciata libera si mangiarsi viva in quel lugubre silenzio, Nadine non poté far altro che soccombere allo scorrere del tempo. Cosa voleva provare questa volta il suo istruttore? Per quanto tempo sarebbe stata in grado di tenere a freno la lingua? Quanto prima che le gambe cedessero sotto il peso di un corpo così giovane eppure schiacciato a terra dal peso della vita stessa?
    No, convenne più tardi ti sta insegnando la pazienza.
    Una virtù in possesso di pochi e richiesta da molti. Doveva imparare, e doveva farlo in fretta, che il suo tempo non era veramente suo e che mai lo sarebbe stato, che se un padrone decideva di sprecarlo in silenzio osservandola negli occhi allora lei sarebbe rimasta lì, immobile e splendida, come una statua a farsi ammirare. Fu proprio quella realizzazione, il fatto di non avere scelta e di essere sollevata dal peso delle proprie decisioni, a porre la sua mente in un vero e proprio stato di pace e rassegnazione. Non doveva fare altro che essere, esistere in un mondo che non era reale bensì la fantasia di un uomo, donna, o chiunque l'avrebbe posseduta nel prossimo futuro, senza aspettative o scelte difficili che avrebbero cambiato il corso stesso della sua vita. Che non era realmente sua.

    Mentre sentiva tutta la tensione lasciare lentamente il suo corpo e la mente quietarsi fino a che nelle sue orecchie non risuonò che la piacevole melodia del silenzio, vide l'espressione dello schiavo cambiare da stoica a soddisfatta. Non seppe mai cosa lesse sul suo volto o nel linguaggio del corpo, ma l'istruttore si alzò con tutta l'eleganza possibile e richiesta ad un servo di tale livello e le si avvicinò con un sorrivo benevolo a fior di labbra. L'aveva resa morbida creta pronta per essere modellata nella sua forma più splendente soltanto con uno sguardo ed una bocca testardamente serrata. L'aveva spogliata di tutto, mettendola a nudo pur avendo addosso ancora i vestiti, lavandole via di dosso tutte le ansie e le preoccupazioni di una vita difficile.
    Perché la vita, da quel momento in poi, non le sembrò più così tanto sua.
    Un pensiero terrificante tanto quanto rincuorante.
    No si corresse allora, non è la pazienza che ti sta insegnando, è l'obbedienza.
    Adesso che era pronta ad imparare, alzò quegli occhi svuotati di tutto sul viso dello schiavo.

    << Sei una visione così vuota e compiacente, Nadine. Ti ho sempre detto che il fuoco che brilla nel tuo sguardo non ti avrebbe portata da nessuna parte se non ad una morte prematura. >>

    Alzò una mano callosa e mascolina fino a carezzarle una guancia e lei vi si poggiò docile, godendo di quel breve ed intimo contatto umano come un assetato gode anche del più misero rivolo d'acqua.

    << Accetta di essere proprietà di qualcuno. >>

    L'aveva accettato già da tempo, o almeno così pensava, eppure lì di fronte a quell'uomo impossibilmente bello si ritrovò ad indagare sulla veridicità delle sue stesse convinzioni. Ma era stanca di pensare, stanca di conversare con se stessa così come lo era di stare in piedi in silenzio. Se mostrarsi un semplice involucro di carne ed ossa avrebbe fatto concludere quella giornata, allora sarebbe stata un involucro di carne ed ossa.
    Sospirò e poggiò la sua mano più piccola e delicata su quella di lui. La strinse, la girò, si portò il palmo alle labbra, lo baciò con reverenza.
    Sono tua gli disse con quei baci leggeri come piume Sono tua, fammi solo smettere di essere me. Erano pensieri incoerenti? Non lo sapeva, non voleva ragionarci troppo.

    Sentì delle dita stringerle il mento, alzarle la testa e di nuovo si trovò a specchiarsi in quelle iridi color del mare.

    << Fai un bell'inchino Nadine. >>

    E lei lo fece.
    Piegò la testa verso il basso, lo sguardo puntato a terra che non osava offendere in alcun modo chi le stava davanti. Le mani scorseso sul fianchi carezzando un vestito sottile e morbido, afferrandone i lembi tra pollice ed indice, discostandolo dalle cosce quanto bastava per allargare e braccia nel modo più consono. Portò poi il piede destro dietro al sinistro in un movimento fluido e grazioso, poggiato a terra ma senza sostenere il grosso del suo peso corporeo. Piegò le ginocchia verso l'esterno, la schiena dritta ed il sedere in dentro, chiudendo così quel gesto di saluto dei confronti di un superiore.
    Uno, due, tre, si alzò.

    << Ancora. >>

    Lo fece di nuovo, poi di nuovo, e poi di nuovo fino a quando non le tremarono le gambe.
     
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