Finalmente un po' di pace

Libera Arthur -Isabel

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    Dopo aver cercato di parlare con il Primo Cavaliere senza successo, Isabel aveva trascorso la mattinata insieme ad alcune donne della servitù per poter organizzare il suo rientro a casa. Così aveva deciso, in un modo o nell'altro sarebbe tornata nella sua Isola, lontana da quella maledetta capitale.
    Se le sue sensazioni riguardanti una eventuale gravidanza fossero state veritiere, di certo non avrebbe voluto dare alla luce suo figlio in una fortezza poco sicura.
    L'unico motivo che la teneva ancora imprigionata in quelle quattro mura dorate era il suo Arthur.
    Non aveva più avuto notizie e nel suo cuore cominciava a gravare il peso della preoccupazione. Era vivo? Era morto? Non sapeva nulla e in qualche modo avrebbe dovuto nascondere a tutto il mondo di essere rimasta incinta. Avrebbe voluto dirlo a Eldridge per cercare conforto e assistenza, ma aveva appena perso suo padre e avevano in comune un dolore troppo grande per adesso.
    Aveva fatto sistemare i suoi bauli e aveva riposto gli indumenti della cugina insieme ai suoi, almeno loro avrebbero varcato la soglia di casa prima o dopo.
    Uscì dalla sua stanza per riprovare ad incontrare il Primo Cavaliere, sempre vestita di nero, ma con i capelli completamente raccolti.
    Camminava lentamente per i corridoi cercando di trattenere il respiro quando un odore a lei non gradito cercava di insinuarsi nelle sue narici. Quella nausea cominciava ad essere insopportabile, ma le capitava di sorridere al pensiero di aspettare un bambino. L'unica gioia in quel mondo oscuro.
    Si trovava quasi all'altezza della Sala del Trono, quando sentì lo strascico dell'abito impigliarsi un po' a qualcosa sul pavimento.
    Si voltò per guardare indietro, mentre la stoffa si distendeva da sola senza alcuno sforzo da parte sua, ma non fermò il passo e andò a scontrarsi con un uomo.
    Per non perdere l'equilibrio strinse la maglia di quest'ultimo e alzò il viso imbarazzata.

    Scusatemi, non ero attenta, non volevo... iniziò a giustificarsi.

    Quando i suoi occhi incontrarono quelli dell'uomo, una sensazione di benessere mista a pura euforia, si impossessò di lei.
    Posò una mano sul viso del suo amato e delle lacrime iniziarono a scenderle dagli occhi.

    Sei vivo sussurrò.
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    Arthur era uscito come una furia dalla Sala del Trono della Fortezza Rossa. Non solo aveva appena scoperto che la Capitale era stata assalita, che molti nobili erano rimasti feriti od uccisi, compresa la cugina della sua promessa sposa. Aveva appena udito che il cosiddetto eccelso Maestro della Guerra stava fuggendo come un cane da Approdo del Re senza prendersi le proprie responsabilità per il disastro di Roccia del Drago.
    Quindi la decisione del Primo Cavaliere di andarlo ad acciuffare per ricordargli il suo posto sotto la Corona e per domandargli spiegazioni sul suo operato. Il problema era che ora Lionel non era solo più il suo Signore, era anche la Mano del Re. Quindi aveva bellamente ignorato il proprio scudiero ed era partito per l'accampamento dei Karstark con tutta la corte al seguito. E questo però lasciava il valyriano libero di seguire il suo cuore e andare quindi dalla sua amata.
    Di certo però, con quegli accadimenti, il suo animo era furioso e agitato e fu con un quel modo che lasciò la Sala del Trono.
    Mentre camminava andò a scontrarsi con qualcuno che sbucava da un angolo e, mentre camminava avanti, guardava indietro, cosa alquanto strana se non pericolosa.

    Ehi, guardate dove anda...

    Il tono rabbioso e la frase sputata all'aria si bloccarono a metà. Arthur aveva riconosciuto chi gli era andato a sbattere contro e le mani che strinsero l'usbergo dell'armatura. Era Isabel Snow, colei che stava cercando, colei che era la sua promessa.
    Lui fissò i suoi occhi ametista in quelli verdi della ragazza e un sorriso spento gli si disegnò in volto.

    Certo che sono vivo, non esserne così sorpresa. Te lo avevo promesso no? E benché qualcuno voleva diversamente... Io mantengo le mie promesse.

    Il tono pungente che usò era diretto a colui il quale aveva tentato di farlo ammazzare, ma non c'era riuscito. A quel punto finalmente allargò le braccia e prese la donna in mezzo ad esse.

    Mi sei mancata, mia adorata... Come stai? Ho saputo di tua cugina... Mi spiace tanto non essere stato qui a proteggere te e lei... Mi spiace di essere stato lontano... Vieni, andiamo a parlare altrove.

    La strinse a sé e le fece cenno di camminare fino ai suoi alloggi.

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    Voleva solo piangere, stretta tra le braccia dell'uomo che amava e dirgli che voleva andarsene da quel posto, che Approdo non era più un luogo di gioia, ma era diventato per lei un profondo abisso di sofferenza. Condusse Arthur nelle sue stanze e chiuse la porta come se avesse timore che qualcuno potesse entrare.
    Iniziò a camminare su e giù per la camera pensando a cosa voleva dirgli. Era agitata e non riusciva ad essere lucida. Dentro quelle quattro mura aveva riposato per qualche ora il corpo della cugina e lei non riusciva a guardare quelle lenzuola senza rabbrividire.

    Non è semplicemente morta... l'hanno fatta a pezzi. Le hanno strappato braccia e gambe e ho trovato James ricoperto di sangue che trasportava un carretto con il suo corpo... si portò una mano alla bocca, come se volesse fermare le sue stesse parole, come se si stesse facendo del male a ricordare.

    Cercò di reprimere le lacrime e fece un respiro profondo, ma i suoi occhi erano visibilmente lucidi e non aveva modo di nasconderli. Non ne aveva intenzione, comunque.
    Si voltò a guardare Arthur e il suo pensiero si mosse su quello che poteva crescerle nel ventre in quel momento. Non ne era certa e provava pure un po' di paura nell'immaginare come sarebbe stata la sua vita di li a poco, ma doveva assolutamente condividere quel dubbio con lui.

    Ho un dolore nel cuore che non puoi immaginare... fece, prima di avvicinarsi al suo amato.

    Gli prese le mani e le strinse debolmente nelle sue. Le mancavano le forze pure per respirare in modo normale e cominciava ad accusare le conseguenze di tutte le energie spese il giorno prima e della nottata insonne appena trascorsa.
    Lo guardò negli occhi e cominciò a domandarsi se lui sarebbe stato felice dell'arrivo di un figlio, o se in qualche modo le avrebbe chiesto di sbarazzarsene. Eppure in quegli occhi violacei non riusciva a vedere nulla di cattivo, nessuna macchia di oscurità, solo un amore profondo e la necessità di stare insieme.

    Forse non è questo il momento adatto per parlartene... sei appena tornato dalla guerra e io ho perso mia cugina, ma... cominciò a dire.

    Sentiva il battito del suo cuore nelle orecchie e fu costretta ad abbassare lo sguardo per non rischiare di sentirsi male. Le sue mani divennero fredde d'un tratto.

    Non ne sono sicura, non mi sono ancora fatta visitare da Gran Maestro, ma ho contato i giorni e ho un ritardo... tentò di finire il discorso.
    Non un ritardo mentale eh, ma ci è vicina.


    Appoggiò una mano sul viso del suo amato.

    Quello che voglio dire è che...beh, forse aspetto un bambino. Il tuo bambino.
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    Il giovane valyriano restò fermo vicino alla soglia con le mani dietro alla schiena, come un soldato. Appena entrato aveva percepito l'odore del sangue tra quelle mura. E le seguenti parole della ragazza gliene confermarono l'origine. Vide distintamente che lei stava per crollare, così si avvicinò a grandi passi a lei, la fece fermare dal suo incessante cammino verso chissà cosa e la strinse forte a lui.

    Non ero qui e mi dispiace. Ma ora ci sono. Ringrazio il Dio Rosso che non ti sia successo nulla, non me lo sarei mai perdonato. Io sono qui. Ora penserò io a te.

    Vide che lei lo guardava negli occhi e Arthur, di rimando, vide in quelli della sua promessa qualcosa di diverso. Le parole che seguirono gli fecero gelare il sangue nelle vene. Ma non di paura o ribrezzo. Di contentezza. Poteva essere che in quell'unica notte di fuoco tra loro era già sbocciato il suo seme? Poteva essere che dentro quella giovane donna che gli aveva rapito il cuore stesse crescendo suo figlio?
    Per un momento non riuscì a parlare. Chiuse gli occhi per ritrovare le idee, ma non ebbe fortuna. Lo stupore e la contentezza erano troppe.

    Mio figlio?? Isabel, aspetti mio figlio??? Ma questa è una notizia bellissima. Dopo tanto orrore...

    La fece girare di schiena ridendo ed incrociò le braccia sul ventre di lei, con fare protettivo. Lì dentro c'era suo figlio!

    Questo è il nostro lascito. Ti prometto che avrà un nome! Che avrà un ruolo. Che avrà una vita diversa dalla nostra. Ora combatto anche per lui. Forza, dobbiamo andare a sposarci. Non ti lascerò sola ed in balia degli eventi. Mio figlio non sarà un bastardo. Dobbiamo trovare qualcuno che ci sposi. Ed in fretta anche.
     
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    Isabel fu contenta della reazione di Arthur. Non era certa che il suo amato fosse pronto ad accettare un cambiamento così grande, invece, con suo stupore, non solo sorrideva all'idea di creare una famiglia con lei, ma le aveva pure chiesto di sposarla in fretta e furia. Il loro bambino non sarebbe nato bastardo.
    Avrebbe voluto saltare di gioia, ma il lutto le opprimeva qualsiasi emozione positiva, quindi si limitò a stringere le mani di Arthur e tentò di non scoppiare a piangere.

    Arthur... Non voglio che il nostro bambino nasca qui. Voglio tornare a casa mia disse, prima di voltarsi ed abbracciarlo.

    Era importante per lei partorire lontana da Approdo del Re, fosse stato anche ad Essos, non gliene frega a molto, ma non li, non dove avevano ucciso Daeva.

    Dobbiamo trovare Ser Ygon Snow, sono sicura che ci sposerà

    Prese per mano il suo amato e aprì la porta per poter uscire dalla sua stanza. Chiese indicazioni ad una cameriera per sapere dove si potesse trovare Ser Ygon e in poco tempo si ritrovò di fronte ad una porta scura.
    Si voltò verso Arthur e sorrise.

    Sei pronto?

    Bussò.
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