Antiche faide

Quest per Josephine e Vidya

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    (perdonatemi l'errore col vessillo)

    La vecchia continuò a ripetere sottovoce le parole di Vidya mentre si alzava e, titubante, si allontanava dalla casa per chiamare altre potenziali pazienti per la Bolton. Non si era presa appunti di sorta, il che era riconducibile alla mancanza di un'istruzione formale, ma la difficoltà con cui si muoveva lasciava intendere che i suoi occhi non funzionassero più bene come un tempo. Tuttavia, nonostante le sue difficoltà, la vecchia era grata per l'aiuto che stava ricevendo e continuava a ripetere le parole di Vidya nella speranza di ricordarle meglio.

    Presto, le due lady avrebbero notato che molti abitanti del villaggio avevano iniziato ad avvicinarsi. La maggior parte delle persone sembrava sorpresa e grata per l'aiuto che stavano ricevendo. Alcune donne offrirono assistenza alle persone malate, mentre altre distribuivano cibo e denaro alle famiglie bisognose.

    I bambini guardavano tutto ciò che accadeva con curiosità e ammirazione, mentre le donne, quando non erano in presenza di Vidya e Josephine continuavano a lavorare instancabilmente. La vita in quel villaggio doveva essere estremamente dura, ma il contributo delle due nobili era di siccuro

    Nel tardo pomeriggio, i padri e i mariti degli abitanti del villaggio tornarono dalle loro attività di caccia e pastorizia. Molti di essi si sarebbero avvicinati al gruppo per ringraziare delle loro offerte e delle cure che erano state offerte loro: in tempi duri come quelli, ogni forma di aiuto era un'autenticca benedizione.

    A fine giornata, il villaggio appariva diverso da come era quel mattino. Grazie all'aiuto delle due visitatrici, ora molte famiglie avevano medicine sufficienti, e per di più mentre molte persone malate avevano ricevuto cure mediche. Inoltre, le parole della Bolton - insieme al denaro fornito dalla Mallister - avrebbero permesso agli abitanti del villaggio di far fronte ai malanni comuni, che spesso mettevano in ginocchio le persone più deboli.

    La mattina seguente, la spedizione sarebbe partita nuovamente alla volta di piazza di Torrhen, dimora di casa Tallhart. Il viaggio fin lì sarebbe stato tranquillo, senza alcun impedimento, ma in prossimità del castello le due lady sarebbero state fermate da un gruppo di cavalieri di pattuglia, i quali avrebbero chiesto loro di identificarsi.
     
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    Josephine Mallister Piazza di Torrhen 23 Gennaio 286


    ∼ 22 Gennaio 286 • Tarda sera - Sereno •
    Foresta del Lupo - Villaggio ∼


    G

    uance bagnate di lacrime e mani tremanti. Quella sera faticava a restare immobile, in ginocchio al cospetto degli Dei. Il piccolo alterino allestito nella tenda privata della Mallister le permetteva di offrire le preghiere del vespro in privato, anche perché l’intero Nord era digiuno di templi e luoghi di culto per i Nuovi Dei. Aveva ascoltato con fervore le prediche del Septon, sull’importanza dell’elemosina e di come i poveri fossero ricchi di spirito. La vita era stata così dura con loro, rendendoli indegni alla felicità e dei reietti. Rintanati in cunicoli delle città o in villaggi circondati da una distesa di ghiaccio, accoglievano di buon grado senza mai muovere rimostranze per le loro misere vite tutto ciò che di buono offriva la terra. Erano tra i giusti, così recitava il sermone del pio uomo, che narrava della gloria degli Dei. In quei momenti sentiva il peso di ogni gioello o veste di seta che indossava. Ognuno di esso poteva salvare dalla fame, se rivenduto a buon mercato, più di una bocca e donare sollievo agli infelici. Rendeva grazia agli Dei ogni qualvolta spezzava il caldo pane ai cereali oppure le labbra toccavano l’aroma del vino speziato. Solo il meglio per la figlia di Lord Jason Mallister e Lady Joanna Banefort. In quei momenti, quando incrociava la miseria e la povertà sul suo cammino si rendeva conto di quanto fosse giusto privarsi di qualcosa per dare a chi nulla stringeva. Tratteneva a stento le lacrime, dopo aver vissuto sulla sua pelle quella giornata fatta di sacrifici ed elemosina. Quasi si vergognava, che poco prima dell’arrivo all’umile villaggio, di essersi lamentata per quanto fossero diventate scomode le panche nella carrozza negli ultimi giorni. Mentre elargiva benedizioni ed una moneta per ogni viso emaciato sporco di fuliggine sentiva la stanchezza svanire via. Rinvigorita, mai si era sentita così motivata a proseguire nonostante ogni osso del corpo reclamava pietà, continuava a dispensare sorrisi ed oro.

    Aveva consumato un leggero pasto prima di mettersi a letto. Un po' di pane raffermo cosparso di burro aromatico ed una leggera zuppa di patate. Non aveva mostrato rimostranza quando le era stata recapitata la zuppa, nel tegame di ceramica, già tiepida. Aveva scorto negli occhi dei bambini del villaggio la felicità anche di fronte ad un osso di cervo, facendo a gara tra loro a chi riusciva ad estrarne il succoso midollo per primo. Non aveva consumato tutta la zuppa, sforzandosi però di mandare giù un boccone di pane ai cereali. La giornata si era appena conclusa, avvolta in una leggera vestaglia ed ammantata in strati di pellicce, pronta a tornare sul comodo giaciglio. L’indomani sarebbero ripartite insieme al corteo per raggiungere Piazza di Torrhen. Aveva già predisposto la partenza per l’alba, in modo da sgomberare il campo ancor prima del risveglio dell’intero villaggio. Così com’erano comparse dal nulla, allora sarebbero andate via. Come angeli dei Sette Cieli che poggiavano piede sulla mortale terra per dispensare consigli e doni ai bisognosi. Forse in quei pensieri c’era un briciolo di presunzione, sentendosi come un arcangelo vestito d’oro pronto a salvare le vite dei miseri e dei poveri. Una missione divina, una vocazione per la vita. Aveva atteso così tanto tempo, chiedendosi quale fosse il proprio destino, e nell’odiato e temuto Nord aveva trovato la propria strada. Che fossero i Nuovi o i Vecchi Dei ad illuminarle il cammino non importava, era fermamente convinta che ci fosse qualcosa di divino e miracoloso che guidava i suoi passi. Rendeva grazie ogni mattino per il nuovo giorno e per uomini e donne che si prodigavano affinché la sua missione andasse a buon fine.

    Le emozioni del giorno agitavano il sonno. La rendevano inquieta, tremante di sensazioni ed incapace di abbandonarsi all’oblio della notte. Non erano più i tremori del freddo a tenerla sveglia, o peggio improvvisi febbri ad agitarle il sonno. Erano i visi dei bambini ricolmi di speranza a commuoverla, le lacrime delle donne a muovere la sua passione e la forza degli uomini a far germogliare l’ammirazione. Alcuni infanti non avevano mai visto un cavallo, venendone irrimediabilmente attirati. I più indisciplinati provavano a lanciare sassi o pietre, venendo poi sgridati dalla guardia o dalle madri. La maggior parte trovava un modo per comunicare con il seguito della Mallister, dopo essere stati saziati dal pane. Nonostante i corpi scheletriti, crescevano a stento in un villaggio così povero ed immaginava che non tutti sarebbero arrivati alla maggiore età, trovavano la forza per rincorrersi e farsi i dispetti. Un sasso, una briglia o uno stelo di giunco diventava il pretesto perfetto per il gioco. La Mallister li guardava in silenzio, durante una delle tante pause che si concesse, acclamando chi riusciva a lanciare il sasso più lontano tra i campi e rideva come un’infanta quando uno dei più coraggiosi provava a solleticarle il collo con il giunco. Trattenne la guardia con un secco gesto della mano, rammentando a tutti che i bambini non sarebbero mai stati una minaccia, anzi. Rappresentavano il futuro, ed una nobildonna delle Terre dei Fiumi lo sapeva bene. Le fanciulle erano più timorose e meno sfrontate della controparte maschile. Se ne restavano in gruppi e difficilmente donavano attenzioni agli estranei. Del resto fin da piccole venivano educate a preservare la propria virtù, anche perché in un villaggio così piccolo e sguarnito di difese anche il vicino poteva diventare il lupo. Quando offrì loro un medaglione di smeraldi, riuscì a conquistare i loro cuori. Vanesie e desiderose di vivere la vita, dopo un’esistenza di stenti e rinunce. Ritrovava nei loro occhi la stessa determinazione che spesso si rifletteva nello specchio. Il desiderio di rivalsa, la possibilità di decidere per sé in un mondo che creava ostacoli e divieti. Unite da un destino comune, anche se vivevano contesti sociali completamente diversi. Spose bambine, promesse in matrimonio al giovane bracciante per alleggerire la famiglia dal peso di sfamarle. Venduta forse per un carro di buoi o peggio per un tozzo di pane. Una misera esistenza, e superata l’età giovanile anche il parto senza l’assistenza di una balia o di un Maestro di corte poteva diventare un pericolo mortale. Lady Josephine s’intrattenne più del dovuto con il gruppo di giovani fanciulle donando loro preziosi fermagli. Predispose che le ancelle al suo seguito agghindassero i loro capelli con fiori e bacche, per renderle graziose e coprire gli stenti che pativano ogni giorno. Erano bellissime, non nascose quel pensiero sussurrandolo ad ognuna di loro. Strazianti invece furono i racconti delle donne, costrette a vivere di miseria una volta perso un padre o un marito durante la guerra civile. Si unì al loro dolore, comune anche alle vedove di Seagard. Insieme a loro avevano tessuto e filato così tanti stemmi e biancheria per l’esercito Mallister, lo stesso che poi aveva portato una “vittoria” con l’accordo con il Lord di Grande Inverno. Si unì al loro cordoglio, stringendo le mani e vedendosi baciare gli anelli che impreziosivano le dita. Fu a quel punto, che contro ogni barriera dell’etichetta, fu lei stessa a baciare le loro mani per chiedere perdono per la sofferenza che s’era scatenata sulle terre di Westeros. Ogni feudo e Lord, maggiore o minore che fosse, ne era responsabile. Il popolo affidava le proprie esistenze nelle mani dei nobili, per trovare rifugio e prosperità. Invece durante la guerra civile avevano ricevuto solo lutto e carestia. Chi veniva trasportato esanime sul carro dei caduti non poteva comprendere il dolore dei parenti, di chi s’inginocchiava nel fango e tendeva le mani verso un lembo di veste insanguinata. I morti restavano esanimi, insensibili alle urla di disperazione delle donne. Privati dell’abbraccio di mogli, figlie o sorelle, era lo Sconosciuto a prendersi cura di loro. E cosa ne era di chi restava? Sopravvivere, non vivere. Fu colpita anche dagli uomini, precocemente invecchiati dalla fatica e dal duro lavoro nei campi. I giovani sembravano vecchi, e chi aveva qualche anno in più sembrava già udire il richiamo dello Sconosciuto. Pelle unta, odore pungente e vestiti logori. Furono le mani, enormi e ricolme di fuliggine, ad impressionarla. Trainavano i buoi con l’aratro, colpivano i greggi con la verga e battevano i chiodi con il martello. Le colonne su cui si reggeva l’intera esistenza del villaggio, la forza motrice di una misera esistenza ma pur sempre vita. Nonostante i precoci malanni e l’andatura spesso claudicante sembravano invincibili, soprattutto quando portavano nelle loro case un pugno di grano in più. Ogni briciola, anche quella più insignificante, poteva fare la differenza quando non si aveva nulla da condividere.

    Raggiunse lo scrittoio, incapace di arrendersi alla stanchezza dopo una giornata ricca di emozioni. Sensazioni che le agitavano ancora l’animo, lieta di aver intrapreso un viaggio così difficile ma capace di regalarle certezze. Il Nord aveva bisogno di lei, l’Aquila poteva ancora sorvolare i suoi cieli. Si era concessa più del previsto, in forze e risorse, eppure si sentiva arricchita e non svuotata.

    Cosa le era stato donato?
    Racconti.

    Ed era intenzionata a metterle su pergamena. Intinse la piuma nell’inchiostro ed iniziò a tracciare eleganti linee per imprimere su carta le emozioni che aveva vissuto. Vite che sarebbero rimaste indelebili, non solo nella sua memoria, ma anche di chi avrebbe letto quegli scritti. Un modo per ringraziare l’estrema gentilezza di chi non aveva nulla ed era pronto a donare tutto. Un modo per non dimenticare, nomi che le ronzavano in testa dal pomeriggio.

    Tomen, orfano sia di padre che di madre a causa di un’epidemia di vaiolo, lavorava come bracciante nei campi. Un giovane alto, smilzo ed imberbe. La vita era già stata ingiustamente dura con lui, sottraendolo all’affetto materno e alla guida paterna. Adottato da vicini, decise di rendersi subito indipendente lavorando nei campi del villaggio. Una paga misera ed un pugno di farina da consegnare alla famiglia che lo aveva cresciuto. In tanta miseria riconobbe la meraviglia. Come un bocciolo l’amore stava nascendo tra la figlia più grande dei vicini ed il giovane Tomen. Un amore osteggiato, almeno fino a quando il giovane non avrebbe dimostrato di poter rendere felice la maggiore dei figli. Comprensibili preoccupazioni di un padre, che però ostacolavano la felicità di due promessi. Spinta dall’amor cortese, letto lungamente in tomi e racconti di bardi, aveva donato un sacco di monete per permettersi un’abitazione ed investire su un’attività, visto che Tomen aveva la passione dell’intaglio del legno fin da piccolo. Forse sarebbe nato la prima bottega d’artigianato al misero villaggio o forse no, forse Tomen e Myrea avrebbero coronato il loro sogno d’amore oppure no. Non restava che affidare i loro destini nelle mani degli Dei.

    Aristide, umile pastore ed autorevole capofamiglia. Unico uomo in una famiglia composta di sole donne e costretto al loro sostentamento e protezione. Con una moglie timorata dagli Dei, da cui aveva avuto ben tre figlie, ed una sorella rimasta vedova con due figlie a carico, Aristide arrancava nel restare a galla con i conti. Rivendeva la lana a buon prezzo a Piazza di Torrhen, sfamava la propria famiglia con le carni delle pecore vetuste e offriva latte ai vicini pur di arrotondare le entrate. Non poteva concedersi riposo, costretto a sfruttare le numerose figlie e nipoti nella guardia del gregge. Non esisteva malanno o malattia che lo tenessero a letto, almeno fino a quando gli Dei lo avevano punito per ragioni a lei sconosciute con dolori lancinanti alle articolazioni da costringerlo a letto. Mossa da compassione Lady Josephine aveva concesso una scorta di grano e medicine alla famiglia per permettere ad Aristide di rimettersi in piedi e provvedere alla numerosa famiglia. Avrebbe poi affidato il resto nelle mani degli Dei.

    Tessa, rimasta vedova dopo l’ultima guerra e caduta tra le grinfie dell’autoritario e spietato suocero, viveva una vita rintanata tra le mura domestiche ridotta a schiavitù tra le sevizie della sorella e dei nipoti. Rimasta sola e senza protezione, era costretta a subire le ingiustizie di chi provvedeva per sfamarla e vestirla. Una prigionia, conosciuta ai più nel villaggio. La Mallister, mossa da compassione e pietà per la misera donna, aveva ordinato di parlare con Tessa di persona e liberarla dalla prigionia familiare. Inizialmente la donna si era mostrata reticente e diffidente, portando i segni della violenza anche sulle braccia ed il viso. Poi notando l’animo puro della Mallister e le buone intenzioni della delegazione di Grande Inverno, la vedova accettò l’aiuto della straniera. Un po' di denaro e punizioni per la reticente ed ingiusta famiglia. Dopo averla nutrita e vestita, Lady Josephine le concesse la benedizione d’intraprendere un viaggio a Piazza di Torrhen per ricostruire la propria vita. Non sapeva cosa il futuro avesse in serbo per lei, ma per grazia degli Dei le era stato concesso un nuovo inizio. Per il resto avrebbe pregato per Tessa e l’avrebbe affidata tra le amorevoli mani degli Dei.

    Continuò a scrivere nomi, storie e racconti. Fino a quando non fu vittima della stanchezza e sopraffatta dalle emozioni.

    ∼ 23 Gennaio 286 • Primo mattino - Nuvoloso •
    Piazza di Torrhen - Porte d’ingresso ∼



    Si unì alla carrozza poco prima della partenza, dopo aver stretto le mani dell’anziana donna che li aveva accolti al villaggio. In molti uscirono dalle loro case per benedire il viaggio delle Lady, una pacifica spedizione verso i territori di confine a scopo umanitario. Con aria stanca, di chi non aveva affatto dormito, le ancelle con del trucco avevano fatto miracoli per mostrarla florida e meno esausta di quello che sembrava. Con uno spillo le aveva punto le labbra per renderle di un rosso accesso e le guance ravvivate con una mistura cosmetica. Le ancelle l’avevano preparata quel mattino con miele, aceto ed un pizzico di zafferano, soprattutto per imporporare le guance e nascondere l’eccessivo pallore. Di certo doveva apparire in salute, raggiante alla corte delle famiglie più nobili del Nord e non malaticcia o esausta per il lungo viaggio. Proprio come una Vergine di Ferro affrontava le peripezie del viaggio con coraggio ed ardore, concedendo elemosina e pietà nel rispetto dei sacri precetti della Fanciulla. Assumeva regolarmente le tisane di Maestro Edmund, alcune dal sapore troppo aspro senza mandarle giù con conati di vomito. Bastava a volte tappare il naso ed assumerle senza pensarci. Oppure cospargere con un po' di melassa i bordi del calice. Trucchi usati da Septa Ysilla quando la costringeva ad assumere un medicamento da piccola, dal sapore tutt’altro che piacevole. Aveva notato la maestria con cui Lady Vidya elargiva consigli e preparava infusi per le donne dell’umile villaggio, ma se ne teneva lontana per non creare pettegolezzo. Una donna non poteva di certo capirne più di un erudito Maestro in termini di corpo umano e dei miasmi che si agitavano in esso.

    Trovò sollievo quando si accomodò sulla soffice imbottitura della carrozza. La fedele ancella le pose uno scialle di volpe nera sulle spalle, chiedendolo appena sotto al collo con una spilla argentea. Tirò un sospiro di sollievo quando la porta della carrozza si chiuse ed i cavalli iniziarono a trainare sotto l’egida dei cocchieri. Dietro di loro il gruppo di soldati e servitù pronta a riprendere il viaggio. Smorzò quel sospiro abbassando il capo ed interessandosi al ricamo sospeso da giorni. Stava ricamando dolci roselline su un campo innevato. Un lavoro che avrebbe atteso, anche perché le mani sembravano malferme e gli occhi faticavano a mantenere il fuoco. Dopo qualche tentativo si arrese, mantenendo il pezzo di stoffa tra le sottili e pallide mani. Rivolse uno sguardo in direzione del finestrino. Il mattino faticava a sorgere, a causa del cielo piuttosto uggioso. Sprazzi di luce filtravano attraverso le tende, scostate appena dalla Mallister. Rimase a fissare il paesaggio, che mutava passo dopo passo. Sempre più desolato, sempre meno ricco di campi ed insediamenti. Verso ovest i riflessi di un fiume, Lancia di Sale, che brillava al contatto con la poca luce che riusciva a filtrare dalle nubi. Ne rimase affascinata, restando taciturna per il tragitto. Fino ad appisolarsi, contro ogni aspettativa e contro ogni desiderio.

    Si destò quando la carrozza perse velocità fino a fermarsi. I nitriti di nervosismo dei cavalli e gli ordini di alcuni uomini turbarono la quiete nella carrozza. Ci mise un po' per mettere a fuoco e comprendere la situazione. Il Septon aveva interrotto le proprie omelie e l’ancella al suo fianco concluso i ricami sul tessuto. Segno che aveva dormito per buona parte del viaggio, cadendo in un sonno senza sogno. Ristorata lanciò un’occhiata interrogativa verso la Bolton e la sua cameriera. Nonostante l’agitazione all’esterno il corteo sembrava unito e tranquillo. Sulla carrozza si allungavano le ombre di enormi torri quadrate. Mentre un armigero della guardia aprì la porta per avvisare le nobildonne dell’accaduto, la Mallister colse gli stendardi dei Tallhart sventolare sulle alte torri. Ad occhio e croce più di trenta piedi e dall’aspetto inespugnabile, perfino il portone d’ingresso era solido e dotato d’inferriata. Un castello a prova d’assedio, con un pontile sul lago verso Sud per le fughe e gli scambi commerciali. Erano giunti a Piazza di Thorren e gli uomini dei Tallhart chiedevano una rapida identificazione, visto che non recavano vessilli se non quelli realizzati dalle sapienti e caute mani della Mallister e della sua corte. - Annunciateci. - Lanciò un’occhiata verso Vidya, visto che ricoprivano insieme lo status sociale più alto tra i ranghi. Due Lady dell’alta nobiltà del Nord e della Terra dei Fiumi, figlie e sorelle di potenti uomini di Westeros. - … - Attese che la guardia annunciasse i loro nomi e titoli nobiliari, oltre che allo scopo della visita. Solo a quel punto sarebbe scesa dalla carrozza, fiera nel portamento e con l’Aquila argentea appuntata al petto. Richiedeva pane e sale, usanza comune nel profondo Nord.

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      Villaggio nei pressi della Foresta del Lupo · 22 gennaio 286AA
    Vidya seguí con lo sguardo il gruppo di fedeli imboccare lo stretto sentiero che, scendendo lungo il versante della collinetta, li avrebbe condotti fuori dal piccolo bosco. Le loro voci si fecero via via più sommesse e i cerchi di luce emanati dalle lanterne si attenuarono fino a spegnersi gradualmente, sparendo tra le fila d’alberi. Era finalmente sola. O quasi. Una delle guardie Bolton, infatti, come suo dovere, era rimasta lì ad assicurare la sua incolumità. Sospirò e rilassó la postura, abbandonando la solennità che assumeva ogni qual volta vestiva i panni del "Cerimoniere". Alle sue spalle, su di un rialzo del terreno che andava a creare una sorta di altare naturale, si stagliava un antico Albero-Diga. Prima di lasciare il villaggio, quella sera, aveva chiesto ad una delle donne di indicarle il loro luogo di culto, con la promessa di aggiungere agli aiuti materiali dati anche delle preghiere agli Antichi - un modo per mitigare le sue azioni, tanto in contrasto con l'idea comune di cosa fosse consentito fare ad una fanciulla del suo rango. L’apparenza era tutto per una giovane nobile, e Vidya era determinata a lasciare l’immagine di una Lady devota e timorata degli Dèi. Una Lady interessata alle sorti della sua gente e che per loro si adoperava, ad onta di ogni rischio, come notoriamente fece la sua antenata Barba Bolton.

    Si voltò e tornò ad inginocchiarsi ai piedi dell’imponente pianta, dove le radici che emergevano dal terreno creavano una sorta di seduta naturale. Era differente dall’Albero del Cuore presente a Grande Inverno. Il muschio ricopriva in alcuni punti il legno pallido, chiazzandone il candore, e le profonde incisioni sulla corteccia, che davano al volto un’espressione quasi sofferente, sembravano ferite aperte, grondanti sangue rappreso. Le lacrime che, cristallizzate, sgorgavano da uno dei due occhi porpora, erano particolarmente copiose e la sua mente volò al passato, ad un volto diverso, trasfigurato dal dolore e dall’ira, sanguinante.

    Chiuse con forza le palpebre, cercando di allontanare quell’immagine insieme alle contrastanti emozioni che le suscitava. Tremante, lottando contro la nausea di quel ricordo, si concentrò sul presente, sul manto erboso sotto di lei, sugli umidi odori della foresta d’inverno, sui rumori della natura che la circondavano ed i diversi suoni e voci umane che le giungevano alle orecchie trasportate dal vento. Infine, una volta che si fu calmata, rivolse gli occhi della sua mente alla giornata appena trascorsa. Una giornata impegnativa, di cui faticava ad elaborare gli avvenimenti.

    La vita nel Nord stava lentamente riprendendo il suo corso, ma i segni lasciati dalle recenti guerre erano evidenti sul territorio, con molti dei campi che mostravano segnali di incuria e i granai che languivano in attesa di accogliere i nuovi raccolti. Conseguenza dell’aver privato quei terreni delle braccia necessarie per coltivarli, impiegandole contro l'invasione dei Bruti e, poi, in guerre lontane da casa in soccorso della Corona. Le stesse ferite e cicatrici erano riscontrabili sui volti degli uomini che, sul finire di quel pomeriggio, erano tornati dalla caccia e dai pascoli. Si definivano fortunati per aver potuto, a differenza di altri, riabbracciare i propri cari e non essere diventati cibo per gli uccelli o, se le leggende erano vere, concime per i carnosi petali rosa dei Fiori di Sangue - i fiori che nascevano dal sangue dei caduti. Erano tuttavia tornati sfregiati, se non nel corpo attraverso menomazioni e danni fisici, nell’animo, come testimoniavano i loro sguardi distanti che narravano di battaglie e morte.

    Il passaggio della loro delegazione aveva stravolto la realtà di quel piccolo insediamento. I loro aiuti non avrebbero cancellato le difficoltà, o reso più facile quella faticosa esistenza, fatta di patimenti e miseria, ma le avevano alleviate almeno per un po’, dando loro respiro. Ogni forma di pane - per quanto raffermo - o sacco di farina e grano, rappresentava ore di lavoro risparmiate e una riserva in più; ogni malanno risolto si traduceva in una maggiore prestanza e produttività. Piccole cose, forse, agli occhi di chi non aveva mai sofferto davvero la fame o vissuto in una tale inopia, ma vere ricchezze per chi non aveva nulla se non quel poco conquistato con sudore e sangue. Se, però, fossero stati oculati nel gestire quei piccoli tesori loro donati, investendo i soldi e i gioielli in bestiame ed attrezzature, o nel migliorare le condizioni dei mulini, ne avrebbero tutti giovato sul lungo periodo.

    Un piccolo sorriso le sfiorò le labbra al ricordo dell’innocente curiosità dei bambini, che passavano dall’osservare incantati i ricchi abiti e i gioielli della Mallister, a sbirciare, con gli occhioni sgranati e gli smunti visini premuti contro le gonne delle madri, Vidya alle prese con sacchetti d'erbe e liquidi colorati. L’olio di lavanda era quello che più aveva riscosso successo tra di loro, attirati dal vivace viola e dalla fresca fragranza che emanava. Non aveva l’apparenza dell’aceto, a cui erano abituati e che tanto bruciava quando veniva versato sulle ferite e, con la scusa di permettergli di provarlo, complice la sua delicata azione, era riuscita a disinfettare anche i piú minuscoli tagli, in quelle condizioni facilmente infettabili, senza che questi se ne accorgessero.

    Sorriso che, subito dopo, si tinse di tristezza, ripensando all’anziana che le aveva accolte tanto gentilmente, la prima paziente che aveva curato e che poi l’aveva indirizzata verso chi più aveva bisogno. Alla sua umile casa, composta da un’unica stanza dal basso soffitto, annerita dal fumo del focolare ed arredata con null’altro che masserizie essenziali, che non aveva esitato a mettere a disposizione. E ricordò il modo in cui la donna aveva ascoltato con attenzione ogni sua parola, ripetendo sottovoce le indicazioni date nel tentativo di memorizzarle, consapevole del fatto che il tempo non le avesse indebolito solo il corpo, ma anche la memoria. Soprattutto, però, si concentrò sulla sensazione che quegli occhi slavati dalla miopia - alla stessa maniera di tutti gli sguardi che, uno dopo l’altro, si erano puntati su di lei durante quella visita - le avevano trasmesso.

    Aggrottò la fronte, sentendo la pelle del volto, sferzata dalla fredda brezza di quella sera, tendersi.

    Al Forte era stato diverso. Era stata un’egoistica necessità a portarla nelle segrete, ad offrire quelli che potevano essere potenziali rimedi alle sofferenze di quei prigionieri, non un disinteressato bisogno di fare del bene o pura pietà. I preparati che aveva somministrato erano esperimenti. I soggetti su cui li aveva testati avevano occhi spenti, rassegnati, e lei li aveva sempre approcciati con distacco scientifico, con lo stesso trasporto con cui poteva osservare gli insetti che catturava per poterne studiare i comportamenti. Per Vidya, focalizzata ossessivamente sulla propria ricerca, quelle persone non erano state altro che strumenti per trovare la giusta combinazione di antidolorifici. E se a farle prendere parte alla spedizione era stata un’altra egoistica necessità, questa volta, però, si era trovata di fronte a sguardi carichi di speranza, fiducia, profonda riconoscenza e sincera gratitudine.

    E questo, ripensandoci, ora che la concitazione del momento era passata, la turbava.

    Strinse le labbra ed espirò profondamente. Il gelo stava cominciando a filtrare attraverso la calda barriera creata da pellicce e mantello, e la giovane non poté trattenere un brivido.

    Era soddisfatta del suo operato. Orgogliosa di essere riuscita a mettere in pratica quanto il Maestro Tybald le aveva insegnato, quasi galvanizzata dal potere che ne derivava. In generale, dopo che per gran parte della sua vita aveva potuto solo subire ogni accadimento, come se non ci fosse scampo dalla fatalità che tutto muove, sentiva di essere finalmente in controllo e non più mera osservatrice.

    Ma c’era qualcos’altro che si agitava in lei. Una sensazione che non sapeva definire.

    Un nuovo tremito la scosse ed aprì le palpebre, tornando a fissare il volto davanti a lei, concentrandosi sull’occhio orbo piangente porpora. Quindi si guardò le mani coperte dai guanti.

    Mani che erano in grado di curare, quanto di ferire.

    La sua apparenza, algida e remota, era una armatura vestita da sempre, sino a confondersi con la sua pelle, al punto che nessuno avrebbe potuto dire quali, e quante, sfaccettature e sentimenti nascondesse nel profondo. Celati, a volte, perfino a Vidya stessa, da quella impenetrabilità tramandata per retaggio in Casa Bolton. I suoi pensieri tumultuavano impetuosi. Se a quel ghiaccio, che credeva ormai avesse permeato ogni fibra del suo essere, qualcosa caparbiamente avesse resistito, allora, il suo turbamento, non poteva essere ricondotto che all'empatia, a quelle molte e differenti emozioni provate in quelle ore.

    Chiuse i palmi e strinse i pugni. Doveva rimanere lucida e distaccata, non poteva abbandonarsi a simili debolezze.

    L'improvviso e secco schiocco di un ramo, seguito dal crepitio di foglie smosse, la fece sussultare, interrompendo di colpo la linea dei suoi pensieri. Le verdi iridi saettarono lungo la cinta di alberi che la circondavano per individuarne l’origine, ma la flebile luce della lanterna non riusciva a penetrare il buio attorno a lei, rendendole impossibile distinguere qualcosa oltre le alte sagome delle piante e le indefinite macchie degli arbusti. Si girò verso la guardia, che in allerta scrutava l’oscurità e, incrociandone brevemente lo sguardo, capì che era giunta l’ora di tornare dagli altri. Non si erano inoltrati molto nel bosco, dalla giusta angolazione era possibile intravedere le luci del villaggio, ma erano abbastanza isolati da poter finire preda di malintenzionati. Benché molti dei sopravvissuti alle guerre avevano fatto ritorno alle loro terre, altri, avendo perso tutto, invece, si erano dati al brigantaggio e non si poteva mai essere certi di chi poteva aggirarsi in quei luoghi. Neanche la sacralità di un nemeton era scudo sufficiente contro la disperazione di chi aveva fame. Rivolta un’ultima, rapida, preghiera all’Albero-Diga, si mise in piedi, stringendo i denti contro l’indolenzimento e irrigidimento dei muscoli delle gambe a causa del freddo. Raccolse velocemente qualche ramo tra quelli caduti a terra, da aggiungere alla ghirlanda a rappresentare quella tappa del viaggio, e si incamminò, seguita dalla paziente guardia, verso il sentiero. Ogni suo leggero passo accompagnato dal fruscio del bordo del mantello che accarezzava l’erba riarsa dal gelo.

    L’accampamento era stato allestito a poca distanza dal villaggio, in uno degli avvallamenti del territorio, utilizzando la Foresta del Lupo e le livide colline circostanti come protezione dai gelidi venti. L’animata luce dei fuochi accesi si rifletteva contro le pareti delle tende, proiettando su di esse le distorte e allungate sagome degli uomini e le donne stretti intorno a quell’unica fonte di calore. Raggiunse il campo mentre il cupo lamento della lira ad arco, lo jouhikko, cominciò a diffondersi nell'aria, seguito poco dopo da una voce femminile. L’Ora del Lupo. Una delle canzoni che si udivano ogni sera, una delle tante testimonianze della cultura del Nord che aveva raccolto durante le serate trascorse in compagnia della sua gente. Ne seguì le malinconiche note, anticipando nella sua testa i versi successivi, riflettendo su quelle parole dal suono tanto familiare quanto esotico per via dell’accento del nord-ovest.


    ♫… Jeg kan ikke hvile.
    I min ulvetime.
    Over alt … ♫



    Non riesco a trovare riposo,
    durante la mia Ora del Lupo,
    da nessuna parte.



    = ©



    Parlava dell’ora più buia prima dell’alba. L’ora in cui gli spiriti erano più inquieti e i pensieri, di chi non aveva trovato conforto nel sonno, si concentravano sulle proprie paure più profonde. L’ora in cui si facevano bilanci sulla propria vita e ci si chiedeva, con timore, cosa ci fosse in serbo per il domani. Pensieri che rendevano ogni requie vana e appesantivano i cuori di rimorsi e preoccupazioni. Una condizione che Vidya conosceva bene, aveva trascorso ore, insonne, a fissare quel buio - un’oscurità che poco aveva a che fare con la notte - e ad annaspare mentre l’ansia stringeva la propria morsa contro la sua gola fino a mozzarle il respiro. Una metafora perfetta per descrivere lo stato d’incertezza, non solo delle singole persone riunite davanti a quel fuoco, ma dell’intero Regno sulla soglia di un futuro che faticava a prendere forma.




      Piazza di Thorren · 25 gennaio 286AA


    La stanchezza dei lunghi giorni di viaggio cominciava a farsi sentire, le chiacchiere e l’entusiasmo erano andate scemando, e l’atmosfera grigia e uggiosa di quel mattino sembrava riflettersi sull’umore di molti. Lady Josephine si era addormentata, il tessuto su cui stava lavorando tenuto mollemente tra le mani; al suo fianco, a testa bassa, l’ancella prediletta continuava a ricamare, attenta a non disturbare il riposo della propria padrona. Il Septon, persa la più fervente delle sue ascoltatrici, taceva, immerso in una delle sue letture. La carrozza era avvolta nel più totale silenzio, gli unici rumori provenivano dall’esterno, attutiti dalle spesse pareti in legno imbottito dell’abitacolo. Il momento ideale per liberare Jiàn. Vidya accostò l’indice alla gabbietta e il piccolo fringuello si avvicinò titubante, ancora non del tutto abituato alla presenza di tanti sconosciuti, e le saltò goffamente sul dito, stringendola delicatamente con le zampette. Gli accarezzò delicatamente la testolina scarmigliata, per tranquillizzarlo e fargli sentire la propria presenza, ricevendo una serie di gioiosi trilli in risposta; e lo guardò, divertita, saltellarle sulla mano, muovendo il capo in tanti piccoli scatti per osservare, curioso, tutto quanto gli era attorno.

    Era intenta a dargli da mangiare, lasciandolo beccare i semi dal suo palmo, quando la carrozza iniziò a rallentare, per poi fermarsi del tutto. Nulla di strano, capitava di doversi arrestare temporaneamente per liberare tratti di strada o, vista la mole della carrozza e la presenza dei carri, assicurarsi di non rimanere impantanati nel fango. A far distogliere l’attenzione della Bolton dal piccolo uccellino furono le voci che si udirono pochi istanti dopo. Uno scambio di cui, pur non cogliendone le parole, si riuscì a percepire il tono autoritario e deciso. Si guardò attorno, perplessa, incrociando l’espressione interrogativa della Mallister che, nel frattempo, si era destata. Si accostò al finestrino per dare un’occhiata, notando immediatamente i tre alberi sentinella sulle armature di quella che sembrava essere una pattuglia di guardia, alle loro spalle, a poca distanza, le alte e poderose mura di una fortezza. Erano giunti a Piazza di Torrhen.

    Stava per commentare la cosa, rispondendo al muto quesito che aleggiava tra i presenti, ma la porticina della carrozza si aprì di colpo, interrompendola. Gli uomini Tallhart, venne comunicato loro, richiedevano d’identificarsi.

    Alzò nuovamente lo sguardo verso Josephine. Strano, pensó, che non fosse giunto alcun corvo da Grande Inverno per annunciare il loro arrivo e il vessillo sotto il quale avrebbero viaggiato.

    “Annunciateci.”

    Vidya scese dalla carrozza poco dopo la Mallister. Altera ed imperscrutabile, lasciò vagare il suo sguardo sugli astanti. All’argentea luminosità di quella mattina, le sue caratteristiche pallide iridi sembravano ancora più chiare, quasi del tutto prive di ogni sfumatura di verde. Identificandola, ancor più del mantello che indossava, nero con l’Uomo Scuoiato ricamato in rosa sulle bordure, come Bolton.



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    I soldati, appurata l'identità dei viaggiatori, tributarono il dovuto rispetto alle due Lady, scortandole immediatamente dentro il castello, dove un uomo di picola statura le avrebbe accolte.

    "Mie signore, è un piacere fare la vostra conoscenza. Io sono Jack, ciambellano del castello." Si presentò "Ho dato ordine di preparare delle stanze per voi e i vostri compagni di viaggio. E farò portare immediatamente pane e sale per tutti quanti."

    Sarebbe tornato nel giro di cinque minuti, annunciandosi con un breve inchino. "Lord Helmann Tallhart è pronto a ricevervi, se volete seguirmi..."
    La sala grande del castello era austera, pressoché spoglia, il che rendeva ancora più difficile distogliere l'attenzione dall'uomo che sedeva sullo scranno.
    Lord Helmann era un uomo di statura imponente, con i capelli biondi e gli occhi chiarissimi. Una cicatrice segnava il suo volto, conferendogli un aspetto ancora più intimidatorio.

    Benvenute, Lady Josephine Mallister e Lady Vidya Bolton.
    Esordì l'uomo con voce tonante. Io sono Lord Helmann Tallhart, signore di Piazza di Torrhen.
    Rigore. Quell'uomo sembrava incarnare il concetto stesso del rigore, e la guerra con i Bruti non aveva fatto altro che aumentare la sua popolarità di uomo severo e attento, sebbene venissero cantate anche le sue imprese sul campo di battaglia.
     
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    Josephine Mallister Piazza di Torrhen 23 Gennaio 286 Primo mattino - Nuvoloso Torrione centrale


    ∼ Above the rest ∼


    P

    rigioniera di un sonno senza sogno. O almeno così ricordava. Con tenacia aveva provato a resistere alla stanchezza, restando ligia al dovere del ricamo e ripromettendosi di essere di compagnia non solo per la dama ma anche per gli altri ospiti della carrozza. Si accorse ben presto di non essere l’unica a soffrire per la stanchezza, complice anche l’uggioso cielo che faticava a far fiorire il mattino sulla volta celeste. Un cielo cupo, che gettava ombre sugli incolti campi e le fredde colline. Dietro alla carrozza la marcia silenziosa dei pellegrini, che sembrava quasi un muto esercito di fedeli pronti a raggiungere con devozione e rinunce il luogo di culto. Nessuno, compreso le nobildonne in carrozza, sapevano chi e cosa le avrebbero accolte alla fine del faticoso e devoto viaggio. Ostilità? Accoglienza? La Mallister aveva provato ad immaginare la reazione dei Signori di Dito della Silice, di cui era già stata amata e mesta ospite. Per lungo tempo, anzi fin dalla partenza da Grande Inverno, si era chiesta cosa aveva condotto il ramo cadetto dei Flint alle aperte ostilità nei confronti dell’Aquila e dei popoli di confine. In verità immaginava che le differenze culturali prima o poi sarebbero emerse, e come di consueto la religione diventava un pretesto per muovere guerra. Pensieri che ne ferivano l’animo, considerando il culto e la personale fede una ragion di cuore e non di Stato. Ancora una volta Westeros veniva scossa nel profondo, smuovendo le ceneri e mostrando ancora le braci di un conflitto che non era mai stato soffocato.

    Rischiava di soffocare, venir inghiottita dal malumore che si percepiva nei confini. Parole terribili e di cinica intolleranza giungevano da entrambe le parti. Perfino la nobile e diplomatica Lady Joanna Banefort, Lady di Seagard, aveva lanciato la sua offensiva su carta per avvertire i Signori di Dito della Silice. Si respirava aria di tensione anche tra i pellegrini, ogni qualvolta ci si fermava per la notte o in un nobile castello o in un misero villaggio. Tensioni che si portavano dietro e che forse riflettevano in scala ridotta i conflitti che agitavano i territori di confine. Aveva smesso di chiedersi da giorni ormai, sulle motivazioni che avevano portato ad un deterioramento dei rapporti dei popoli dell’Incollatura. Aveva più e più volte provato a mettere su pergamena le proprie riflessioni, preparandosi un ineccepibile discorso da tenere a Dito della Silice. Ogni tentativo era stato vano, reputandolo troppo artificioso e distante dalle vere esigenze del popolo del Nord.

    Si sorprese, quando si destò dal sonno, d’udire il cinguettio di un usignolo. Mentre la vista metteva a fuoco la luce che filtrava dal finestrino, si chiese se il cielo nel frattempo non si fosse aperto dalle nubi e permesso alla luce d’impossessarsi della volta celeste. Amarezza sulle labbra. La giornata restava uggiosa ed il malumore s’era insinuato tra i compagni di avventura. Lo sguardo chiaro ed assonnato si posò su ogni ospite della carrozza. L’ancella di compagnia stava ancora tessendo la tela, ricamando graziose roselline agli angoli dell’immacolata stoffa. Ne scorse il profilo, illuminato appena dalla poca luce del mattino e poche ciocche castane sfuggivano alla cuffia. Il Septon aveva smesso di diffondere il verbo dei Sette, chiudendosi in un religioso silenzio. Leggeva stanchezza nei suoi occhi, condividendo forse i suoi stessi timori per il lungo ed estenuante viaggio. La dama di compagnia della Bolton, avvolta in scure vesti, si preoccupava di tenere in ordine la gabbia di Jiàn mentre Lady Vidya provvedeva a sfamare il maculato uccellino. Proprio su Jiàn cadde l’attenzione della Mallister, ammirandone la vivacità dei colori e l’indole curiosa. Una creaturina tanto piccola ma piuttosto intelligente. Udendo il suo cinguettio sperava in un cambio di paesaggio al di là del vetro, ne rimase delusa. Almeno fino a quando non scorse gli stemmi dei Tallhart.

    Si lasciò annunciare, dopo aver condiviso uno sguardo di mesta preoccupazione con la Bolton. Anche lei era giunta alla medesima conclusione, che forse il messaggero da Grande Inverno e che annunciava il loro arrivo presso le corti più importanti del Nord aveva tardato. Non era semplice del resto riconoscere il gruppo di pellegrini dal vessillo scarlatto, visto che stavano diventando un gruppo eterogeneo e variegato di uomini e donne. Uniti nel desiderio di pace e nella speranza di vera fraternità. Rimase ferma, statuaria quando il lembo dell’abito toccò il suolo di Piazza di Torrhen. Il fortino non era particolarmente grande ma le mura ed i cancelli d’ingresso rinforzati per sostenere un assedio e respingere un’orda di nemici. Ne rimase affascinata, anche quando rientrata in carrozza furono guidati verso gli interni della fortezza. I vessilli Tallhart sventolavano fieri sulle cime dei torrioni squadrati e sulle armature degli armigeri. I pesanti cancelli si aprirono con un sinistro stridore, mentre gli uomini facevano leva sull’argano per spalancare le spesse porte piombate. I solchi nella terra e lo stridore dell’inferriata lasciavano trasparire una certa infrequenza nel muovere gli argani di quell’intricato sistema per spalancarne le porte, che le conferì un misto di sicurezza per poi sentirsi subito dopo prigioniera una volta chiuse alle loro spalle. In poco tempo si ritrovarono di fronte al Torrione centrale, lì dove i Tallhart dimoravano ed accoglievano gli illustri ospiti. Le alte torri e le spesse mura gettavano ombre sulle basse ed umili abitazioni. I cavalli procedevano su un sentiero di ciottoli fino a raggiungere le porte della struttura più importante di Piazza di Torrhen. Ad attenderli c’era un uomo basso e tarchiato. La Mallister retrasse la mano per far ricadere le tende davanti alla finestra della carrozza, mentre gli uomini all’esterno predisponevano il tutto per la loro discesa. Uno di essi era già pronto a posizionare le scale e fare da supporto per le nobildonne ed i pii uomini. Tirò un sospiro di sollievo quando si ritrovò a calpestare il sentiero di ciottoli che conduceva verso il Torrione centrale. Rimase statuaria ed algida in attesa che il suo seguito fosse pronto ad accedere agli interni, ravvedendosi del ciambellano solo quando corse incontro alla carrozza. - Possa il sale ed il pane benedire il nostro arrivo al cospetto dei Nuovi ed Antichi Dei! - Si rivolse con fredda cortesia al basso uomo recitando la formula che ormai ripeteva di sovente ad ogni tappa tra le corti del Nord. Percepiva intorno a lei la gioia per un giaciglio caldo sorretto da solide mura invece di un accampamento di fortuna. Un sollievo anche per la Mallister, che poteva trovare ristoro e beneficio dai suoi malanni.

    Nei brevi momenti di attesa, in cui gli armigeri conducevano i cavalli alle scuderie ed i pellegrini condividevano le ciotole ricolme di pane e sale per ringraziare il Nord dell’asilo concesso, Lady Josephine sollevò lo sguardo verso le grosse nubi che coprivano i torrioni della fortezza. Un’imponente struttura in pietra, un valido fortino per la resistenza dell’intero Nord. Strinse le mani davanti al grembo e si chiuse nelle spalle non appena una gelida folata di vento le sollevò appena il casto velo. Una delle ancelle le tenne sulle spalle una pesante mantellina per non aggravare il raffreddore o peggiorare il pallore nell’incarnato. La cagionevole salute della Mallister già era messa a dura prova dal pellegrinaggio. Poco dopo il ciambellano tornò per presentare le due nobildonne a Lord Helmann Tallhart, Signore di Piazza di Torrhen. Percorse il corridoio, superando l’arcata principale senza timore. Gli ambienti vuoti, in cui gli ordini dei Lord tonavano come tuoni, erano di moda nei castelli del Nord. Arredamento spartano, essenziale. Si ritrovarono in un battito di ciglia di fronte allo scanno di Lord Helmann. Chioma bionda, sguardo di ghiaccio e corporatura imponente. Incuteva timore, soprattutto per via delle iridi fredde e severe. Aveva udito diversi canti sulle imprese del Lord contro i Bruti. Dai gesti misurati e decisi si evinceva sicurezza d’animo, rigore e severità. Sembrava quasi di essere al cospetto di un patriarca, che aveva convocato le proprie figlie. La Mallister sprofondò in un leggero inchino, sollevando le pieghe dell’abito come le era stato insegnato e mantenendo la schiena dritta. Capo piegato, non troppo, per mostrare rispetto ma non sudditanza. - La ringrazio per l’accoglienza, Lord Helmann Tallhart! - Sciolse l’inchino per riappropriarsi della sua naturale postura. - Siamo pellegrini provenienti da Grande Inverno. Insieme al nostro corteo si sono uniti uomini e donne dell’intero Nord. Casa Stark, Casa Mallister, Casa Bolton, Casa Cerwyn hanno risposto all’appello di pace e fraternità che sembra messo a dura prova nei territori di confine. - Proferì con un pizzico d’orgoglio, ma anche misericordia e speranza nel tono della voce. Non era lì per elemosinare le attenzioni del Lord, sarebbe stato il suo cuore a guidarlo verso la ragione. - Immagino che anche a Piazza di Torrhen sono giunte terribili notizie dal confine, su venti di conflitto tra i sostenitori degli Antichi ed i Nuovi Dei. Non sono qui per chiedervi di prendere una posizione in merito, ma per rinnovare la lealtà verso il nostro Signore, Lord Caleb Stark. - Breve pausa. - È Lady Elisa Stark-Flint a mandarci, affinché al Nord tutti rammentino il voto di fedeltà e fraternità che gli uni abbiamo giurato agli altri. - Concluse.

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      Piazza di Torrhen · 25 gennaio 286AA
    Fitti banchi di nuvole coprivano il cielo che, come marmo striato di tenui e sfumate venature grigio bluastre, soffondeva il paesaggio di una luce fredda ed intensa. In quella perlacea atmosfera, l'imponente castello lacuale di Piazza di Torrhen, con le sue svettanti mura alte più di nove metri e le caratteristiche quattro torri quadrangolari che sembravano emergere direttamente dall’acqua del lago, dominava l'intero territorio; così come gli alberi sentinella, gli stessi che campeggiavano sui vessilli di Casa Tallhart, con le folte chiome aghiformi e i loro robusti e torreggianti tronchi, dominavano i boschi che tappezzavano i clivi delle colline tutt'intorno. Una vista suggestiva, fatta di colori spenti ma vibranti, che non poteva non colpire chiunque vi posasse lo sguardo e Vidya non fece eccezione.

    Tuttavia, ciò che davvero la colpì, carezzandole dolcemente l’olfatto, fu il familiare sentore di acqua, terra bagnata ed alghe. L’umido odore del lago permeava l’aria, risaliva gli scivolosi e pietrosi argini e percorreva l’affollato pontile del molo, insinuandosi tra le snelle imbarcazioni o le povere costruzioni che sorgevano nei pressi delle mura e aleggiava, lento, lungo la strada che le aveva condotte sino alla fortezza, lambendo ogni cosa che incontrava. Dalla loro posizione, oltre il profilo di una delle alte torri, era possibile scorgere parte dei suoi flutti, opachi e metallici, incresparsi e sollevarsi al vento che li sollecitava. Inspirò a pieni polmoni istintivamente, come a voler incanalare dentro di sè quell’avvolgente essenza. Le ricordava vagamente il profumo dell’Acqua Piangente, solo più pungente e stagnante. Per qualche istante, prima di risalire a bordo della carrozza per essere scortate all’interno del Castello, si trattenne a guardare le piccole onde bagnare i massi e le pietre lungo la sponda occidentale e ascoltare il loro morbido mormorio, a malapena udibile a quella distanza, affascinata e nostalgica. Non una nostalgia triste, di quelle che pungevano l’animo e ferivano i cuori con ciò che era passato; ma una nostalgia dolce, una calda carezza che le infondeva forza attraverso i ricordi, rendendo meno incerti i suoi passi. Per anni, sulle rive del suo fiume, lo sguardo rivolto alle brulle Colline Solitarie o in direzione delle distese boscose ai piedi delle Alture delle Greggi, aveva sognato di poter posare i propri occhi sui paesaggi descritti nelle ingiallite pergamene della Biblioteca del Forte o narrati da chi si era spinto oltre i domini Bolton; poter associare, finalmente, colori e sensazioni a quelle parole e testimonianze d’inchiostro. Ora quel timido, ed amaro, desiderio era divenuto realtà e, ad ogni nuovo miglio percorso lo sguardo spingeva oltre, avido.

    Guardò Jiàn, nuovamente chiuso dentro la sua gabbietta. Il moncherino d’ala che istintivamente si muoveva ogni qual volta agitava quella ancora integra, mosso dall’istinto di volersi librare in volo. Si sentiva come lui. Perchè, dentro di lei, non albergava solo l’entusiasmo delle nuove esperienze ma, insistenti, l’agitazione e il timore del fallimento si facevano strada, stringendole lo stomaco nella loro morsa, macchiando l’inebriante senso di libertà con la paura di non essere in grado, di non essere più provvista di ciò che era necessario per spiccare il volo.

    Quel cupo filo di pensieri venne interrotto dal metallico cigolio della porticina dell'abitacolo che, nell’arco di pochi minuti, tornò ad aprirsi. Erano giunti nel cortile interno. Uno spiazzo ampio, pullulante di vita, al cui centro svettava, alto e massiccio, il Torrione. Scesa dalla vettura la sua attenzione venne colta da degli schiamazzi alle loro spalle. In un angolo, in fondo, poco distanti da un grosso stabile in legno e pietra - che fungeva, viste le poste e mangiatoie che si potevano scorgere al suo interno, da scuderia - un maestro d’arme, dall’aspetto rude e vissuto, era impegnato nell’addestramento di giovani reclute, vociando istruzioni per farsi udire sul clangore delle spade d’allenamento e i sibili delle frecce spuntate che fendevano l’aria, conficcandosi nei bersagli di tela e paglia. Una scena che creava un ironico sfondo all'arrivo del loro corteo, con i vessilli porpora che garrivano al vento in un muto invito alla pace. “Si vis pacem, para bellum.” I suoi occhi tornarono dunque sull’edificio davanti a lei, soffermandosi sull’architettura, differente rispetto a ciò che lo circondava, ad indicare che questa fosse la parte più antica dell’insediamento. Alzò lo sguardo verso le merlature che coronavano il mastio, funzionali al suo scopo difensivo, in quanto magione e ultima difesa studiata per resistere ad ogni tipo di assalto. L’aggettivo che veniva in mente osservandolo, pensò, soffermandosi sulle anguste finestre e la dura pietra che lo componevano, era solidità e resistenza.

    Il ciambellano, un uomo di bassa statura, vestito di una tunica scura dalle ampie maniche, venne loro incontro per accoglierle.

    "Mie signore, è un piacere fare la vostra conoscenza. Io sono Jack, ciambellano del castello. Ho dato ordine di preparare delle stanze per voi e i vostri compagni di viaggio. E farò portare immediatamente pane e sale per tutti quanti."

    Nessun castello del Nord avrebbe mai chiuso le proprie porte a chi riparo cercava durante un lungo viaggio, fu comunque con sollievo che accolse quanto venne comunicato loro. Si voltò brevemente, giusto in tempo per leggere la stessa emozione sui volti alle sue spalle. Era trascorsa quasi una settimana dall'ultima tappa in un castello, il resto delle notti trascorse all'aperto con un occhio e un orecchio sempre tesi verso l'oscurità che strisciava oltre le luci degli accampamenti.

    Accennò un piccolo, cortese, sorriso. «Apprezziamo la vostra solerzia.»

    A quel punto un servitore, sguardo basso e capo chino, le si accostò, porgendole un largo vassoio di legno scuro. Piccoli pezzi di pane, già tagliati in modo da velocizzare i tempi, erano stati disposti attorno ad una ciotola ricolma di sale. Ne prese uno, lo intinse nella cristallina polvere e, portandolo alle labbra, recitò la formula di rito, accettando e promettendo rispetto e protezione dinanzi agli Déi, Antichi e Nuovi.

    Il sapido sapore dell'ospitalità, pensó, conscia come sempre della sacralità del gesto, osservando con sereno distacco il vassoio passare di mano in mano mentre i primi bagagli venivano scaricati, pronti per essere portati negli alloggi a loro assegnati.

    Non dovettero attendere a lungo prima di venire condotte al cospetto di Lord Helmann. Un nome, il suo, che si udiva spesso nei nuovi componimenti dei bardi, incentrati sulle battaglie e sui trionfi contro le raccogliticce armate del Popolo Libero. Ne "La Fortezza di Ferro" si celebrava il suo valore, con particolare enfasi sul modo in cui, seppur ferito ad una gamba, schiacciato dal peso del proprio destriero, avesse continuato a lottare, contribuendo ad impedire che Ironrath cadesse in mano ai Bruti. E le sue gesta lo rendevano uno dei protagonisti della triste e popolare "La Battaglia di Lago Lungo", in cui si narrava l’eroico sacrificio del compianto Lord Rickard Stark.

    La canzone iniziava con le truppe guidate dall'Orsa e dal Tallhart, esauste dopo una notte trascorsa a battagliare coraggiosamente tra la nebbia nella Foresta del Lupo, che giungevano sul Lago Lungo, trovando il Grande Lupo accerchiato da un gruppo di Bruti.

    …“Stringiamoli in una morsa.”
    ordinò ai suoi uomini l’Orsa,
    mentre il Lupo vibrava l'acciaio di drago.
    “Blocchiamo loro ogni fuga dal Lago!”...



    Lord Helmann, cantavano, il ritmo del motivetto man mano più incalzante e cupo, a rispecchiare quei concitati attimi, fu il primo a muoversi, scivolando silenzioso lungo il terreno scosceso. Ma i barbari notarono la giovane Mormont, riconoscendola come colei che aveva ucciso Harma Testa di Cane, e con furia partirono all'attacco. L’uomo si lanciò immediatamente in suo soccorso ma…

    … arrestata fu de l'AltoCervo la corsa,
    separato da Lupo e Orsa,
    dal fango, a colpi di fendente,
    falcidiò ogni opponente …




    I cantori piú coraggiosi, ricordò mentre seguiva il ciambellano attraverso i corridoi della fortezza, sentendo gli sguardi posarsi curiosi su di lei e lo stemma dell'Uomo Scuoiato che bordava il suo mantello, intonavano anche un'altra, più polemica, ballata sul triste episodio. "Il Lord valente“

    … Voi, Mormont, voi Tallarth,
    Ma dov’eravate?
    Il Grande Lupo sul Lago hanno accerchiato,
    della sua algente spada per l'Orsa si è privato.

    Era un Lord valente,
    Lui si batteva per la sua gente!

    … Voi, Bolton, voi Manderly,
    Ma dov’eravate?
    Il Grande Lupo sul Lago hanno orbato,
    e col suo sangue la neve hanno irrorato.

    Era un Lord valente,
    Lui si batteva per la sua gente!



    Un ipotetico dialogo tra il popolo e i Lord che non erano riusciti ad impedire la tragedia e salvare l’amato Protettore del Nord. A turno ogni casata accusata si giustificava e veniva poi scagionata. Anche se, aveva scoperto, la strofa in cui venivano nominati i Bolton spesso era soggetta a variazioni, soprattutto nei territori più vicini al metalupo… La diffidenza e il preconcetto erano radicati e difficili da scardinare, neanche la testa di Thored e i secoli di sostegno riuscivano ad abbatterli.

    La Sala Grande di Piazza di Torrhen, notò, non appena ne varcò la soglia, era ben diversa da quella dei Cerwyn - niente tetti bassi sorretti da lunghe travi in legno ma fredda pietra le cui volte sfumavano nella penombra; e non era ampia o capiente quanto quella di Grande Inverno, né caliginosa ed oscura come quella del Forte. Una sala scarna, attraversata da sottili lame di luce grigia che filtravano attraverso le alte feritoie, illuminando l’ambiente assieme alle rutilanti fiamme dei bracieri disposti lungo le spoglie pareti. Una delle finestre proiettava la sua argentea luce direttamente sullo scranno, un effetto probabilmente voluto e studiato per creare il massimo impatto, illuminando la figura su di esso assisa. Lord Helman Tallhart.

    Lo guardò. Una cicatrice gli percorreva il volto, donandogli un’espressione ancora più dura e severa, segno di una spiccata indole guerresca. Le pallide iridi della giovane si soffermarono su quelle chiare del signore di Piazza di Torrhen. Occhi che poteva immaginare accendersi dell’implacabile frenesia della battaglia, così come i bardi descrivevano nei loro versi.

    … pugnando con la spada di forza
    sotto strali d'ossa
    tra rosso sangue e clangore
    Helman si batté con onore e valore…



    Vidya strinse le mani in grembo e, con portamento fiero ed elegante, raggiunse i piedi della piattaforma.

    “Benvenute, Lady Josephine Mallister e Lady Vidya Bolton. Io sono Lord Helmann Tallhart, signore di Piazza di Torrhen.”

    «Lord Tallarth» disse, inchinandosi aggraziatamente in segno di rispetto. La sua voce era poco più di un sussurro se messa a confronto con quella cavernosa e stentorea dell’uomo, ma altrettanto ferma. «La vostra ospitalità ci ristora.»

    Come consueto lasciò la parola alla Mallister. Trovava giusto fosse lei, che l’aveva ideato e organizzato, ad illustrare lo scopo del pellegrinaggio.

    "...Non sono qui per chiedervi di prendere una posizione in merito, ma per rinnovare la lealtà verso il nostro Signore, Lord Caleb Stark..."


    Il suo sguardo guizzò verso Lady Josephine, incerta che metterla sul piano della fedeltà fosse il giusto approccio alla questione. Lord Tallhart aveva ampiamente dimostrato la sua lealtà agli Stark, prima contro i Bruti e, poi, seguendo il Giovane Lupo al Sud. Ricordava di aver visto menzionato il suo nome nelle rare missive che Roose aveva inviato al Forte durante la riconquista di Driftmark.

    «Con il nostro impegno ci proponiamo di preservare la stabilità tanto strenuamente difesa» si inserì, ricordando cosí, implicitamente, anche il ruolo avuto dall'uomo in quella lotta, «e altresì scongiurare che questi tumulti lungo i confini, possano esacerbare gli animi, dilagando in tutta la Regione.»

    … O Regno. Lo spettro di una guerra di religione sull'onda delle farneticazioni di Illyria prendeva, ad ogni frattura che si aggiungeva a quelle già esistenti, sempre più corpo.



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    Bentrovate!! Sempre brave a ruolare, complimenti!
    Il nostro mod Robb ha deciso bene di prendere la febbre, quindi passo io a coprirlo. Mi ha spiegato un po' la situazione ma evito di incasinare la quest, quindi le reazioni del Lord saranno pacate...più o meno ;P



    "Mmmh"
    un borbottio uscì dalla bocco di Lord Tallhart. Qualcosa di impercettibile ma entrambe le ragazze potevano dirsi certe che tra un mugugno e l'altro l'austero uomo avesse commentato qualcosa di ciò che aveva appena sentito.
    "Lady Vidya, Lady Josephine, non è solo la tradizione che mi impone di accogliervi come si confà a due giovani e nobili donne, ma anche la conoscenza con entrambi i vostri padri. Lady Josephine, credo che di non avervi mai vista nemmeno in fasce ma conobbi il vostro genitore proprio a Seagard, molti anni orsono quando decisi di viaggiare a sud fino alle verdi vallate dell'Altopiano. Vidi poco degli interni del vostro castello ma...certo troverete questa sala molto spoglia rispetto alle vostre, d'altronde i nostri fratelli che vivono nelle Terre dei Fiumi hanno sempre avuto maggior riguardo per la beltà, nevvero?" La voce era calma e ferma, esattamente come poco prima quando aveva accolto le due...eppure qualcosa di diverso c'era, di impercettibile.
    "Sarebbe sicuramente molto fiero di vedere la propria figlia così dedita all'onore e alla fedeltà. E' un sollievo sapere che certi valori non vengono persi, temo il giorno in cui tutto ciò possa succedere. Spetta alla nobilita prevedere quei giorni e spetta sempre alla nobilita fare in modo che quelli non possano mai avvenire. D'altro canto, quale giovane ragazza avrebbe mai il coraggio di giungere al cospetto di un Lord per fargli giurare ancora una volta fedeltà al loro stesso Lord Protettore, se non una del Nord?" Quel "Nord" aveva sicuramente avuto una cadenza diversa.
    "Casa Mallister è un fedele alfiere di Lord Stark, perché mai dovrei rifiutare una richiesta del genere? Posso pronunciare i miei voti da seduto o desiderate che mi ponga in ginocchio?" Con quell'ultima dose di sarcasmo, il Lord spostò lo sguardo su Vidya.
    "Mia Signora, temo che non ci siamo mai incontrati se non di sfuggita in qualche occasione sicuramente più piacevole, è un onore avere la sorella di Lord Bolton in queste sale. Quello che voi e la nostra fedele ospite mi avete citato non mi è oscuro. Nelle mie stesse prigioni sono ancora arrestati e in attesa di giudizio due cortigiani...Tsk, capirei uomini del popolino ma queste diatribe si sono infiltrate perfino nelle mura di questa fortezza. Avessero deciso solo di disturbare la quiete l'avrei pure potuto dimenticare ma ingaggiare una zuffa per i corridoi della mia casa, non posso certo tollerarlo. Il fanatismo di quella Targaryen non ha deviato soltanto i fedeli dei Sette Dei più ferventi ma ha intaccato anche altri uomini e donne, soprattutto per via del fatto che a quanto pare siano ancora vivi da qualche parte nelle Terre della Corona. E poi...non posso bene sapere cosa potrebbe accadere se i seguaci dei Vecchi Dei decidessero da un momento all'altro che fossero stufi di subire queste aggressioni. La vostra missione di pace è nobile d'intento, ma siete sicure di poter salvare fino all'ultimo degli uomini? A volte una singola fiammella dimenticata può, nel tempo, divampare ancora una volta in un incendio impossibile da placare."

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    A voi!

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      Piazza di Torrhen · 25 gennaio 286AA
    Solida, grigia, pietra sotto i suoi stivali e sopra le loro teste. Saldezza. Ancestralità. Il sapido sapore del sale e del pane. Protezione. Tradizione. L'algente chiarezza che filtrava dalle finestre, fluendo sulla sua chioma dai cupi riflessi del giaietto e illuminando il suo eburneo incarnato. Inverno. Nord. Vidya si aggrappò alla tangibilità di quelle sensazioni, continuando a concentrare nella stretta delle esili dita ogni traccia di nervosismo. Era la sorella di Roose Bolton, Lord di Forte Terrore, membro di una delle famiglie più antiche e potenti del Nord. La sua stirpe risaliva a tempi antecedenti al taglio, levigatura e posa di quelle stesse pietre che la circondavano. All'epoca in cui gli Eroi si muovevano lungo le profonde ed oscure foreste che si estendevano oltre quelle mura, dando forma al Continente cosí come lo conoscevano. Non poteva permettersi -e non l'avrebbe fatto- di mostrare anche solo il minimo segno di agitazione o timore. Tenne alto il mento, la cui leggera asimmetria donava al suo viso una particolare armonia. Altera, ma non supponente. La sua postura dignitosa ed impeccabile, ma non rigida. Orgoglio e fermezza.

    L’eco delle loro parole non aveva ancora esaurito il proprio riverbero, che il Lord di Piazza di Torrhen borbottò qualcosa di inintelligibile. Vidya non riuscì a distinguerne il contenuto se non un indecifrabile mugugno. Lo guardò. Sotto quell'apparente cortesia si poteva percepire qualcosa fosse cambiato. Scetticismo? Nel caso, poteva immaginarne il motivo. Era un uomo che era stato al centro di furiose battaglie, che aveva presieduto a consigli di guerra che avevano modellato l’attuale assetto dell’intero Regno, non poteva che vederle come ingenue sognatrici. Ragazzine mosse da ideali che trovavano ben poca attuazione nella cinica e brutale realtà. Pedine su di uno scacchiere irto di pericoli, ove erano schierati pezzi con molta più esperienza. O, almeno, al suo posto, era così che ai suoi occhi sarebbero parse. La stessa Bolton era dubbiosa riguardo il piano. Tuttavia, per quanto consapevole dei limiti, era anche certa che il primo passo non potesse che essere quello del dialogo. L'inazione o la repressione violenta non erano vie percorribili se si voleva evitare l’esacerbazione del problema e ulteriori spargimenti di sangue.

    Con compostezza quasi marmorea, mantenne lo sguardo fisso sul Tallhart. L'unico cenno di reazione alle taglienti e sarcastiche parole rivolte alla Mallister, fu una lieve contrazione del sopracciglio che andò ad infrangere, per quel breve istante, l’imperturbabile e serio cipiglio. Non le sfuggì, e probabilmente neanche alla sua compagna di viaggio, il modo in cui aveva calcato e pronunciato la parola Nord. L'Aquila argentea era di fatto parte della regione, ma l'annessione ancora troppo recente. Come temuto, dato il pungente sarcasmo utilizzato nel risponderle, il Lord sembrava non aver del tutto gradito il tono utilizzato da Josephine nei suoi confronti.

    L’uomo spostò dunque le gelide iridi sulla giovane Bolton, e la sala tornò a riempirsi della sua potente voce.

    "Mia Signora, temo che non ci siamo mai incontrati se non di sfuggita in qualche occasione sicuramente più piacevole, è un onore avere la sorella di Lord Bolton in queste sale. Quello che voi e la nostra fedele ospite mi avete citato non mi è oscuro. Nelle mie stesse prigioni sono ancora arrestati e in attesa di giudizio due cortigiani...Tsk, capirei uomini del popolino ma queste diatribe si sono infiltrate perfino nelle mura di questa fortezza. Avessero deciso solo di disturbare la quiete l'avrei pure potuto dimenticare ma ingaggiare una zuffa per i corridoi della mia casa, non posso certo tollerarlo. Il fanatismo di quella Targaryen non ha deviato soltanto i fedeli dei Sette Dei più ferventi ma ha intaccato anche altri uomini e donne, soprattutto per via del fatto che a quanto pare siano ancora vivi da qualche parte nelle Terre della Corona. E poi...non posso bene sapere cosa potrebbe accadere se i seguaci dei Vecchi Dei decidessero da un momento all'altro che fossero stufi di subire queste aggressioni... "

    Ascoltò con attenzione quanto aveva da dirle, registrando le diverse informazioni con crescente preoccupazione, il volto sempre più cupo man mano che il quadro prendeva forma. L’immagine che Lord Tallarth stava tratteggiando, indicava una situazione ben più complessa di quella che era stata presentata loro alla partenza. I timori e sospetti di Vidya sembrarono trovare conferma. I tumulti che stavano scuotendo i territori al confine potevano non essere solo risultato della forzata convivenza a cui i seguaci dei Sette e degli Antichi Dèi erano stati sottoposti, in seguito all'accordo siglato tra Lord Caleb Stark e l’erede di Seagard, ma poteva anche esserci l’incalzante avanzare dell’eresia Illyriana. Le ultime notizie che aveva udito riguardo il Sentiero Luminoso erano state vaghe. Si parlava dell’intenzione di porre un deciso e netto freno al dilagare di quella follia ma, se quanto Lord Helmann stava dicendo corrispondeva al vero, non vi erano riusciti e quei pochi superstiti stavano ispirando gli animi di chi più era suscettibile alle loro vuote promesse, anche oltre i confini delle terre della Corona. Un’erba infestante che non accennava ad arretrare ma che, anzi, avanzava avvolgendo nelle proprie propaggini sempre più terreno, avvelenandolo. Ad allarmarla seriamente, portandola nuovamente a incrinare la sua maschera di imperturbabilità, tuttavia, fu la rivelazione che l'eresia non stava coinvolgendo solo il popolino al Sud, ma era riuscita a infiltrasi persino al Nord e per giunta nelle sue corti.

    "...La vostra missione di pace è nobile d'intento, ma siete sicure di poter salvare fino all'ultimo degli uomini? A volte una singola fiammella dimenticata può, nel tempo, divampare ancora una volta in un incendio impossibile da placare."

    «Altresí è per me un onore incontrarvi, Lord Tallhart,» disse sinceramente. «Mi rincresce quanto accaduto nella vostra casa.»

    Quindi, mantenendo il massimo rispetto per la figura che aveva davanti, nel modo piú franco e dritto al punto possibile, rispose a quella pungolante domanda.

    «Sicurezza? No.» Scosse lievemente la testa. «Nessuno può averla in una situazione con così tante variabili ed incognite. Ma determinazione? Sí.» Non era una sprovveduta - una figlia dell'estate come si era soliti dire. Sapeva bene che non sarebbe bastato sventolare vessilli ed invocare la pace in nome di un vecchio editto vergato da chi, per molti, era ancora visto come un invasore - Aegon I - o del più recente proclama stilato da chi era considerato causa, se non diretta, per inazione, di gran parte dei problemi che affliggevano il Regno al momento - Re Rhaegar. Altrettanto vano, ne era conscia, sarebbe stato cercare di riparare, ove possibile, le menomazioni inflitte agli Alberi-Diga per sanare il rapporto spirituale tra le due fedi e ritrovare l’armonia. Rimedi insufficienti, pari all’applicare della sola garza su una ferita aperta ed infetta. «Il modo più efficace per contrastare le fiamme è eliminare ciò che le nutre.» Proseguì, decisa.«Non possiamo raggiungere e mettere a tacere ogni singolo alito di vento che può alimentarle. Né possiamo alterare le condizioni del territorio al punto da renderlo totalmente immune all'attacco di quelle lingue di fuoco. Possiamo, però, tentare di raffreddare gli animi - privare l'incombente incendio del suo combustibile principale - e di conseguenza rallentare o circoscrivere la corsa del fuoco.»

    Quello al confine poteva essere definito ‘incendio radente’. Aveva intaccato lo strato più superficiale del territorio, avanzando con rapidità, ma era ancora - sperava - domabile. Bisognava tuttavia affrontarlo con accortezza, non sottovalutarne la pericolosità solo perché innocuo in apparenza; così come era consigliabile evitare attacchi frontali o diretti - almeno finché le condizioni lo permettevano - poiché potevano rivelarsi solamente controproducenti.

    «Perseguitando si creano eroi. Giustiziando si creano martiri.» Lo si era visto accadere in passato, incluso quello recente. «Ciò a cui dobbiamo puntare è demolire il messaggio degli eretici - se ci sono loro dietro ai tumulti - e di chiunque miri alla divisione.» Dal tono utilizzato nell’esporle la situazione, non sapeva stabilire quanto il Lord fosse semplicemente portavoce di quella crescente irritazione dei fedeli agli Antichi e quanto, invece, la provasse lui stesso. Qualunque fosse il caso, sottolineò l’importanza di un approccio innanzitutto diplomatico. «Cercare il dialogo con chi è disposto ad ascoltare. Ricordare ciò che di buono si è costruito promuovendo e attuando una sana e duratura convivenza tra le fedi.» Fece una breve pausa.«È questo a cui tendono i nostri sforzi: ridare vigore a quei sentimenti, ora cosí duramente messi alla prova e minacciati, di reciproco rispetto e fratellanza.»

    Si voltò brevemente verso la Mallister. In quella sala l’unica fedele ai Sette. I fanatici del Sentiero Luminoso avevano gettato un'ombra sul Credo, mettendolo in una scomoda posizione. «La principale arma a disposizione dei seguaci degli Antichi e dei veri fedeli dei Sette, in questa battaglia, è la comune presa di distanza da simili eretiche dottrine.»

    Non era retorica. Se ci si concentrava nel farsi guerra tra alleati, non si faceva altro che facilitare il lavoro degli illyriani. Movimenti come quello prosperavano nell’instabilità, utilizzando confusione e paura per creare un nemico causa di ogni male.

    «Dite il vero. Ci sono tutti gli elementi e le condizioni affinché gli eventi possano degenerare, ne siamo consapevoli.» Aggiunse, la possibilità che si sfociasse in aperta intolleranza era uno scenario più che plausibile. «Non dobbiamo, difatti, agire solo sul fronte attivo, ma anche tenere d'occhio le pericolose scintille da questo generate, e gli insidiosi incendi sotterranei che possono dare vita a nuovi focolai.»

    Non sarebbe forse stata una vittoria veloce e netta, ciononostante, ne era sinceramente convinta, lavorare ai fianchi spingendo sul ‘costruire’ invece di ‘demolire’, isolando i fanatici, era l’unico modo per contrastarli e non dare loro ulteriore forza. Perché, se era vero che l'instabilità li aiutava, al tempo stesso poteva essere un deterrente. Dopo anni di guerre quanti erano disposti a veder sfumare la quiete tanto faticosamente raggiunta? La maggioranza era arrabbiata, ma anche stanca e provata.

    «A tal proposito, mi chiedevo se, col vostro benestare, potesse essere possibile parlare con i cortigiani protagonisti del disdicevole episodio.» Domandò, infine. Difficilmente, avendo una vaga idea di come i fanatici operavano, avrebbero ottenuto risposte chiare e dirette, ma, almeno, potevano prepararsi a cosa le attendeva. «Ritengo sia vitale cercare di individuare eventuali piste degli eretici e cercare di capire se questa vicenda e gli scontri al confine abbiano la stessa matrice.»



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    Josephine Mallister Piazza di Torrhen 23 Gennaio 286 Primo mattino - Nuvoloso Torrione centrale


    ∼ Above the rest ∼


    O

    gni pietra trasudava solidità e forza, con ripidi archi ed anguste finestre che lasciavano filtrare la poca luce del plumbeo mattino. Il freddo mattino penetrava appena attraverso il Torrione centrale, le cui vette merlate sfioravano quasi le perlacee nubi. Gli interni riflettevano l’aspetto austero e solido dell’esterno. Composto di dura pietra poneva fondamenta sulla riva di un paesaggio lacustre, lì dove Piazza di Torrhen si ergeva da secoli a difesa del Nord. Molte le storie che circolavano intorno all’inespugnabilità del fortino, sia per lago che per terra, ed i cantori elogiavano nelle taverne il valore degli uomini Tallhart. Guerrieri tenaci ed orgogliosi, un fedele alfiere della Casata Stark e membro della corte del Lupo. La fredda luce del mattino allungava le flebili ombre delle colonne e di chi si aggirava a quell’ora nel castello. Cortigiani, servitori o solo curiosi erano accorsi per rendere omaggio alle ospiti di Piazza di Torrhen. Solidità e resilienza, proprio come gli abitanti del fortino. Avvolti nelle loro pellicce e pesanti cappelli non accennavano a desistere dalle quotidiane fatiche nonostante il gelo che penetrava nel castello. Pochi focolari erano accesi, in totale quattro all’interno della sala principale lì dove troneggiava lo scanno del Lord di Piazza di Torrhen. Le solide vedette, come quelle impresse sull’insegna di Casa Tallhart, sorvegliavano i torrioni dell’imponente ed austera sala. Era quasi vuota, ampia. Fin troppo ampia, tanto da udire il riverbero di ogni suono.

    Le orecchie furono quasi assordate dai rumori dei passi, suoi e del seguito. Precedute dal cappellano, le due nobildonne furono condotte al cospetto di Lord Tallhart, rimasto al seggio d’origine e non chiamato nella capitale per affari di stato. Il primo Lord che l’Aquila si trovava sul proprio cammino, in quanto fino ad adesso era stata accolta dalla fredda cortesia delle consorti e dal comune desiderio di porre rimedio alla questione sui confini. Le nobildonne si erano mostrate disponibili ed ospitali, tanto da privarsi di parte della guardia ai loro castelli pur di adempiere ai doveri che avevano verso il profondo Nord. Un gesto di umana cortesia e di spirito d’unione in tempi molto difficili. Aveva sempre creduto nelle donne, per quanto imperfette e fallaci potessero apparire. Alla fine diventavano inevitabilmente il punto di giunzione della famiglia davanti al focolare domestico. Le donne erano più inclini alla tolleranza e all’unione, rispetto all’indole belligerante ed orgogliosa degli uomini che prendevano con la forza e reclamavano con veemenza. La sala era enorme, lasciando rimbombare non solo le parole toneggianti del Lord ma anche il cuore che le martellava nel petto. Austero, severo nello sguardo. Dopo aver mostrato il suo miglior inchino era pronta ad esporre la comune questione, ciò che agitava i confini da giorni, anzi da settimane.

    Sentiva ancora il riverbero della sua stessa voce, uscita piuttosto sicura ed incrinata appena dai brividi di freddo che ne scuotevano la minuta figura. Avvolta in un pesante scialle di pelliccia ed in un abito di straniera fattura, era impossibile non riconoscerne l’accento diverso e l’insolito portamento. Aggraziata, educata ma anche pericolosamente sfrontata di chi era ancora inconsapevole del folle orgoglio Nord. Aveva provato a studiarli, osservandoli discutere alla penombra della sala principale di Grande Inverno quando Lady Elysa Flint-Stark provava ad amministrare la giustizia con pugno gentile ma deciso. Un reverenziale timore verso la madre del Lupo, che offriva giustizia dall’aggraziata mano che un tempo conosceva solo le fatiche del ricamo. Una donna diplomatica, accorta. La piena conoscenza del carattere tenace e terribilmente orgoglioso dei propri vassalli. Trattarli con rispetto, senza troppa deferenza per mantenere i ruoli, ma capace di ascoltarne i bisogni ed accoglierne le richieste. Gli alterchi erano a volte feroci, scoppiando in piccoli disordini ma l’autorevole figura di Lady Elysa era capace di ristabilire l’ordine con pochi gesti per poi pronunciarsi in giudizio. A Lady Josephine, per quanto accorta ed assennata potesse essere, mancava la conoscenza dell’intricato animo del Nord. Era facile mal porre un quesito o lasciarsi fraintendere anche solo per un’enfasi mal interpretata. Del resto restava una straniera, e per un Nord era inammissibile lasciarsi condurre docilmente come un gregge in una stalla quando si celava sotto il vello una pelliccia da Lupo.

    Un cavernoso mugugno seguì il riverbero delle parole della giovane Aquila, inconsapevole di aver ferito in qualche modo l’orgoglioso uomo. La voce proruppe come il ruggito di un orso, che avvertiva minaccioso gli incauti a non addentrarsi nella propria tana. Parole di cortesia, in netto contrasto con l’aspetto duro del viso e la profonda voce che si diffondeva per l’intera sala. In qualche modo trovava somiglianze nella dura tonalità che si diffondeva nell’alta ed ampia sala, proprio come accadeva a Seagard quando Lord Jason Mallister si pronunciava in merito ad una questione. Non vacillava, cadenzava le parole e le marchiava a fuoco nelle menti di chi le udiva senza possibilità d’appello. A volte aveva udito l’ira paterna diffondersi nel castello bagnato dal mare, lì dove si respirava tutto l’anno la dolce brezza marina ed il profumo di salsedine. La quiete veniva turbata dalla voce profonda del Lord, proprio come un tuono che portava tempesta sulla Baia degli Uomini di Ferro. Nonostante anche l’Aquila fosse un fiero guerriero, non disdegnava i piaceri della vita come il vino e le pregiate vesti. Lord Helmann Tallhart aveva qualcosa di primitivo, forse ferale. E non si trattava solo della cicatrice che quasi lo sfigurava agli occhi di chi proveniva dal Sud, e che lo rendeva un eroe per chi aveva vissuto le guerre contro i Bruti e la riconquista del Nord. C’era qualcosa di strano nel tono, e lo comprese troppo tardi.

    Mugugno che fu seguito da fredda cortesia, i consueti convenevoli di un buon padrone per gentili ospiti. Eppure Lady Josephine non ne avvertiva la vera accoglienza, nonostante percepisse nella bocca ancora il sapore sapido del benvenuto. Come da rituale aveva intriso il pane nel sale per poi recitare le consuete formule in onore dei Vecchi e dei Nuovi Dei. Quasi le s’illuminarono gli occhi, sollevando il capo chino per la riverenza appena compiuta, quando il Lord confessò di essere stato brevemente ospite della sua terra natia. Nonostante ogni giorno si avvicinasse ai confini, la Terra dei Fiumi non le era sembrata mai così lontana. Sapeva di non poter tornarci, almeno non prima di aver provveduto alla questione dei confini e ristabilito la pace tra i popoli. - Spero che l’accoglienza sia stata di vostro gradimento, al pari di cotanta ospitalità e grazia che in questo dì ci offrite. - Non poteva di certo negare che trovava così insolita e spoglia l’enorme sala del Torrione centrale. Un uomo così importante ed una Casa tanto fedele agli Stark non poteva accontentarsi di un imponente castello quasi vuoto e dallo spartano arredamento. Aveva però compreso che al di là dell’Incollatura era comune costume non lasciarsi traviare da lussi o beltà ma essere pratici ed essenziali. Un modo di vivere che non comprendeva, anche perché lo sfarzo e le ricchezze di un seggio non erano altro che un tacito monito per i nemici ed una certezza per gli alleati. Una Casata florida doveva assicurare una sicura linea di successione e finanziare una esigente corte come centro nevralgico di potere e beltà. - Lord Tallhart, non posso negare le abitudini e le consuetudini di chi popola il Sud dell’Incollatura, ma altrettanta dignità e beltà riesco a scorgere nelle vostre dimore. A volte l’essenziale sfugge allo sguardo dei meno attenti. - Alludeva alla possibilità di circondarsi di sfarzo e ricchezze, per poi non potersi fidare dei propri vicini o degli stessi familiari. - Esistono valori ben più importanti del culto del bello, valori come la lealtà e l’onore, di cui voi siete di certo un chiaro virtuoso esempio. - Lusinghiera, ma non troppo.

    Il tono calmo e fermo di Lord Helmann si diffondeva nell’intera sala, senza sospettare minimamente il risentimento che il nobiluomo covava per una frase mal interpretata. Il viso pallido e stanco si colorò di un debole sorriso, proprio quando Lord Tallhart elogiò la necessità da parte della nobiltà di preservare gli antichi valori di onore e fedeltà. In tempi così bui, dove una guerra civile aveva messo in ginocchio l’economia ed una sola donna Targaryen sommosso intere masse popolari con un’eresia, sorgeva la necessità di appellarsi agli insegnamenti dei padri. E forse Lady Josephine aveva ancora tanto da apprendere nell’arte della diplomazia, soprattutto al cospetto di chi non si sentiva proprio vassallo e che aveva vissuto molte più primavere. Orgoglio Nord proruppe con freddezza e sarcasmo. Tagliente quanto l’affondo di una spada, la stessa che forse aveva tolto la vita ad innumerevoli Bruti. - … - Restò pietrificata al cospetto del Lord, ancora seduto sullo scanno ed illuminato da una lama di bianca luce. Il volto severo ma calmo e la lingua pronta a fendere ancora una volta. Stavolta l’aveva ferita, ma poteva ancora porre rimedio. Non era di certo intenzione recar offesa all’orgoglioso sovrano di Piazza di Torrhen, anzi. Quella dell’Aquila era solo una richiesta d’aiuto, impreziosita di infantile ingenuità e radicale supponenza di chi non aveva mai abbassato il capo di fronte a nessuno. Non dimenticava chi fosse, e da dove proveniva. Era pur sempre un’Aquila, destinata a sorvolare i cieli e sfiorare le nubi. Nessuno poteva raggiungerla, recitava a memoria il proprio motto. - Lord Tallhart, temo abbiate frainteso le mie parole. O ben cosa più plausibile, la stanchezza del viaggio e le preoccupazioni per le quotidiane incombenze mi abbiano indotto in errore fino a rendermi poco chiara. - L’orgoglio cozzava con il desiderio di dissipare ogni dubbio su un simile disguido. Forse s’era davvero espressa male, visto che desiderava solo il supporto di Casa Tallhart e non reclamarne la lealtà rappresentando Lady Stark. Non era tanto empia o sprovveduta da assumere un simile ruolo. - Possiate dunque accogliere il mio rammarico per un simile fraintendimento. Non è un giuramento di fedeltà che chiedo, in quanto la vostra lealtà a Casa Stark è ben nota persino a me, figlia di un Lord della Terra dei Fiumi. Mi sono giunte alle orecchie le vostre gesta durante le guerre contro il Popolo Libero e la riconquista di Driftmark. - Cercò di non tenere ben salda la voce, nonostante sentiva un fuoco risalirle dal collo fino alle guance ed i palmi stretti davanti al grembo inumidirsi di sgradevole sudore. - Chiedevo solo il vostro aiuto, in modo da preservare la fraternità e la stabilità di cui tutta la Regione, e l’intero Regno, ha bisogno. - Faticava ancora a comprendere i pericolosi sentieri dell’orgoglio Nord, dei Lord che ponevano al primo posto onore e lealtà così duramente senza la possibilità di guardare oltre. Serbare rancore e rimanere in attesa fino alla rivalsa. Per questo aveva chiesto l’aiuto di Lady Vidya, di una nobildonna che era nata e vissuta nel cuore del Nord. Sperava forse in una sua intercessione, senza rischiare d’umiliarsi o lasciar che la propria reputazione ne fosse compromessa. Chinò appena il capo e sollevò i lembi della veste, quasi per riceverne il perdono o parole più indulgenti nei suoi confronti. Uno smacco per l’orgoglio dell’Aquila ma un passo necessario per costruire quel futuro in cui sarebbe stata libera di librarsi in volo e dominare anche i cieli oltre l’Incollatura.

    Strinse con forza le mani congiunti davanti a grembo e mostrò un’espressione contrita dall’orrore, senza mascherare troppo l’angoscia e la preoccupazione che agitavano le gemme cristalline, quando il Lord confessò i disordini di cui la corte si era resa protagonista. Due cortigiani avevano turbato la quiete del castello in nome dell’Eresia Targaryen. Segno che il malessere che si percepiva in ogni regione del Sud dilagava ormai anche nel profondo Nord. L’esponente reale aveva istillato il dubbio ed il dissidio in ogni uomo e donna che si riteneva vittima d’ingiustizie o di soprusi. Dai suoi scritti eretici, da cui la Mallister si era sempre tenuta lontana, si narrava che l’eretica fosse direttamente in contatto con la Fanciulla. Sogni e follie, di una donna che aveva sollevato l’indignazione popolare e generato violenza contro la nobiltà locale per sovvertire la realtà. Ambizioni politiche mascherate da volontà religiosa. Nutriva ancora astio per un simile esempio di empietà e blasfemia, oltre alla delusione che nobili intenti si erano tramutati in atti di violenza e sollevazioni popolari. - È tempo d’unirci, non di separarci. - Si unì in coro alle suppliche di Lady Vidya. La Bolton appariva ferma, decisa ed estremamente determinata. Riusciva a toccare spinosi argomenti con tatto e di certo conosceva meglio dell’Aquila il metodo migliore per proporre valide argomentazioni all’indole irrequieta e fiera di Lord Helmann. Per questo non aggiunse altro, annuendo debolmente alle parole della Bolton. Del resto i Sette Divini le aveva donato la compagnia di Lady Vidya per un motivo, mettendola sul suo cammino.

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    Lord Tallhart rimase in silenzio per qualche lungo istante, dopodiché annuì.
    Vi aiuterò. Decise, pur continuando a tenere d'occhio la Mallister. In un momento come questo, l'apparenza di un fronte unico assume un'importanza vitale, e non sarò io l'anello debole di questa catena.

    Parole pratiche, venate dello stesso orgoglio che poco prima aveva portato al sarcasmo.
    I cortigiani si sono, almeno finora, rifiutati di parlare. Non essendoci stati altri sviluppi, ho deciso che la permanenza in cella avrebbe aiutato entrambi a schiarirsi le idee...
    Un ghigno malefico deturpò per qualche istante il volto del Lord. Se volete fare un tentativo di comunicare con loro, loro saranno comunque legati e sorvegliati a vista dai miei uomini. Le parole della Targaryen devono aver portato alla luce aspetti delle loro menti quantomeno... Animaleschi, e non ho intenzione di ricevere altre brutte sorprese da quei due.
    Proprio in quel momento, dei rumori iniziarono a provenire dalla piazza d'armi. Il Lord scattò immediatamente in piedi, affacciandosi ad una finestra per poter osservare cosa stesse succedendo... E poi scosse la testa.

    Disordini... Purtroppo ne avremo un po' ancora per qualche tempo. Spiegò alle due donne, prima di abbassare la voc, come in riflessione, e fare una nuova proposta. Immagino che raccogliere informazioni sugli eretici possa assumere molte sfumature... Se lo desiderate, posso mostrarvi personalmente quello che affronterete entro breve. Sono pronto a giocarmi la mano destra che anche questo caos è dovuto a qualche pazzoide... Sbottò.
    Potete scegliere il da farsi: seguire Tallhart e scoprire la fonte della confusione, andare alle prigioni e parlare con uno dei due o entrambi i prigionieri in una volta sola... Quello che volete.
    Potete anche richiedere di andare da qualche parte senza alcuna forma di accompagnamento, se lo ritenete opportuno.
    Potete tranquillamente dividervi e la strada che prenderete varierà le informazioni che avrete a disposizione in futuro, oltre agli sviluppi di trama dei prossimi turni :D
     
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    Josephine Mallister Piazza di Torrhen 23 Gennaio 286 Primo mattino - Nuvoloso Torrione centrale


    ∼ Above the rest ∼


    N
    ella sala principale del Torrione centrale piombò nel silenzio. Di sottofondo riecheggiava ancora la voce della giovane Aquila, che era riuscita a mantenere un tono cortese e fermo nonostante la tempesta d’emozioni che l’agitava. Timore per la reverenziale ed austera figura di Lord Helmann Tallhart. Terrore per aver condannato l’intera famiglia ad un futuro pieno di pericoli e privo di alleati. Apprensione per il destino riservato ai popoli di confine, che avrebbero continuato a mostrarsi ostilità nonostante vivessero ormai sotto lo stendardo del Meta-lupo. Orgoglio per le proprie radici, che le rammentava di non chinare mai il capo di fronte ad un Lord di pari dignità ed onore quanto il nobile padre. Rabbia per il sarcasmo che aveva ricevuto in risposta ad una cortese ed eloquente richiesta d’aiuto. Irritazione per l’empietà che trasudava da ogni gesto autorevole del Lord di Torrhen, che seduto sullo scanno come se fosse un trono guardava dall’alto al basso le nobildonne a cui aveva giurato protezione ed ospitalità. Era chiaro che, la buona etichetta ed il buonsenso, le suggerissero di non sciogliere l’elegante riverenza in cui era sprofondata. Un ossequioso gesto di rispetto ed un’espressione chiara del proprio rammarico di essere caduta prigioniera delle barriere che c’erano tra loro. Di certo Lord Helmann Tallhart viveva una posizione di forza in quel momento, accerchiato dai suoi cortigiani e seduto sul suo confortevole seggio. Inoltre le eroiche gesta del Lord ne precedevano la gloria ma anche lo spigoloso ed irascibile carattere. Piazza di Torrhen non poteva non essere guidata da un uomo privo di polso, ma da qualcuno capace di difendere l’intero feudo all’ululato del Lupo.

    Nonostante le parole di fraternità e devota collaborazione tra le rispettive Case, avvertiva ancora l’occhio duro ed il giudizio del Lord ricadere su di sé. Una sensazione sgradevole, che era abituata ad avvertire solo quando da infanta riceveva una strigliata dal nobile padre. Sollevò debolmente il capo per incrociare lo sguardo severo di Lord Helmann. A quanto pare qualcosa nel supplichevole discorso della fanciulla di Seagard lo aveva mosso a ragione. Forse guidato dal buon giudizio del Padre, aveva ritrovato la lanterna della Vecchia dopo averla smarrita per via di un impeto d’orgoglio. - Mi auguro che questa apparenza possa tramutarsi con pazienza e dedizione in concreta realtà. - L’apparenza di un fronte unito da parte dell’intero Nord avrebbe di certo sortito un effetto diverso sui popoli di confine. Del resto la stessa Eresia Targaryen si era insinuata nelle menti e nella vita dei poveri a causa di una mancata unità e solidità della realtà. La Guerra era capace di frammentare animi, famiglie ed ideali. Era nel momento d’incertezza, in cui il popolo si sentiva abbandonato da chi aveva giurato di proteggerlo, che ci si appellava ad ogni briciolo di speranza. Un uomo disperato era ancor più pericoloso di uno armato. - Vi ringrazio per la fiducia, Lord Tallhart. - Dubitava che fosse la fiducia a guidare le azioni del Lord di Piazza di Torrhen. Era difficile scrutare oltre quei gelidi e seri occhi le vere intenzioni, ma qualcosa turbava perfino i solidi domini dei Tallhart.

    Qualcosa nel viso del nobiluomo la fece rabbrividire, per la seconda volta. E non per via dell’abbigliamento troppo leggero o la presenza di pochi bracieri nell’ampia sala. Aveva imparato a tollerare la sgradevole sensazione di gelo che penetrava nelle ossa, fino a scuoterla in brividi e punirla con terribili starnuti. Strinse i pugni davanti al grembo, intarsiati di dorati ghirigori grazie al pregiato tessuto che indossava. Si era sollevata ed ora rivolgeva il pallido viso verso l’uomo seduto sullo scanno. Austero, imponente e freddo proprio come l’intera sala. L’accoglienza femminile era stata migliore, rispetto a quella che Lord Helmann aveva riservato loro. I visi femminile erano stati più semplici da sciogliere con i soprusi e le blasfemie che si commettevano ai confini. Poche parole erano bastate per convincerle a privarsi di una parte della guardia per rimpolpare il seguito della marcia verso Sud. Un silenzioso e devoto peregrinaggio, con un’importante missione diplomatica per le due nobildonne a capo della spedizione. Forse Lord Tallhart stava nascondendo qualcosa, terribili segreti che agitavano la quiete della fortezza. - È inammissibile che le parole degli Dei, Nuovi o Antichi che siano, gettino ombre sulle vite delle fedeli. Loro desiderano solo il meglio per l’animo, o quantomeno è nostro onore ed onere renderci migliori guidati dalla loro luce. - Aggiunse con fervore quando Lord Helmann le avvertì che gli eretici prigionieri nelle segrete erano stati traviati dalle parole di Illyria Targaryen. Ogni confessore, tra cui il buon Septon che l’affiancava in quel lungo viaggio e l’assisteva nelle sue quotidiane tribolazioni, condannava fermamente il verbo di una donna che si era elevata così tanto ispirata dalla Fanciulla. Un’eresia che dilagava alla Capitale tanto quanto in ogni angolo di Westeros, approfittando della fragilità della Corona. Interessi politici travestiti da assoluta devozione verso i Sette. Inorridiva al solo pensiero. - Le parole dell’Eretica Targaryen non possono di certo illuminare gli animi di ragion e bontà. Quale Dio desidera vederci ridotti a selvagge fiere, persi nel caos e l’uomo nemico di un altro uomo? - Qualcosa nel tono di Lord Helmann quasi che le suggeriva che i cortigiani avessero perso il senno pur di seguire gli insegnamenti sovversivi ed aberranti di Illyria Targaryen. Sperava di aver frainteso, anche perché non era pronta a reggere una simile scena. Nobili uomini e devote donne ridotte a bestie, incapaci di aver giudizio in nome del Padre o ricevere misericordia in onore della Madre.

    Improvvisamente la tensione che già si respirava nella sala principale del Torrione fu smorzata dall’agitazione proveniente all’esterno. Dalle alte finestre, da cui filtrava la pallida luce del mattino, provenivano urla e concitati rumori di chi si muoveva in fretta lungo la ghiaia del sentiero. Perfino il freddo ed autorevole Lord si sollevò di scatto dallo scanno per avvicinarsi alla finestra a semiluna più vicina. Il viso greve e serioso non lasciava trasparire nulla di buono. Non sembrava preoccupato, consapevole di poter sedare i disordini con pugno di ferro come aveva fatto con i Bruti che avevano attraversato la Barriera. Ricacciare gli invasori nelle loro fogne ed imprigionarli per distruggerne gli animi con la fame e le privazioni. - …?!? - Ogni fibra del corpo s’irrigidì, avvertendo il pericolo proprio dietro le porte che aveva appena oltrepassato. Un pensiero ricadeva sui fedelissimi che avevano scelto di seguirla fino a Piazza di Torrhen e sarebbero senza dubbio passati oltre fino ai confini. Provvedeva a sfamarli e garantirgli protezione con pesanti rinunce e sacrifici, anche da chi come lei non era abituata a privarsi di nulla. A volte saltava dei pasti, offriva la miglior cacciagione alle truppe o vendeva uno delle perle proveniente da Seagard. Piccoli sacrifici, da cui si sentiva rinfrancata solo al cospetto degli Dei. Lo sguardo saettò contro il Lord, reclamando subito delle spiegazioni. Nonostante la tranquillità che traspariva dal viso dell’uomo, non si sentì rassicurata dalle sue parole. Piazza di Torrhen non era un luogo tranquillo, nonostante il pugno di ferro di Lord Helmann.

    Il malcontento serpeggiava anche tra la corte Tallhart. Il seme della discordia aveva messo radici anche nelle inospitali e fredde terre del Nord, lì dove l’ostinata osservanza delle tradizioni e l’accoglienza verso gli ospiti erano seguiti con rigore e rispetto. Dogmi imprescindibili per un Lord o una Lady del Nord, eppure tra i cittadini s’insinuava il dubbio e riecheggiavano nelle orecchie le illazioni di un’eretica. Nonostante provasse curiosità nel conoscere l’ennesimo disordine che turbava la quiete di Piazza di Torrhen e condividesse le parole del Lord, preferiva scendere nelle segrete del Torrione per poter incontrare i dissidenti. Era ben consapevole che le insurrezioni ormai scoppiavano come braci lasciate sotto la cenere per troppo tempo. Incustodite rischiavano di far divampare un incendio. Ma Lady Josephine aveva bisogno di capire le reali motivazioni che avevano portato il popolo a credere in Illyria Targaryen. Disagi rimasti incompresi e richieste d’aiuto inascoltate. Era chiaro che il popolo di Westeros, soprattutto nella Capitale, celava una sofferenza a cui lo stesso Re o Lord non avevano prestato attenzione. Guerre, ingiustizie e violenze. In tempi così difficili i bambini conoscevano troppo presto la sofferenza, o il freddo abbraccio dello Sconosciuto. Sentiva il livore salire come bile in gola, assaporandone l’amaro retrogusto. Un’ingiustizia che non poteva tollerare. Per porvi rimedio, doveva capire. Entrare nelle loro menti ed accoglierne la sofferenza. - Desidero incontrare i prigionieri. - Breve pausa. - Se è cosa gradita a vossignoria. - Temeva di mettere piede in un luogo umido, le cui pareti erano impegnate di sangue e dolore. Eppure era pronta a discendere negli Inferi per poi ascendere verso la Luce dei Sette. Doveva toccare con mano l’umana fragilità e l’efferata perdizione. - Negli occhi dei peccatori risiede la speranza, finché la luce della vita non abbandona i loro occhi. - Anche un pentimento in procinto di morte, una sincera penitenza, poteva assolverli dai loro peccati. - Lord Tallhart concedete lo stesso privilegio, ve ne prego, al mio Confessore. Sono certa che tra le ombre della cella e la fredda solitudine i sacri salmi possano arrivare come fresca pioggia su un arido campo. - Non si sarebbe mossa senza il consenso del Lord e la compagnia del Septon che l’accompagnava in ogni dove.

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    Parole: 1542

    Scelgo di parlare con i cortigiani nelle segrete.
     
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      Piazza di Torrhen · 25 gennaio 286AA
    All'esterno della Fortezza Centrale, nonostante la mattinata fredda ed uggiosa, l'atmosfera risuonava di attività e vita. Il clangore metallico delle armi durante gli addestramenti si univa al cadenzato battere del maglio sull'incudine nelle fucine; mentre risate, ordini e commenti si confondevano tra loro, creando un indefinito e costante mormorio di fondo. Una familiare cacofonia di suoni, a cui si erano aggiunti quelli del loro seguito, impegnato ad allogare i bagagli e ad organizzarsi per la notte. I flebili echi di quelle voci e di quei rumori riuscivano, di tanto in tanto, a penetrare la spessa pietra intorno a loro, fino a raggiungerli, sfumando nel silenzio della Sala Grande. Un silenzio, quello in cui erano immersi, non statico, ma vibrante dei vari e contrastanti stati d’animo dei presenti.

    Quanto rivelato dal Tallhart, sulla reale gravità della situazione, aveva profondamente preoccupato Vidya, acuendo il senso di urgenza sorto in lei una volta messa al corrente degli scontri al confine. Un'urgenza che aveva cercato di trasmettere, pur cercando di mostrarsi salda e razionale, nelle sue parole. Perché Il Nord - così come tutto il Regno - non poteva permettersi un'altra guerra. E, più egoisticamente parlando, la sola idea di dover di nuovo vivere l'angoscia legata al rischio di perdere il fratello, la gettava nel più totale sconforto.

    Una volta terminato di parlare, il colore che, nell’empito del discorso, le aveva soffuso le gote, iniziò a spegnersi, ma l’agitazione interiore permase. Non sapeva quanto efficace potesse essere stato il suo intervento. Forse, pensò, non era stata abbastanza concisa o chiara. Forse era parsa troppo condiscendente… D’indole schiva e introversa, non era a suo agio al centro dell’attenzione o a parlare in pubblico e, la consapevolezza di non rappresentare solo se stessa, ma anche il proprio Casato, non le facilitava le cose. Durante la sua permanenza a Grande Inverno, aveva osservato attentamente la Lady Madre, cercando di carpire i segreti della sua abilità di comunicatrice, ciò che le permetteva di conquistare ogni genere di interlocutore e gestire magistralmente le questioni più complesse. L’aveva presa a modello, tentando di fare proprie quelle lezioni rubate. Tuttavia, non erano solo la preparazione e lo studio a forgiare un buon oratore, ma anche - se non soprattutto - l’esperienza. L'unico modo per trovare davvero la propria voce era usarla. E lei l'aveva appena fatto. Momenti come quello che stava vivendo, rappresentavano un’occasione per affinare le proprie capacità ma erano, al contempo, un banco di prova. Nessun margine di errore, né possibilità di correggersi o stracciare le parole pronunciate come fossero vergate su pergamena. Un solo esito possibile: successo o fallimento. In entrambi i casi, una lezione da apprendere.

    Davanti a lei, il Lord di Piazza di Torrhen, emanava sicurezza e fierezza. Sedeva sull’antico scranno nella posa solenne ma, al tempo stesso, rilassata e sciolta, di chi sapeva che la propria presenza era sufficiente ad incutere rispetto negli altri. Gli occhi chiari scrutavano, attenti, le giovani Lady stanti ai piedi della piattaforma, mentre le labbra, fino a poco prima velate da un sorrisino sarcastico, quasi sbeffeggiante, avevano assunto una linea seria e decisa. Vidya fissò quel volto, duro ed intenso, in trepido silenzio, incerta sulla piega che avrebbe potuto prendere l’incontro, sentendosi come spesso si era sentita al cospetto di Roose: costantemente sul filo del rasoio, temendo, ad ogni parola o respiro emesso, di mettere un piede in fallo. Ma il volto del Tallarth, notò, era molto più aperto ed animato rispetto a quello imperscrutabile - a volte quasi completamente scevro di ogni traccia di emozione, al punto da essere destabilizzante - del fratello, e su di esso non percepiva una reale ostilità. Almeno non nei suoi confronti.

    Al suo fianco, immaginava, Lady Josephine fosse scossa da un’agitazione simile alla propria, gravata, però, dalla piccola… incomprensione iniziale. Un inciampo che non la sorprendeva, conoscendo ormai le asperità del carattere della giovane aquila, ma non la biasimava. Bastava davvero una sola parola di troppo, o un'enfasi su quella sbagliata, per alterare totalmente il senso di un pensiero e far sì che giungesse alle orecchie del destinatario ben diverso rispetto a quello che si era inteso. Le era dispiaciuto non essere intervenuta in modo più incisivo in suo supporto, d’altronde intromettersi non avrebbe giovato a nessuno, rischiando solo di irritare ulteriormente il loro ospite. Aveva dunque ripiegato sul linguaggio non verbale, annuendo con approvazione alle renitenti scuse dell’altra e, durante il proprio discorso, era stata sua premura volgere ripetutamente lo sguardo verso di lei per includerla.

    Infine, dopo qualche altro, lungo, istante di riflessione, Lord Helmann Tallhart ruppe il silenzio.

    "Vi aiuterò."

    Vidya sentì parte della tensione accumulata sino a quel momento abbandonarla, e la stretta delle sue mani in grembo si allentò. C’era ancora una leggera diffidenza di fondo, percepibile nel modo in cui i freddi occhi del Lord continuavano a tornare alla Mallister, con uno sguardo obliquo e penetrante. Ma, la ragione, sembrava aver prevalso su ogni ritrosia e dubbio.

    "In un momento come questo, l'apparenza di un fronte unico assume un'importanza vitale, e non sarò io l'anello debole di questa catena."

    Ancora una volta, nel momento in cui, fosche nubi foriere di tempesta, andavano minacciosamente ad addensarsi sulla regione, Piazza di Torrhen, non mancava di dare il proprio contributo. Dalle parole dell’uomo traspariva l’orgoglio di chi voleva rimarcare come, con la propria guida - che sia per spada o buon governo - avesse contribuito alla stabilità del Nord. Ma, sopra ogni altra cosa, emergeva il suo pragmatismo. Aveva spogliato la questione di ogni retorica e idealismo, riducendolo al nocciolo, ovvero, focalizzandosi sull’importanza - anche propagandistica - di apparire come un fronte unito; conscio che, di fatto, l’amalgama tanto ostentata, nascondeva latenti e pericolosi punti di frattura.

    «Ve ne siamo grate,» disse, chinando leggermente la testa in segno di gratitudine, «il vostro appoggio non potrà che imprimere ulteriore forza al messaggio di coesione e fratellanza che intendiamo rinsaldare.»

    Non riusciva a concepire come una tale follia avesse potuto attecchire al Nord. Vidya non si sarebbe mai definita una fervente devota degli Antichi, ma nutriva un profondo rispetto per ciò che essi rappresentavano a livello spirituale, e li considerava una parte fondamentale dell’identità dei Primi Uomini. Il Culto era simbolo dell'ancestralità del loro sangue quanto della loro indipendenza e resistenza. Come si poteva rinnegare una parte tanto radicata e fondamentale della propria realtà, abbracciare con tanto slancio e convinzione un movimento che puntava alla distruzione di tutto ciò?

    La disperazione e bisogno di rivalsa, nei confronti di chi si percepiva come causa dei propri mali, non spiegava come, quella setta, fosse riuscita a fare proseliti tra i diversi strati della società di Westeros. D'un tratto, con orrore, si chiese se tra gli apostati ci potessero essere persino dei nobili d’alto rango…

    "I cortigiani si sono, almeno finora, rifiutati di parlare. Non essendoci stati altri sviluppi, ho deciso che la permanenza in cella avrebbe aiutato entrambi a schiarirsi le idee…"

    Tutti parlavano. Prima o poi. Questo era ciò che Roose le aveva insegnato.

    Ogni persona aveva un punto debole e un punto di rottura. Non tutti si piegavano alla stessa maniera, o con gli stessi tempi, ma, nel caso, esistevano modi molto … efficaci… per velocizzare il procedimento. Se questi cortigiani avessero incontrato la carezza delle lame Bolton, pensó, alzando inconsciamente il mento in un’espressione di sfida, il loro soggiorno nelle prigioni sarebbe stato molto meno silenzioso e lungo.

    Si guardò bene dal rendere partecipi di questi pensieri i suoi interlocutori, e si limitò a rispondere al ghigno, quasi ferino, del Lord, con un piccolo enigmatico sorriso, per nulla turbata dal quadro che l’uomo dipinse loro sullo stato mentale di quei prigionieri, annuendo convintamente quando la sua richiesta di poterli incontrare venne accolta. Era cruciale, in ottica futura, per meglio orientarsi in vista della loro destinazione ultima, capire a cosa stavano andando incontro. Non potevano presentarsi al confine armate solo di buoni propositi. Probabilmente, in altri tempi, l’idea di vedere due giovani, delicate, Lady alle prese con soggetti del genere, avrebbe fatto alzare, con divertito scetticismo, più di qualche sopracciglio. E se il discorso poteva potenzialmente valere per Josephine, che senza dubbio in tutta la sua vita non aveva mai varcato la soglia di una prigione o visto una cella, per Vidya era diverso. Ci voleva infatti ben altro per spaventare chi aveva trascorso del tempo nelle segrete di Forte Terrore, e avuto modo di osservare i mostri che una mente spezzata poteva generare.

    Stava per ribattere, confermando le sue intenzioni, quando un forte tramestio proveniente dall'esterno irruppe nella sala. Le pallide iridi della giovane, come a seguire il subitaneo scatto del Lord, saettarono verso la finestra che dava sul cortile, in allerta. Qualunque cosa stesse accadendo lì fuori, pensò immediatamente, osservando l’uomo scuotere la testa contrariato - ma non sorpreso, né tantomeno allarmato - non sembrava essere qualcosa fuori dall’ordinario. E la conferma arrivò poco dopo.

    "Disordini... Purtroppo ne avremo un po' ancora per qualche tempo."

    I due cortigiani non erano dunque un caso isolato. Sotto le apparentemente chete acque del lago di Torrhen, ribollivano gli animi accesi dall’eresia. Come bolle sorgive, questi disordini, erano emissioni visibili di spaccature profonde, nascoste al di sotto della superficie.

    "Se lo desiderate, posso mostrarvi personalmente quello che affronterete entro breve. Sono pronto a giocarmi la mano destra che anche questo caos è dovuto a qualche pazzoide…"

    Era stata Vidya stessa a proporre l’incontro con i prigionieri, interessata ad ottenere informazioni utili per frenare l’espansione di quella follia e studiare, per cercare di prevenire casi simili in futuro, quale meccanismo psicologico fosse stato innescato nelle loro menti, spingendo perfino persone come loro, che non soffrivano di particolari privazioni, a cadere nella rete dei fanatici. Tuttavia, visto il ruolo che ricoprivano e gli intenti professati, sarebbe stato irresponsabile non accertarsi di quale fosse la causa di tanto trambusto e lasciare solo al Lord l’onere di dirimere un’eventuale diatriba.

    «Se permettete, vorrei sincerarmi non siano coinvolti in qualche modo anche i nostri uomini-» disse, temendo che, vista la situazione nella corte di Piazza di Torrhen, l'arrivo di un contingente come il loro, avesse potuto stuzzicare la reazione di qualche simpatizzante illyriano, causando i tafferugli, «-prima di incontrare i prigionieri.»

    Si sarebbe potuta unire a Lady Josephine in un secondo momento, se quanto stava avvenendo all’esterno non si fosse rivelato di suo interesse, o si fosse risolto in breve tempo.



    Parole: 1625

    Visto che Josephine va dai prigionieri, Vidya prova a capire cosa sta accadendo di fuori e se possibile si unirà a lei in seguito.
     
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    Vidya

    Lord Hellman Tallhart era un guerriero imponente dal viso scuro e gli occhi penetranti, la cui fama era venata di leggenda, tanto che, quando arrivò sulla scena con passo deciso, la spada alla cintura, la sua presenza suscitò immediatamente rispetto e timore tra gli abitanti di Piazza di Torrhen, che ammutolirono momentaneamente.
    Poco dopo, ovviamente, il loro orgoglio di uomini del Nord fece sì che si dividessero in due gruppi: coloro che sostenevano che il mercante dovesse essere punito per il suo simbolo dei Sette Dei, e coloro che attendevano rispettosamente l'opinione del Lord. Nel secondo gruppo si trovavano anche alcuni uomini della scorta di Vidya, che dovevano aver provato a frenare quel marasma.

    Il signore del castello si avvicinò al mercante, che giaceva a terra con ferite superficiali e il viso terrorizzato. Con tono deciso, chiese ai presenti di calmarsi e di spiegargli cosa stesse succedendo.
    Gli abitanti del villaggio gli raccontarono che il mercante era un fedele dei Sette Dei e che poteva rappresentare una minaccia per la pace del castello.

    Il Lord borbottò qualcosa, rivolgendo uno sguardo d'intesa a Vidya: il Nord non dimenticava.

    Malgrado le apparenze, Lord Hellmann decise di non giudicare il mercante senza prima averlo ascoltato.
    Con voce ferma, si rivolse al mercante e gli chiese di spiegare perché aveva un simbolo dei Sette Dei tatuato sul collo. Il mercante raccontò di essere un viaggiatore pacifico e di non seguire la follia di Illyria. Affermò che il tatuaggio gli era stato fatto molto tempo fa, quando viveva nelle regioni del Sud, molto tempo addietro...

    Non sembrava mentire, ma gli sguardi furiosi dei presenti non aiutavano certo ad avere una conversazione leggera.

    ******


    Josephine

    "Ebbene sia, ma non trovo sia una scelta saggia portare il Septon fin lì giù: molti dei prigionieri sono criminali qualsiasi, più o meno vicini al culto degli Antichi. Potrebbero non prendere bene la presenza del Septon."
    Le guardie avrebbero quindi guidato Josephine nelle prigioni, insieme al Septon, ma li avrebbero fatti attendere nell'anticamera, dov'era stato allestito un tavolo per l'interrogatorio.
    Numerose porte erano state chiuse dietro di loro...

    Qualche minuto dopo, un uomo di media statura e in catene sarebbe stato trascinato fino al tavolo. La prigionia non gli aveva certamente fatto onore, visto il volto emanciato e il colorito pallido, ma lo sguardo adorante che rivolse al septon non lasciava adito a dubbi: quell'uomo credeva nei Sette Dei.
    A quale versione, però?
     
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    Josephine Mallister Piazza di Torrhen 23 Gennaio 286 Primo mattino - Nuvoloso Segrete


    ∼ Above the rest ∼


    A
    vvertiva ancora lo sguardo aspro e traboccante di diffidenza di Lord Helmann Tallhart su di sé. Le sue suppliche avevano mosso a compassione il Lord di Piazza di Torrhen, temprato da così tante battaglie e dalla solida fede verso gli Antichi Dei. Probabilmente si era lasciato convincere più per motivi politici che per ragioni di cuore. La questione ai confini destava preoccupazione, ancor più dei conflitti interni che agitavano la corte in materia di religione. Il Lord aveva acconsentito a cedere parte delle sue truppe, nonostante le sommosse che agitavano il cuore di Piazza di Torrhen, per poter partecipare alla pacifica marcia verso il Sud. Un gesto nobile ma che celava ben altri intenti. La parvenza di un fronte unito, di fronte ad uno scisma religioso nel profondo Nord, era l’unica motivazione che avevano spinto il leggendario ed orgoglioso uomo ad accogliere le richieste della fanciulla di Seagard. C’era un pizzico d’amarezza nel viso della Mallister, un sorriso appena accennato ma senza mostrare particolare partecipazione negli occhi. Fredda e statuaria sciolse l’inchino, dopo le gentili concessioni di Lord Helmann, la cui presenza incombeva sull’intera sala. La luce del mattino alle spalle e la sua ombra che si allungava sui presenti gli conferivano un aspetto ancora più imponente ed un’aura di prepotente forza, nonostante il controllo di Piazza di Torrhen gli stava sfuggendo di mano. Ancora disordini, che come edera cresceva in ogni anfratto anche nei luoghi più bui e mai colpiti dalla Luce degli Antichi. L’eresia di Illyria Targaryen si era spinta anche al Nord, tanto da renderla non solo un affare di Approdo del Re o dei Feudi del Sud. Il riverbero dei sermoni dell’eretica, l’assurda personificazione della Fanciulla in terra, scuoteva ancora gli animi dei deboli o di chi aveva perso tutto nei difficili anni della guerra civile. Erano i poveri ad esserne per primi affetti di tale morbo, disperati per le carestie e le malattie che piegavano intere città. Accigliata si congedò con un lieve cenno del capo, scortata dalle guardie Tallhart per raggiungere le segrete. Aveva così tanto su cui riflettere.

    Si assicurò che il Septon, fedele confessore e padre spirituale della Mallister, fosse scortato insieme a lei fino alle segrete. Se Lord Helmann Tallhart si era mostrato ostinato ed orgoglioso, in Lady Josephine Mallister aveva trovato una temibile avversaria. Poco incline a recedere dai propri propositi, sentiva la necessità di farsi guidare passo dopo passo nella discesa verso gli Inferi da chi custodiva i suoi segreti e ne temprava l’animo ad ogni pentimento dopo le serali confessioni. Era proprio il Septon a mostrarle la strada quando il cammino sembrava troppo tortuoso o buio dopo aver smarrito il lume della saggezza. Inoltre le parole del Lord lasciavano emergere quanto in realtà fosse in realtà radicata la lotta che si stava consumando davanti ai loro occhi, senza riuscire a porvi rimedio. Si trattenne, accogliendo con un benevolo sorriso le parole di Lord Helmann Tallhart. Parole che non facevano altro che creare distanza tra le due Fedi religiose. La presenza di un Septon o di un Cerimoniere degli Antichi non doveva agitare gli animi, ma ricondurli verso la pace. Durante il tragitto ebbe molto su cui pensare, costatando con mano e con somma mestizia che la frattura nel cuore del feudo non coinvolgeva solo i confini ma anche le regioni più a Nord dell’incollatura.

    Provava rammarico per le profezie di Illyria Targaryen, una donna che aveva riscosso così tanti consensi in periodi difficili per la Corona e che ne aveva creato un culto in proprio onore. Ricordava di aver accolto con benevolenza e forse sollievo nell’udire i primi sermoni dell’eretica, che professava uguaglianza tra i popoli e fraternità tra le contee di Westeros. Per poi prendere le distanze con amara delusione quando le parole di Illyria divennero cariche di rancore, astio ed eresia. Dietro una maschera di misericordia e cortesia, si celava il pericolo peggiore. Armare un popolo, per lo più costituito da contadini e mendicanti, per poter sovvertire il naturale ordine del creato. Una realtà che rischiava di essere ribaltata dalle idee di una Targaryen, una discendenza pericolosa ed incline alla follia. Non riusciva a giustificare diversamente le dottrine di Illyria Targaryen se non con la follia. Il solo pensiero le provocava forti brividi e pietà per coloro che erano prigionieri di una simile dottrina. Eppure anche dopo la scomparsa il suo verbo continuava a diffondersi in ogni feudo di Westeros. C’era qualcosa di straordinario nella Targaryen, o peggio qualcosa di incredibilmente malvagio. Il Male trovava campo fertile nell’animo degli ingiusti. - Benevolo Septon, statemi vicino. Sorreggetemi se sarà necessario e proteggete il mio animo dalle ingiurie che udirò sul Dio dai Sette Volti! - Si rivolse supplichevole all’uomo, titubante se quella discesa verso le segrete potesse davvero portare a qualcosa.

    Sollevò i lembi dell’abito quando le gradinate si fecero sempre più ripide ed umide. Perse il conto di quanti gradini fu costretta a scendere, a volte aiutata anche dalla milizia Tallhart e sostenuta dallo sguardo serio ma caldo del confessore. Avvertiva quasi una fatica fisica nello scendere verso i Sette Inferi, rappresentati dal luogo dove libertà e gioia erano negate. Gli ambienti si facevano più angusti, anche se la luce del mattino riusciva ancora a filtrare dalle alte finestre ed il gelo si faceva sempre più pungente. Erano come mille spilli che si conficcavano nelle giunture, rendendo difficoltosa la discesa e spezzandole il fiato per i dolori che provava. Le inferriate dei cancelli, che facevano da eco ai lamenti dei prigionieri, era l’unico suono che riecheggiava oltre al proprio respiro. La condensa a pochi centimetri dalle labbra, fu coperta da un fazzoletto in stoffa intriso di lavanda per spezzare l’olezzo che si respirava nelle segrete. Era la prima volta che si addentrava nelle prigioni di una fortezza, anche perché a Seagard le era sempre stato negato l’accesso. Uomini che avevano perso la propria umanità e donne che avevano smarrito le virtù, erano gli ospiti soventi delle segrete. Un posto inadatto per la nobile figlia di un Lord. Eppure aveva accettato di scendere in quel lento ed oscuro calvario pur di comprendere. Perché rinunciare alla luce degli Dei o alla tranquillità di una giusta vita per seguire false dottrine?

    Sussultò quando l’ultimo cancello fu chiuso alle sue spalle. Era prigioniera quanto gli ospiti delle segrete. Si guardò indietro, incrociando lo sguardo del Septon alla ricerca di conforto. Nell’animo era spaventata, smarrita in una selva oscura. Ma dal viso nulla traspariva. Algida e ferma sui propri passi, impreziosita in vesti che non appartenevano alla cultura del Nord ed avvolta in mantelline per trattenere il calore dei bracieri. Le dita tremavano impercettibilmente, il candore dominava l’incarnato e la chioma ramata quasi diventava rossiccia al contatto con la luce del mattino. Seria in viso, quieta nei movimenti e fiera nel portamento. Qualsiasi prigioniero che l’avesse intravista non poteva confonderla con un’adultera o un’eretica, era chiaro che fosse lì solo di passaggio. Una breve visita, la più breve possibile si augurava. Nonostante il timore che provava cercava di ponderare parole e gesti, rimanendo in silenzio almeno fino a quando l’imputato non fu trascinato di peso davanti a lei. - Possano gli Dei aver misericordia della vostra anima. - S’era già accomodata dall’altro lato del tavolo di legno, mani incrociate sul grembo, schiena dritta e viso serio. La Madre le aveva insegnato misericordia, anche per il più insulso degli uomini o le peggiori peccatrici dei Sette Regni. Di certo non nutriva rancore per un eretico, solo pura commiserazione. Quando il prigioniero fu condotto al cospetto della Mallister, la devota fanciulla ebbe il tempo necessario per scrutarlo in viso. Emaciato, sporco e la carnagione aveva assunto un colorito giallastro, di chi pativa le pene dei Sette Inferi ed il corpo era sull’orlo dell’ennesimo cedimento. Però negli occhi del prigioniero c’era circa adorazione nei confronti del Septon.

    - Qual'è il suo nome? Perchè è prigioniero? Da quanto tempo i suoi occhi sono privati della luce della libertà? - Improvvisamente interruppe il silenzio, dopo averlo lungamente osservato. Gli occhi sognanti che aveva rivolto al Confessore era un segno eloquente a quale Fede fosse devoto. - Raccontatemi di voi. Desidero ascoltare la sua storia. - Si privò del fazzoletto in stoffa per cederlo con benevolenza al prigioniero, accusato di Eresia da Lord Helmann Tallhart. Un gesto caritatevole per concedergli un modo per ripulirsi dalla sporcizia che lo ricopriva ed eventualmente accogliere le proprie lacrime. Lo sguardo serio ed algido della nobildonna si alternava tra il prigioniero ed il Septon. Scorgeva cieca adorazione nell’altrui sguardo verso l’anello di giunzione tra il Divino ed il piano mortale. Ancor prima che la corrente di pensiero di Illyria Targaryen diventasse un’eresia, un pensiero divergente, aveva accolto quasi con entusiasmo l’utopia della cugina del Re di riunire l’intero Regno sotto un unico Dio. Secondo scritti recenti, era la Fanciulla a guidare la sua mano ed ispirare nei sogni i propri sermoni. Comizi sempre più sinistri, che celavano una ferinità dietro all’immacolato vello di un agnello. Aveva rinnegato ogni simpatia per le dottrine di Illyria alla chiamata alle armi, sollevando i ceti più bassi verso la gloriosa ed antica nobiltà. Sovvertire la realtà per conquistare il potere. Un peccato mortale, che secondo i Septon l’aveva fatta sprofondare negli Inferi più bassi dopo il trapasso. Una magra consolazione, visto che i suoi pensieri divergenti ispiravano ancora così tanti popolani. Un percorso ascetico, privo di tentazioni, nel privarsi dei piaceri della tavola e della carne. Castità e rinunce erano alla base dei dogmi di Illyria, oltre che a non riconoscere il sacro ruolo dei Septon. - Amabile Confessore, offrite le preghiere del Padre affinché venga fatta giustizia ed invocate la Vecchia in modo da illuminare gli animi e ricondurli verso la via della saggezza. - Con un cenno del capo invitò il Septon ad avvicinarsi al tavolo per intonare le preghiere. - Confessate pure i vostri peccati al Septon, affinché possa intercedere in vostro favore al cospetto dei Sette! - Era la giustizia divina quella che importava, non di certo quella terrena. I tribunali erano costituiti da uomini, mortali che a volte erano ispirati da interessi personali e responsabilità verso il Seggio. Lord Tallhart era un fiero osservante della tradizione del Nord e con essa anche la Fede degli Antichi. Forse la tolleranza s’era esaurita con la comparsa dell’eresia a Piazza di Torrhen.

    Gli occhi del Nord erano ciechi alle differenze tra la Vera Fede dei Sette e l’Eresia di Illyria. Diffidenza alimentata dai pregiudizi, come ceneri rimaste incustodite per lungo tempo ora si ritrovavano ad affrontare le fiamme del peccato. Sostenuta dal Septon non esisteva esitazione, consapevole di essere nel giusto e forte dell’animo immacolato devoto alla Fanciulla. Tra le pieghe dell’abito recuperò una stella fatta di giunchi e steli d’erba ormai appassiti. Un generoso e sentito dono di Lady Cerwyn, che quasi l’aveva commossa. Un vero passo verso l’unione e non la sola tolleranza. - Vi offro questo dono. Che vi sia di conforto in questa, mi auguro, breve prigionia. Che gli Dei, Antichi o Nuovi, vi siano favorevoli. - Allungò le mani oltre al tavolo. Un gesto avventato, forse sconveniente per una nobildonna di alto lignaggio. Mossa da compassione e sincera commozione, non desiderava voltarsi dall’altro lato. Ignorare la sofferenza di un uomo, giustamente o ingiustamente privato della libertà.

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    Parole: 1879

    Con l’aiuto di Freene (che mi ha aiutato a comprendere le differenze dogmatiche tra Fede dei Sette e la “variante” di Illyra Targaryen) cerco di comprendere la vera posizione religiosa del prigioniero.

    Se non ho capito male l’Eresia comprende:
    - Abolizione del ruolo dei Septon;
    - Abolizione della nobiltà;
    - Vita ascetica (Castità e vegetarianismo);
    - Ostilità verso qualsiasi altro pensiero religioso.

    Dunque il prigioniero non dovrebbe essere adorante verso il Septon, anzi. In ogni caso ho provato a metterlo alla prova :3
     
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      Piazza di Torrhen · 25 gennaio 286AA
    Tenendosi rispettosamente un passo indietro, l’orlo dell’abito che sfiorava appena, in un delicato fruscio, il pavimento in nuda pietra, Vidya seguì il Lord, percorrendo a ritroso il tragitto che poco prima l'aveva condotta alla Sala Grande. A differenza del Forte, osservò, ove le torce appese alla pareti erano solite bruciare ad ogni ora per contrastare l'oscurità, le feritoie lungo i corridoi della Fortezza Centrale riuscivano a catturare e diffondere la luce del giorno quanto bastava, facendola piovere su di loro in tanti raggi obliqui che rischiaravano di grigio chiarore il passaggio. Proseguirono in silenzio, persi nei propri pensieri, il cadenzato tintinnio metallico del fodero della spada a scandire ogni nuovo passo. Gli schiamazzi provenienti dall’esterno non accennavano a placarsi e le voci parevano farsi sempre più concitate, tuttavia, il contenuto di quanto veniva detto continuava a sfuggirle, con le parole pronunciate che si sovrapponevano l'una alle altre, arrivandole confuse.

    All’ennesima incomprensibile frase che riuscì a raggiungerli, tese le labbra in una smorfia. Se il Lord aveva ragione, e l’alterco in corso fuori da quelle spesse mura era di natura religiosa, sarebbe stato per lei il suo primo vero contatto con il Sentiero Luminoso - o i suoi effetti sul territorio. Un mero assaggio - se ne rendeva conto - di quanto stava avvenendo al confine, dove gli scontri erano degenerati al punto in cui i fedeli delle due fedi sfregiavano e profanavano i rispettivi luoghi e simboli di culto. Pensò ai templi e alle statue date alla fiamme, ai sacri Alberi-Diga deturpati e distrutti da quell’insensato odio, e sospirò. Rabbia e paura erano una combinazione pericolosa e difficile da gestire. La giovane Bolton si chiese, il cuore appesantito dal timore, se avere dalla propria la ragione sarebbe stato sufficiente a farsi ascoltare, o un nuovo conflitto era ormai inevitabile e la loro missione destinata al fallimento. Per farsi coraggio, istintivamente, si portò la mano all’altezza del collo, alla ricerca del fermaglio a foggia di Uomo Scuoiato appartenuto a sua madre. Ma, invece di argento e rubini, le sue esili dita incontrarono una semplice pietra di diaspro rosso. Alla partenza, consapevole dei pericoli che si potevano incontrare per la strada e del fatto che, per gran parte del viaggio, sarebbe stata a stretto contatto con gente semplice, aveva deciso di non indossare gioielli o oggetti di valore, di dare un’immagine quanto più vicina a loro possibile, senza sottolineare e sbandierare la propria ricchezza e i propri privilegi. Strinse comunque la pietra nel palmo, sperando che i libri avessero ragione e donasse davvero forza e resistenza.

    Giunsero in cortile poco dopo, la confusione era tale da permettere loro di osservare e valutare la situazione per qualche attimo senza essere notati.

    Ogni attività era stata interrotta. La viva atmosfera che l'aveva accolta non appena scesa dalla carrozza era stata sostituita da una crescente tensione. Persino le nuvole, che al suo arrivo avevano striato di grigio il cielo, sembravano essersi appesantite e scurite, incombendo opprimenti sulle loro teste. Martelli e spade tacevano, temporaneamente dimenticati, stretti nei pugni di chi, tra l’infastidito e l’allarmato, seguiva l’evoluzione di quell’improvvisa baruffa, incerti se intervenire o meno. Mentre avanzava, la ghiaia del selciato che scricchiolava sotto i suoi stivaletti, lo sguardo di Vidya si posò brevemente su delle donne ferme sul limitare dello spiazzo che, preoccupate, cingevano protettivamente a sé i figli e quindi sui volti intimoriti, ma allo stesso tempo incuriositi, dei bambini.

    Di primo acchito le apparve come una normale zuffa, una delle tante che si potevano scatenare per un commento o bicchiere di troppo, ma divenne presto chiaro che le due fazioni non erano impegnate in uno scontro tra di loro. Una parte degli uomini, difatti, era intenta a cercare di calmare gli animi, trattenendo fisicamente coloro che, a colpi di insulti e spintoni, sembravano determinati a mettere le mani su qualcosa che si trovava al centro di quella baraonda.

    …O qualcuno.

    Un uomo era rannicchiato a terra, le braccia sollevate a coprire la testa dai colpi che, di tanto in tanto, riuscivano a raggiungerlo. Era dunque lui la causa di tutto quel marasma? Indossava un modesto mantello scuro che gli ricadeva storto su una spalla, ed una pesante tunica marrone al di sotto. Un copricapo, sporco e sbilenco, era abbandonato poco più distante, insieme a diversi oggetti - probabilmente i suoi effetti personali- mentre una sacca da viaggio giaceva dalla parte opposta, calpestata dagli uomini che lo circondavano.

    Bastò intravedere l’autorevole e possente figura del Lord sopraggiungere di gran passo - il volto teso e dagli occhi tempestosi - per riportare, per qualche istante, la calma e l'ordine nel piazzale. Gli strepiti e schiamazzi cessarono e tutti i presenti ammutolirono di colpo, in rispettosa soggezione. In quella breve parentesi di quiete, Vidya, ferma di fianco al Tallhart, non poté non cogliere gli sguardi obliqui che taluni andavano scambiandosi, o quelli indugianti sul temuto Uomo Scuoiato ricamato sul bordo del suo mantello.

    Fu solo quando il sanguigno temperamento del Nord ebbe la meglio sul timore riverenziale per il proprio Signore, e gli uomini ripresero a discutere, perorando la propria causa, che la giovane Bolton notò la presenza di alcuni uomini della sua scorta tra i litiganti. Si irrigidì, contrariata, stringendo le mani in un pugno lungo i fianchi, pronta a redarguirli e, nel caso, punirli severamente per l’imbarazzo che le stavano procurando, salvo rendersi conto, subito dopo, che erano tra coloro che stavano cercando di placare la situazione. Si rilassò, rivolgendogli un chiaro cenno d'approvazione. Era con le azioni che si dava forza ad un messaggio e il loro intervento non sarebbe passato inosservato, consolidando l’immagine mediatrice della delegazione.

    Nel frattempo, il malcapitato, aveva sciolto la sua posa difensiva e si guardava attorno spaurito, totalmente sopraffatto. I capelli erano scompigliati e sul viso portava i segni della colluttazione, nulla più di qualche graffio e ferite superficiali, con uno zigomo arrossato che stava iniziando a gonfiarsi e un piccolo taglio sul mento che sanguinava leggermente. Il Tallhart gli si appressò e, con voce autoritaria, scavalcando il vociare che stava riprendendo forza, chiese spiegazioni ai presenti.

    L’uomo, si scoprì, era un mercante itinerante. La sua colpa: avere sul collo un tatuaggio rappresentante la Stella a Sette Punte. Questo, per gli abitanti di Piazza di Torrhen, era sufficiente a renderlo una potenziale minaccia per la pace del Castello, spingendoli a chiedere a gran voce una punizione esemplare. Vidya incrociò lo sguardo del Lord. Il Nord difficilmente dimenticava e perdonava, ed era chiaro che, quanto avvenuto con i cortigiani, avesse lasciato il segno, rendendoli suscettibili e molto meno propensi a rischiare. Ma ciò che più la allarmò fu come la distinzione tra fanatici e fedeli, nella loro mente, stesse pericolosamente sfumando.

    Scosse la testa. Per quanto si potesse comprendere il loro timore, non bisognava farsi trascinare, commettendo l’errore di saltare a conclusioni affrettate e finire per punire un innocente. Un atteggiamento a cui lo stesso saggio Lord Hellmann Tallhart si oppose fermamente, dando al presunto seguace di Illyria modo di chiarire.

    Non deponeva certo a suo favore, pensò, ascoltando la vaga spiegazione del mercante, che di norma i Fedeli dei Sette avessero smesso di tatuarsi in onore del loro Dio. Un’usanza, quella di immortalare sulla pelle il simbolo del proprio credo in rappresentazione della propria devozione, abbandonata ormai da secoli, poco dopo lo sbarco degli Andali, e riportata in auge dagli eretici. Tuttavia, ragionò, non si poteva escludere a priori che l’uomo fosse particolarmente fervente e che, in tempi non sospetti, avesse voluto semplicemente rimarcare la propria identità religiosa… o, persino, che fossero in presenza di un seguace pentito ed in fuga.

    «Quanti anni fa, esattamente?» domandò, chiedendo poi di poter osservare più da vicino il tatuaggio.(*)

    Se le fosse stato accordato il permesso, si sarebbe avvicinata, scostando il colletto della tunica per meglio studiare il marchio, tentando di stabilire se fosse davvero così vecchio come il mercante affermava.

    Tanti, ne era consapevole, erano i fattori che incidevano sull'aspetto di un tatuaggio e, per persone come l'uomo, sempre in viaggio e con la pelle spesso esposta al sole, o anche alla salsedine, la sua alterazione poteva avvenire prima che ad altri, ciononostante un disegno recente sarebbe stato comunque ben riconoscibile rispetto ad uno fatto molti anni addietro. Di per sé non sarebbe stato un elemento conclusivo, ma l’avrebbe aiutata ad inquadrare chi aveva davanti.

    Una volta terminato l'esame, prima di parlare a quella piccola furente folla, avrebbe rivolto, in una muta richiesta, una veloce occhiata al Lord. Era lui a rappresentare l'autorità agli occhi dei presenti, il suo sostegno a quanto stava per dire avrebbe potuto fare la differenza.

    «É dunque chiedendo giustizia sommaria e usando violenza che intendete mantenere la pace?» chiese schietta, in tono di rimprovero, cercando di proposito lo sguardo di chi le pareva più infervorato. Non c’era bisogno di presentarsi, lo stemma sul suo mantello era sufficiente ad identificarla. E il vessillo, abilmente ricamato dalla Mallister, sotto il quale viaggiava in compagnia dei Fedeli dei Sette, rispondeva al perché si sentisse di intervenire. «É venendo meno al sacro precetto dell’ospitalità che pensate di difendere e onorare gli Antichi?» Incalzò, mani strette in grembo e voce ferma. Se fare appello al buon senso non bastava a farli ragionare, sperava di riuscirci facendo leva sulla loro fede. Poche cose rendevano orgoglioso un Uomo del Nord tanto quanto il rispetto della sacralità delle proprie tradizioni e, anche senza la reale offerta di pane e sale, uno straniero che pacificamente varcava la soglia della propria casa era da considerarsi un ospite. Abbassarsi al livello dei seguaci di Illyria equivaleva a fare il loro gioco, aumentando la distanza, creando un clima di paura e violenza, con il rischio di perdere di vista chi fosse il vero nemico. L’obiettivo comune doveva essere quello di contrastare il messaggio del Sentiero Luminoso e non dare loro argomenti per rafforzarlo e aggravare la frattura tra le religioni. «Lord Tallhart ci ha reso partecipi degli incresciosi episodi che hanno avuto luogo tra queste mura. Comprendo e condivido i vostri timori.» Fece una breve pausa, lasciando scorrere le pallide iridi sui loro volti, provando a comunicare la sua comprensione, conscia che le sue parole, a contatto con la bruciante ira che li muoveva, potessero evaporare prima di attecchire per davvero. «Ma non è questa la via…» Con un delicato gesto della mano indicò l’uomo che, spaventato, ancora non osava mettersi in piedi. Nel movimento il mantello si spostò, rivelando la stoffa purpurea del suo abito, una tonalità di rosso che, contro il suo marmoreo incarnato, avrebbe creato un contrasto familiare a chi era fedele all'Antico Culto. «Bisogna distinguere tra Fedeli dei Sette e coloro che sono stati tanto deboli e stolti da farsi ingannare dai deliri e dalle bugie di quella folle eresiarca» soggiunse provocatoria, studiando il volto del mercante alla ricerca di eventuali espressioni di fastidio nel sentire insultare la Targaryen e il suo presunto messaggio divino. Quindi sarebbe tornata a guardare gli altri uomini intorno a loro. «Costui vi ha in qualche modo arrecato offesa?» indagò, volendo farsi un quadro più completo di quanto accaduto e di ciò che avesse potuto provocare una tale violenta reazione. «Ha detto o fatto qualcosa che possa avervi indotto a pensare fosse un seguace di quella seminatrice di discordia?»



    Parole: 1871

    (*) In teoria Vidya, osservando il tatuaggio e analizzandone lo stato, dovrebbe poter risalire a grandi linee a quanto sia effettivamente vecchio. Ma ciò che può darle indizi, o meno, dipende dalla tecnica utilizzata...

    Quindi di che tipo di tatuaggio stiamo parlando? (fatto forando la pelle e immettendo l'inchiostro, incidendo la pelle e passando l'inchiostro sui tagli, marchiato a fuoco o tramite scarificazione e quindi formazione di cicatrici... etc.? )

    Insomma come si presenta? xD
     
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