[SWBR] Fiori brutali

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    Punta Acuminata, Presente

    Mentre Eivor si trascinava placidamente nelle sale da pranzo, si aprì uno spettacolo che avrebbe fatto venir l'acquolina in bocca a qualsiasi peccatore di gola incallito. I Lord del castello erano impegnati in una discussione. Non era un giorno particolarmente importante né ci si aspettava ospiti tra le mura di Punta Acuminata, semplicemente Lord Roger doveva discutere con la sua famiglia e quale modo migliore se non mettendo qualcosa di prelibato sotto i denti pensò. Il giovane erede prese posto nella sedia alla sinistra del padre, che sedeva a capotavola, trovandosi di fronte lo sguardo pensieroso della madre impegnata in uno zittirsi alla vista del figlio ingoiando forzatamente qualche boccone. Eivor agguantò dal cesto al centro un frutto casuale, la sua attenzione era rivolta al padre che nonostante fosse impegnato nel gustarsi del cinghiale, si sarebbe sicuramente introdotto in un qualche discorso da lì a qualche istante. Anche se il frutto aveva un profumo delizioso, era duro come una roccia e l'interno brillava di una luce disgustosa.
    »Eivor.« Esordì Lord Roger schiarendosi la voce e buttando giù l'ultimo boccone. »Io e tua madre stavamo discutendo di un argomento molto importante: Il tuo matrimonio.« La voce era decisa e tranquilla, ma si interruppe dando il testimone alla consorte prendendole la mano. »Sei ormai grande abbastanza per essere considerato un partito appetibile dagli altri Lord come marito delle loro preziose figlie. Troviamo sia vitale trovare delle alleanze che ci assicurino tranquillità, proprio come fu per me e tuo padre durante la nostra gioventù. Tra qualche mese verranno al castello alcuni Lord delle Terre della Tempesta ed avrai modo di conoscere tra loro la donna la cui mano ti sarà affidata a vita, ovviamente sarai tu a scegliere chi più ti aggrada.« Calò il silenzio per qualche secondo, lo sguardo di Eivor era impenetrabile come sempre e nemmeno i suoi stessi genitori potevano anche solo sperare di afferrare uno spiraglio di emozione che anticipasse le parole del ragazzo. »Dovrei quindi unirmi in nozze ad un'altra casa insignificante come hai fatto tu padre? La tranquillità è il massimo a cui le nostre mura ed il nostro nome possono ambire?« Le parole del giovane partirono come frecce scoccate dal più abile dei soldati, colpendo dritto i bersagli che si trovavano di fronte facendoli sussultare. Lady Ferna serrò le mandibole calando lo sguardo, probabilmente ferita dalle parole non molto dolci dedicate alla sua famiglia d'origine. Roger d'altro canto poggiò i gomiti sul tavolo incrociando le mani a mo di preghiera, era al corrente delle mire ambiziose del suo primogenito ma non le condivideva di certo, l'animo modesto dell'uomo si accontentava di ciò che aveva già tra le mani. »Trova spazio per ragionare sulla realtà dei fatti in quella tua mente annebbiata dalla gloria figlio mio. Noi Bar Emmon non abbiamo nulla da offrire, se non il nostro sangue nobile. Vuoi forse sperare che qualche potente casato venga mosso dalla pietà o dal tuo animo e accetti di unirsi a noi?« Eivor era nauseato dalle parole del padre, aveva passato una vita a subire monologhi sul portare fiero il nome Bar Emmon, ed invece a quella tavola il padre stava sputando sullo stesso, non reputandolo degno se non di case insignificanti in qualche terra a sud. »Allora aspetteremo finché non avremo qualcosa da offrire, dieci cento mille anni. I nostri porti sboccano su un punto chiave della Baia, son sicuro che qualche Lord nell'entro terra pagherebbe oro colato per avere approdi alleati nel Mare Stretto, dobbiamo solo trovare qualcuno che possa offrirci tanto quanto in cambio.« Sentenziò Eivor per poi alzarsi da tavola negando a priori al padre la possibilità di controbattere. »Qui ho finito.« Sibilò gelidamente congedandosi dal tavolo. Non avrebbe permesso a nessuno di mettergli i bastoni tra le ruote, aveva in mente chiaramente il suo obiettivo.
    Attraversando a passo veloce i corridoi del castello le parole del padre rimbombavano nella sua mente come echi tormentati "Noi Bar Emmon non abbiamo nulla da offrire", troppe volte nella sua vita aveva sentito il proprio nome macchiato in quel modo, troppe volte il buon nome del Pescespada era diventato vittima di scherno. Ricordi umilianti riafforavano nella mente del giovane come pesci esanimi galleggianti sulle sponde salate. I pugni si strinsero d'istinto quando uno specifico ricordo si fece spazio tra tutti gli altri, un ricordo che bruciava ardentemente tanto il torto subito. La mente si posò sulla prima volta che Eivor visitò la capitale dei regni. Approdo del Re sapeva essere cattiva con i suoi visitatori, e questo Eivor lo aveva imparato subendolo sulla propria delicata pelle. Quanti insulti, quante beffe subite perché un piccolo Pescespada portava fiero un nome che contava qualcosa solo per lui. Lo ricordava come se fosse ieri quella giornata di festa passeggiando...

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    Qualche anno prima

    ...Passeggiando per la Fortezza Rossa un piccolo Eivor guardava meravigliato cotanta imponenza, era abituato a dimensioni di castelli molto più modesti rispetto a quello della capitale. Lord Roger era stato chiamato a presenziare nella corte del Re durante la Festa dei Sette, e non perse occasione per mostrare al suo erede la grandezza della capitale. Attraversando le vie della città in carrozza il giovane ebbe modo di spiare dalle finestre il popolino in festa. Le strade erano un crogiolo adornato di bandiere e decorazioni dedicate ai Sette Dei, le donne danzavano in nome della Fanciulla e gli uomini scolavano boccali di birra destreggiandosi tra cori e canzoni sul Padre. Per quanto Approdo del Re fosse una città piena di vizi e problemi, quei giorni di festa sembravan quasi magici, il popolo era riunito sotto il nome dei Sette e per quella settimana, chiunque si considerava suo fratello e sorella.
    Superati i cancelli della Fortezza Rossa la carrozza fu accolta da uno scarno entourage di due servi incaricati di far accomodare i Bar Emmon nelle loro stanze. La famiglia di Punta Acuminata fu così portata all'interno del castello, arrivando ad una stanza spartana con lo stretto necessario di cui un nobile possa necessitare. Il letto del figlio si trovava in una piccola camera comunicante con la stanza principale.
    »Devo presenziare davanti al trono, mi raccomando non uscire da qui. Faremo un giro insieme al mio ritorno!« Le raccomandazioni del padre erano state chiare sì, ma come poteva un pargoletto curioso e impavido come il sole starsene recluso lì in attesa? Una volta assicuratosi che Lord Roger fosse andato via, Eivor uscì furtivamente dalle stanze indossando dei pantaloni scuri ed soprabito grigio con dei motivi acquatici blu ed un fermaglio a forma di pescespada fieramente posato sul petto, i capelli arrivavano alle spalle portati sciolti e con un'occhiata non attenta sarebbe stato facilmente scambiato per una fanciulla forse un po' maschiaccio. Non sapeva effettivamente dove andare ma la fortezza era così grande che bastava semplicemente scegliere una direzione per scoprire qualche luogo interessante. Camminava a passo svelto e ansioso, i corridoi erano più animosi di quanto dovessero essere di solito complice la festa in atto in quei giorni; ancelle scherzose che sussurravano pettegolezzi l'una all'orecchio dell'altra, nobili alticci pregni di vino e paonazzi in volto che discutevano di politica, guardie di ronda distratte dai festeggiamenti stessi. Un ronzio di voci perpetue di sottofondo marcava quante persone effettivamente fossero presenti in tutta la fortezza. Nessuno sembrava prestar attenzione ad una piccola figura impegnata a passare tra le gonne ed i tavolini in chissà quale direzione.

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    Dopo una decina di minuti a girovagare tra scale e corridoi dinanzi al cucciolo di Pescespada si aprì un grande porticato che si affacciava sui giardini del castello. Il sole squarciava le nuvole ed accarezzava vivacemente il viso diafano del giovane che si perse imbambolato in quel luogo di rara bellezza. Nell'Uncino di Massey non esisteva nulla del genere, poteva giurare di vedere ogni tipo di fiore presente a Westeros lì in quei giardini dalle dimensioni titaniche. Non che lui fosse un esperto botanico, ma ogni colore presente in natura faceva vanto di sè nei ramoscelli, nelle aiuole e nei cespugli. A piccoli passi spezzati ogni qualvolta vedesse una pianta che ne catturava l'attenzione Eivor si addentrava nel giardino perso nella gioia di condividere la giornata con qualcosa di così delicato e puro. Non sembrava esserci nessun altro nei giardini, ma non aveva controllato abbastanza bene da esserne sicuro. Saltellando si ritrovò al centro di un prato in compagnia di un singolo grande albero, rilassarsi sotto la criniera di quell'imponente tronco sarebbe stata una meritata ricompensa dopo il lungo viaggio da Punta Acuminata.
    L'erba era soffice e fresca, un letto di fortuna migliore di molti altri. Le mani si aggrappavano a qualche ciuffo e accennando un sorriso chiuse gli occhi infastiditi dagli spiragli di luce tra la chioma dell'albero. Un cinguettio melodico accompagnava il rumore delle fronde che danzavano col vento e tutto sembrava così perfetto. Quanta ingenuità nel piccolo Pescespada, convinto che niente e nessuno avrebbe potuto rovinargli il momento.




    -1473 parole

    Diamo finalmente il via alle danze
    Quello che c'è da sapere lo abbiamo già discusso per mp quindi...
    Buon evento! <3
     
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    Lady Fiona Largent
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    Se c'era qualcosa che infastidiva Lady Fiona Largent più della prospettiva sfumata di fare da governante ai Principi Targaryen, era sicuramente il dover inseguire in firo per la Fortezza Rossa il moccioso Bar Emmon che le avevano affidato per gli eventi che si sarebbero susseguiti nella capitale in quelle settimane. La donna si era vestita quella mattina per presentarsi ai Principi: veste celeste dal piglio militare, pregiati dettagli d'oro sulle spalle e nei capelli chiari, sapientemente intrecciati ai lati del viso. La mescolanza di sangue tra Largent e Targaryen la faceva sentire a casa sua tra i corridoi della Fortezza attraverso i quali si muoveva con la stessa sicurezza di un Comandante tra le sue truppe. La sua postura era regale, con la testa alta e una leggera inclinazione verso il mento, come se guardasse perennemente dall'alto in basso coloro che la circondavano. Ogni suo movimento sembrava calcolato per attirare l'attenzione e affermare il suo dominio.
    No, non era vestita per rincorrere un ragazzino nel Parco degli Dei.
    Non quel ragazzino.
    Fortunamente il figlio di Lord Roger aveva deciso infine di fermarsi sotto alla grossa quercia dei giardini reali per... Dei lo aveva visto bene? Si era addormentato nei giardini come fosse a casa sua?
    "Pallido, magro, alto quanto un cecio e senza un grammo di sangue valyriano nelle vene. Devi essere il giovane Bar Emmon."
    La voce cristallina della giovane governante risuonò nel parco quanto bastava per svegliare un orso in letargo. Teneva le mani giunte dietro la schiena mentre avanzava lentamente, a passi ben calcolati, verso il pargolo di Punta Acuminata. Le sue parole grondavano un senso di superiorità che sarebbe stato difficile da nascondere. I suoi modi erano altrettanto altezzosi. Il suo sguardo era penetrante, pronto a giudicare e trovare difetti negli altri, mentre le sue dita perfettamente curate gesticolavano delicatamente per enfatizzare le sue parole. Si dilettava a ostentare la sua bellezza e la sua dizione, usandoli come munizioni per rafforzare il suo ego gonfiato mentre affrontava il ragazzino. Quando fu al suo cospetto gli occhi guizzarono verso il fermaglio posato sul suo petto. Si abbassò dunque per avvicinarsi all'altezza di Eivor.
    "Chi altri si appunterebbe sul petto altrettanto orgogliosamente la spilla di un misero pesce spada alla corte dei Grandi Draghi?"
    Allungò le lunghe dita affusolate verso il fermaglio per studiarlo meglio alla luce del sole; come si poteva essere tanto fieri di una sciocchezza come quella? Aveva preso ad accarezzarlo col polpastrello del pollice, quasi come stesse studiando una pianta rara. Quindi se ne allontanò quasi disgustata scostando lo sguardo e tornando a sollevarsi in piedi, svettando su Eivor nella sua altezza.
    "Questi sono i giardini del Re, cosa pensavi di fare qui? Non ti è concesso visitarli senza permesso, men che meno addormentarti all'ombra dell'Albero come se fosse tuo." -rimarcò con decisione l'ultima frase. Quel ragazzino si trovava decisamente nel posto sbagliato e non si riferiva ai giardini della Fortezza Rossa. Inspirò decidendo di presentarsi, non già perché riteneva che il piccolo maleducato (lo era per il semplice fatto di aver girovagato come un selvaggio per proprietà non sue) lo meritasse, ma perché Fiona Largent era ligia al dovere e non sarebbe mancata nemmeno stavolta.
    "Lady Fiona Largent, Dama Largent per te. Sarò la tua governante per tutta la permanenza della tua...famiglia...qui nella Fortezza Rossa, vedi di non creare ulteriori fastidi." -oh il tono con cui aveva pronunciato la parola famiglia! E se il disprezzo della donna era palpabile, Eivor non aveva ancora avuto modo di assaggiare la sua severità. Incrociò le braccia sotto al petto e voltò lo sguardo altrove, verso la Fortezza e le musiche dei balli che lì si stavano svolgendo in quel momento: "In piedi, un nobile non dovrebbe andarsene in giro a dormire nei giardini come un vagabondo. A Punta Acuminata non ti hanno insegnato le basi dell'educazione? Buon cielo, ma da dove vieni?"
    Era già tanto se avevano una Septa in quello scoglio sul mare, figurarsi una governante in grado di rimettere in riga il ragazzino.
    Provava quasi una punta di pietà per il piccoletto, se non fosse stato l'origine dei suoi problemi, destinato a diventare una nullità esattamente come suo padre. Quando avrebbero smesso qui pesciolini di ciucciare alle poppe di Mamma Targaryen?

    CITAZIONE
    707 parole
    Inizio easy per dare modo a tutti di inserirsi XD


    Edited by Freene - 10/6/2023, 20:08
     
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    Lord

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    Lorent
    il Paggio




    N° parole: 686


    Lorent doveva essere abituato a quell’accoglienza eppure, ogni santissima volta, sentiva una rabbia partire dal centro dell’addome e irradiarsi al cuore, alla gola e agli occhi. Era così ingiusto che dovesse subire tutto quello. Era da diversi anni che aveva rinunciato al suo cognome promettendosi di “recuperarlo” solo quando sarebbe diventato un vero cavaliere. Si allenava, da solo, ogni giorno cercando di maneggiare al meglio le armi consumate dal tempo e dall’incuria del loro proprietario, quella sorta di cavaliere che doveva servire. Odiava il suo ruolo e non era un mistero. Era stato così felice quando suo padre gli aveva prospettato quella strada. Avrebbe iniziato come paggio, poi, se avesse avuto fortuna e il suo mentore lo avrebbe ritenuto opportuno avrebbe potuto curare lo scudo e l’armatura del cavaliere stesso e, infine, se gli dei lo avessero voluto, diventare cavaliere. Era consapevole che gli sarebbe servito tantissimo tempo, molto tempo, forse troppo tempo, ma era felice di poter seguire quella strada. L’impatto a pelle con quel cavaliere non fu dei migliori. Si disse che le prime impressioni a volte non erano veritiere e che bisognava prima darsi del tempo. Se ne diede troppo di tempo e ciò che imparò da quel presunto cavaliere, era che, forse, un tempo lo era davvero stato. Quel tempo, però, era passato.
    Lorent si trovava ad Approdo del Re per la festa dei Sette, una celebrazione che vedeva anche diversi cavaliere prendere parte ai giochi indetti ai vari aspetti dei Sette. Da quando seguiva quel cavaliere non conosceva cosa volesse dire fare un ingresso trionfale. Aveva assaporato solo la vergogna e l’imbarazzo anche perché non mancavano quei commenti così vili che gli facevano rivoltare le viscere. Era consapevole che quel cavaliere non avrebbe mai concluso nulla ovunque sarebbe andato se non suscitare ilarità nei presenti e in coloro che lo guardavano. Era stata questa cognizione di causa a spingere Lorent ad essere diverso da lui. Lo seguiva solo perché doveva e … beh, perché quell’uomo gli permetteva di accedere in luoghi dove non sarebbe potuto entrare. Lo aveva seguito in diverse corti assistendolo e porgendogli le varie aste o lance che fossero “cortesi” o meno. Sapeva già come sarebbe andata a finire la giostra e ogni volta i suoi pronostici non vennero delusi. Quel cavaliere a stento superava il primo giro di giostra prima di ritrovarsi col sedere a terra.
    Nonostante tutto, però, quegli intermezzi gli fruttavano alcune conoscenze. Poteva parlare con altri cavalieri degni di quel nome, apprendere qualche colpo, allenarsi con gli altri paggi e sperare che prima o poi qualcuno gli desse la possibilità di lasciare quell’uomo. Finora ciò non era successo, ma non poteva arrendersi, giusto?
    Come detto, Lorent si ritrovò a subire nuovamente quell’accoglienza che gli veniva riservata ogni volta che lo si vedeva in compagnia di quel cavaliere. “E’ arrivata la balia di Ser Boccale” oppure “Hai già lucidato il calice di Ser Boccale?”
    Se quel cavaliere avesse usato la spada come sollevava i calici, sarebbe stato il miglior spadaccino dei Sette Regni.
    Lorent era riuscito a non inveire contro quelle guardie. Aveva imparato a sue spese che era inutile replicare e l’unica cosa da fare era tirare dritto e far finta di non sentire ingoiando l’acido che gli saliva fino in gola. Se la sarebbe presa col primo ragazzino, o generalmente cane, che gli avrebbe intralciato il cammino, come spesso accadeva.
    Stava attraversando quel sentiero della Fortezza Rossa che costeggiava i giardini reali. Quel cavaliere lo attendeva e già immaginava quale fosse l’incombenza: trovare delle aste per la giostra o cercare, inutilmente, di riparare lo scudo martoriato. Qualcosa, però, catturò la sua attenzione. Una lady stava parlando con un ragazzino che si era seduto sotto un albero. Sembrava non arrabbiata, ma … infastidita da quel tipo e dai suoi modi, nonché dal suo stesso esistere. Poteva rimanere ad osservare il tutto e cercare di capire chi fossero. Dopotutto se quel ragazzo poteva aiutarlo a eliminare quella strana sensazione di acido e di frustrazione accumulata, perché farsi sfuggire l’occasione? Forse, un cane randagio si sarebbe risparmiato dei calci o delle pietre lanciategli dietro quella mattina.
     
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    Tymonaeon Ball quella mattina si aggirava per la Fortezza Rossa come uno sciacallo dorniano si aggirerebbe lungo la Forca Rossa, come un Metalupo nel Mare Dothraki, come una pantera ombra sulle sponde del Vinomiele. Predatore alieno ad ogni luogo, Tym aveva rapidamente preso l’abitudine a infilarsi dove non doveva per tendere agguati ai servitori. Così si era trovato magicamente su una delle molte tettoie interne della fortezza, armato di fionda e determinato a rubare le uova a tutti i colombacci che avevano deciso di fare il nido lì. Quando provavano a difendere la propria prole, a Tym bastava raccattare una tegola, spezzarla battendola con forza sul tetto e, se il rumore non era bastato a scacciare il volatile, usare la fionda per scagliare le schegge di tegola contro di esso.
    Non erano draghi, ma se il giorno fosse mai giunto, Tym sapeva che sarebbe stato lui l’ammazzadraghi. I Targaryen dovevano essere felici di avere suo padre ai loro servigi per quel momento, altrimenti Tym avrebbe potuto anche comportarsi male.
    Con le tasche piene di uova da un lato e cocci dall’altro dei suoi brillanti pantaloni canarino, Tymonaeon seguì il suo infallibile olfatto per il divertimento e raggiunse, dall’alto, i pressi del Parco degli Dei.
    Sentiva una voce senza bene distinguerne le parole, ma riconoscendone il tono chiaro e gelido della Dama Largent. Mentre il terrore che i cortigiani provavano per Tym si limitava a quando potevano vederlo, quello dei ragazzini per la Largent sembrava destinato a durare in perpetuità, come se potesse sempre osservarne la postura storta o venire a sapere quante tortine avessero mangiato di troppo rispetto ai limiti del decoro.
    Tym non si era fatto piegare naturalmente, lui le tortine le mangiava comunque solo rubandole agli altri; quindi, anche alle magiche divinazioni di Fiona Largent non sarebbe risultato nulla.

    Tymonaeon, che era il più migliore, pensava di sapere come gestire la rigida Largent e trovava divertente assistere alle inconfondibili “partacce” che riservava ai ragazzi più deboli: chi era stavolta? La Fortezza ribolliva di ospiti, c’era solo l’imbarazzo della scelta.
    Passando con estrema agilità dalla tettoia ad uno dei numerosi alberi del Parco degli Dei, il Ball poté navigare attraverso quel luogo “sacro” senza metter piede a terra.
    Da là scorse infine la bionda istruttrice e la sua pallida vittima.
    Pareva che il ragazzo si fosse addormentato nel Parco, forse già stava cercando di scappare dalla Fortezza?
    Debole, non sapeva che Dama Largent avrebbe potuto fiutare i suoi “protetti” dovunque?
    Scorse con la coda dell’occhio un altro spettatore incombente sulla scena: era uno dei numerosi scudieri degli altrettanti cavalieri destinati a essere disarcionati da suo padre nei tornei di quei giorni. Lorent era il suo nome, numerosi i nomignoli: “Bicchierino”, “Fondo di Barile”, “Mangia Cani”…era più grande di Tym, un tipo tetro che sembrava menare. Non che Tym non lo temesse, Tym non teme alcun essere vivente, però riconosceva che c’erano bersagli migliori per i suoi scherzi…solitamente.
    Hey-psst! -chiamò dall’alto del suo albero - Che c’è Bicchierino? Ti piace guardare la Largent sculacciare i ragazzini? - bisbigliò facendo la linguaccia allo scudiero. Doveva solo provarci a raggiungerlo: nessuno si arrampicava meglio di Tym Ball.
    Non perse ad ogni modo tempo a osservare la reazione di Bicchierino (nomignolo che aveva desunto innocentemente dalle conversazioni di suo padre a proposito degli altri cavalieri venuti a spezzare lance per la Festa), con le scarpette puntate sul tronco dell’albero scivolò giù a terra, si ripulì i pantaloni giallo canarino, e marciò, dritto come piaceva alla Largent, in scena.
    Eccoti! Ti nascondevi? - pausa, piroetta, inchino, sorriso - Buongiorno madama Largent – pausa, piroetta, pugni sui fianchi - Mi devi ancora quella Stella di Rame sai? - asserì sicurissimo di se squadrando il ragazzo. Doveva essere anche lui qualche anno più grande di Tym, ma la cosa non lo impensieriva. Si era perso il suo nome, ma guardando la spilla immaginò una miriade di nomignoli da poter usare.
     
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    Una severa voce femminile interruppe bruscamente il riposo del piccolo Pescespada. Alzando il busto da terra portò lo sguardo verso la figura strofinandosi gli occhi ancora mezzi chiusi. Era forse una dea quella davanti ai suoi occhi? Neanche questa vista era possibile vederla a Punta Acuminata, dove il titolo di donzella più bella del castello poteva esser dato al più rozzo dei soldati. Incantato dai lineamenti armoniosi della donna Eivor non fece quasi attenzione alle parole della stessa, liberandosi ad uno sbadiglio ed un tirare le braccia al cielo per stiracchiarsi.
    Prendendo pienamente coscienza si ritrovò la donna angelo ad un palmo dal naso intenta nell'aggredire il piccolo spillo donatogli dal padre. Questa volta però le parole erano arrivate chiare ed amare nell'orecchio del giovane, parole così antipatiche che cozzavano con l'aspetto della donna. Eivor, per quanto si possa prender con le pinze l'attrazione che un bambino della sua età potesse provare, si stava infatuando a primo acchito. Timidamente la fissò in volto per poi girarsi di scatto dandole le spalle chiudendosi le mani al petto proteggendo il suo spillo. »Il pescespada è un orgoglioso alfiere dei Draghi, non è misero...« disse provando disagio più per essere al cospetto di un'incantevole donna che per i suoi modi altamente bruschi di dir le cose, l'ingenuità del piccolo Eivor non aveva ancora svelato che dietro le parole della dama si celasse un concentrato di cattiveria. »Posso regalartelo se ti piace!« Un sorriso nacque sul volto del piccolo Bar Emmon che staccandosi la spilla dall'abito lo allungò verso la donna. Quello era il suo regalo per la Lady che aveva appena deciso di sposare. Fu amore a prima vista per la mente di un fanciullo che da lì a qualche anno sarebbe entrata nella fase dell'adolescenza. Quelli erano i primi albori di una sessualità nascente nel modo più ingenuo ed innocente possibile.
    Un'altra dose di puro veleno fu sputata dalla bocca dell'appena presentatasi Dama Largent. Eivor presentava un'espressione perplessa in volto, perché lo stava rimproverando? Quei giardini erano aperti a tutti no? Ci sarebbe stato un cancello a proibirne l'accesso altrimenti, doveva essersi sbagliata, se Eivor glielo avesse spiegato per bene avrebbe sicuramente capito e si sarebbero sposati lì stesso. »Dama Largent... io non ho fatto niente di male. Sono sicuro che sia tutto un malinteso, anzi! Perché non si siede qui con me, l'erba è fresca e soffice.« La piccola mano del Bar Emmon dava colpetti all'erba alla sua destra invitando la sua futura sposa a sedersi accanto a lui per godersi la splendida giornata in quello splendido luogo.
    I suoi progetti andarono in frantumi quando la dama gli diede l'ordine di mettersi in piedi, con tanto di imprecazioni verso Punta Acuminata. Casa sua non era di certo la più lussuosa e ospitale delle corti, ma non era neanche una topaia per vagabondi. Quelle ultime frasi lo avevano ferito e pian piano Eivor iniziava a ragionare sulla natura delle parole di Lady Fiona.

    Nel mentre una figura cupa e silenziosa sembrava parlare con un albero, o qualcuno sopra l'albero. »Chi è quello?« Chiese perplesso indicando il giovane alla dama. »Non sarà mica qualche pazzo... Io son pronto a difenderla con la vita Dama Largent!« Gonfiando il petto e mettendosi davanti alla dama Eivor era pronto a menar le mani con quel mascalzone che voleva portargli via Lady Fiona. Il ragazzo era visibilmente più grande, più alto, più forzuto ma in quel piccolo corpicino del pescespada risiedeva un cuor di leone.

    Ed ecco infine come una terza figura si palesò al cospetto del prato, il giardino stava diventando affollato ed Eivor voleva solo stare con la sua amata Lady Largent. Questa volta però il volto non era nuovo, non aveva avuto modo di interagire con il piccolo arrampicatore ma ne aveva incrociato gli sguardi tra i corridoi intento a sfoggiare una pallacorda ridacchiando di gusto e vantandosi del padre. Anche Eivor avrebbe voluto vantarsi di suo padre ma la sua natura introversa gli avrebbe consigliato modi meno teatrali per farlo. »Che ci fai qui pallacorda? E chi è quel ragazzo con cui parlavi?« Sbuffò infastidito Eivor incrociando le braccia e lanciando occhiatacce ai due intrusi. Non avendo avuto modo di conoscere il nome di quel bambino tutto pepe gli affibbiò al volo il primo nomignolo che gli venne in mente, d'altronde la racchetta di quel suo giochino la si poteva veder sbucare dalla tasca delle sue braghe »Mi dispiace ma Dama Largent ha detto che è vietato entrare nei giardini, non potete stare qui! Diglielo anche tu Lady Fiona.« Sentenziò il Bar Emmon aggrappandosi alla veste della donna al suo fianco. Eivor cercava in vano un'alleata in quel prato, voleva solamente rilassarsi sotto l'albero da solo da buon solitario qual era. L'unica presenza benvenuta era l'appena conosciuta Lady Fiona Largent, la donna più bella che avesse mai visto.


    -805 parole
    La sindrome di Stoccolma verso Lady Fiona è la ciliegina sulla torta!
     
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    Lady Fiona Largent
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    Fiona iniziava a sentire un fastidioso cerchio alla testa che ben presto sarebbe divenuto una pulsante emicrania; si rigirò tra le dita la spilla del ragazzino che non aveva evidentemente alcun reale valore. Il Bar Emmon non sembrava però aver capito l'antifona e notò con fastidio crescente che non sembrava intenzionato ad obbedirle, mentre il Parco degli Dei si riempiva di altri mocciosi, ovviamente nessuno con sangue Targaryen nelle vene. Fosse stato per lei sarebbero tornati immediatamente tutti nelle rispettive camere con un bel ceffone sulla guancia, ma quantomeno i due dal sangue annacquato avevano imparato una cosa o due su come si stava al mondo e sapevano comportarsi con il dovuto rispetto verso i superiori.
    Quel moccioso invece...
    ...mancò poco che le facesse venire una sincope.
    "Tu?!??!? Ho sentito bene? Diglielo anche tu?!?" -chi ne conosceva la fredda natura avrebbe immediatamente compreso quando la Largent fosse stata punta sul vivo dal comportamento del ragazzino, e tutta la sua rabbia era ben visibile nella ruga corrucciata che le era apparsa sulla fronte a quel punto.
    "Come ti permetti di rivolgerti alla tua istitutrice in questo modo?"-per un momento il ragazzino terribile e l'altro muto era scomparsi dalla vista di Fiona, tutta concentrata nel riportare in ordine il trambusto che doveva esserci nella mente del moccioso per permettersi una simile colloquialità con lei.
    "Sono una nobile, sono più grande di te e per di più sono una donna! Quando ti rivolgi a me è d'obbligo il voi. Solo da un lattante è accettata una simile mancanza di rispetto e tu avresti dovuto lasciare le poppe di tua madre da un bel po'."-probabilmente il terribile rosso avrebbe approfittato di quel commento per affondare il coltello nella piaga, ma francamente la Dama se ne sarebbe infischiata. Era giunto il momento che quel ragazzino comprendesse il suo posto nel mondo e accartocciasse i suoi sogni di gloria per prendere coscienza della sua posizione.
    "Non riesci a capire..."-la mano della donna stringeva la spilla argentata, mentre i suoi occhi scrutavano la sua preda da capo a piedi. Per quanto si sforzasse di trovare qualche eccezionalità, Eivor Bar Emmon era tutto lì. Lì cominciava e lì finiva.
    "Giri per questa Fortezza come se fosse tua. Mi parli da pari a pari, come se fossi una delle tue sguattere. Mi fai dono di...questa...come fosse la cosa più preziosa al mondo."-a quel punto avrebbe allargato la conversazione ai due ragazzini suoi pari, forse più in grado di Fiona di far capire ad Eivor la situazione.
    "Credi di essere loro pari perché hai un castello ed un nome? Loro un giorno diventeranno cavalieri, alla tua età hanno già intrapreso la strada che li porterà a servire la Corona con onore e prestigio." -chiuse il pugno con la spilla sollevando mento e sguardo. Era una donna all'antica e per lei il cavalierato era ancora un valore saldo a cui aggrapparsi.
    "Tu hai solo il nome dei Bar Emmon dietro cui nasconderti, un nome di ben poco valore oramai." -con meticolosa attenzione uso la mano per piegare il fermaglietto con cui la spilla veniva appuntata gettandola poi a terra con disprezzo.
    "Una casata di codardi." -forse non sarebbe stato molto carino gettare discredito così pubblicamente sui Lord di Punta Acuminata, ma Fiona covava un profondo risentimento per gli incapaci, ed in particolare per Roger Bar Emmon.
    "Ti hanno mai raccontato perché il vostro castello si trova a Punta Acuminata?" -un sorriso sadico era comparso sul volto della donna a quel punto -"Togarion Bar Emmon, il vostro antenato, aveva fondato un piccolo regno sulle rive del Blackwater. Ma i Signori di Duskendale erano troppo influenti, troppo forti, e prima ancora che venisse lanciata una sola dichiarazione di guerra Togarion fuggì nell'Uncino con la coda tra le gambe per sposare la figlia del Massey." -Fiona stava descrivendo un coniglio senza preoccuparsi di nascondere l'opinione che aveva di lui -"E quando anche i Signori della Tempesta gli fecero tremare le gambe, cosa fece il nostro buon Togarion? Aiutò forse il Massey, suo suocero, a respingere l'offensiva? Oh no... no... Togarion scappò ancora una volta rifugiandosi a Punta Acuminata."
    Era ora dell'affondo finale, quello che forse avrebbe riportato il ragazzino alla realtà: "Ecco chi sono i Bar Emmon. Ecco da chi viene il nome che porti tanto orgoglioso appuntato sul petto."

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    Lord

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    Lorent
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    Ignorarlo? Sì, ormai ci aveva fatto l’abitudine e non poteva certo arrampicarsi su quell’albero per buttarlo a terra e suonargli quella strana testa cespugliosa come si doveva. Fece finta di non sentire le parole del ragazzino dalla chioma rossa e continuò ad osservare la dama che rispondeva a tono a quello strano esserino che era apparso in quei giardini. Lorent non doveva trovarsi lì, lo sapeva. Il suo “compito” era quello di assistere quel … quello. Non riusciva nemmeno più a chiamarlo cavaliere perché non lo era e non avrebbe fatto altro che mettersi nuovamente in ridicolo cadendo alla prima giostra. Sospirò mentre il bimbetto si avvicinava piroettando verso la dama e il ragazzino seduto come se fosse a casa sua.

    Col proseguo della scena e l’entrata in campo del … “Se solo quel cialtrone mi avesse insegnato almeno gli stemmi, ora saprei a chi appartiene quel ragazzino”.

    In effetti c’era anche questo da dire. Lorent non era stato nemmeno fortunato in questo. Poteva dire di conoscere solo alcuni stemmi, ovviamente, e quali poteva mai ricordarsi se non di quelli che avevano battuto il cavaliere che seguiva? Si era impresso tutti quei simboli, quegli animali, quelle strane combinazioni di colore solo per elencare quante sconfitte aveva visto nel suo misero destino. Anche sforzandosi non ricordava assolutamente di aver visto uno stemma del genere. Doveva essere un pesce e tra quelli che rivedeva nella numerosa carrellata di scudi, quella strana forma non appariva. Probabilmente non era poi così importante o, di certo, non aveva cavalieri che si battevano per l’onore di quella famiglia. Probabilmente se quel ragazzino avesse avuto una lancia sarebbe stato in grado di battere il suo cavaliere. Alla fine non ci voleva molto per gettare a terra quel ciccione ubriacone che, ora, stava attendendo il suo ritorno nella tenda. Probabilmente stava ancora dormendo. No, non probabilmente, ma certamente stava ancora dormendo.
    Appoggiato, quindi, al parapetto, Lorent ascoltò quello scambio di battute. Era divertente vedere come il ragazzino si ergesse come difensore della fanciulla indifesa contro … uno sgorbietto che piroettava.
    La dama ci stava dando giù pesante e lo stava umiliando di brutto, ma … quel ragazzino sembrava non comprendere appieno il tono infuriato e canzonatorio con cui gli venivano vomitate quelle parole. Povero cucciolo di pescetto.
    Senza volerlo si ritrovò partecipe di una strana lezione di storia e scoprì anche chi fossero i pescetti. Bar Emmon. Che strano cognome.
    “Togarion? Può uno chiamarsi Togarion?”

    Attese che la dama finisse di inveire contro quel ragazzino prima di spuntare fuori e attendere il suo turno. Era stato chiamato in causa dal ragazzino. Voleva solo assistere, lasciare che i cattivi pensieri e le delusioni che lo aspettavano venissero lenite da una scenetta comica, surreale. Purtroppo era stato interpellato e … attese al di fuori del giardino.
    Non voleva interrompere la dama e, come aveva detto la donna stessa, lei era una signora e non poteva essere interrotta. Non sembrava nemmeno la classica lady incapace di difendersi, anzi.

    Quando l’una ebbe terminato di sgridarlo, inutilmente, e l’altro di minacciarlo, Lorent alzò la mano in segno di saluto.

    Vedo che il giardino è già abbastanza affollato e aspetto il mio turno per presentarmi.

    No, il cavaliere avrebbe aspettato. Non poteva andarsene proprio ora che stava arrivando il bello. Cosa avrebbe fatto il ragazzino? Di sicuro Lorent avrebbe cercato di sfruttare la situazione. Andare in aiuto degli assalitori? Aiutare il pescetto per poi “tradirlo”? Uhm … forse la seconda scelta sarebbe stata più divertente.
     
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    Tymonaeon finse sgomento nell’udire il lungo cazziatone genealogico, fece la bocca ad “o” e se la protesse con il dorso della mano. Solo Dama Largent poteva sgridare in un sol colpo anche tutti gli antenati di un ragazzino. Certo, lui discendeva da grandi guerrieri, non pesci codardi; quindi, non lo preoccupava l’idea che la Largent potesse ridirigere su di lui la propria ira.
    Ohi-ohi-ohi! Che stolto a fidarmi, avessi saputo la vile natura dei Bar-emmi vi avrei evitato come il Morbo Grigio! - con la coda dell’occhio scorse il “Terrore dei Cani” Lorent avvicinarsi. - Avevamo scommesso una Stella di Rame che non sareste riuscito a colpire la testa del Paggio con un uovo…e voi siete scappato lasciandomi le uova! - esclamò, mentendo senza pudore. - Se volete provare alla Dama che valete qualcosa… -sussurrò mettendo la mano a bicchiere attorno alla bocca - Dovete accettare la sfida o rendermi il dovuto! - disse porgendoli un uovo di piccione preso da una delle tasche dei pantaloni.
    O siete codardo come gli altri della vostra stirpe?
    Un po' di sano inganno che fa bene ai bimbi. Pardon per l'attesa
     
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