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Libera

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    Il silenzio della cabina del capitano, nuova dimora di Eivor, procurava alle orecchie del ragazzo finalmente un po' di pace, le urla dei prigionieri che stavano venendo puniti ed il cozzare dell'acciaio non si sentivano. I muscoli erano ancora tesi per la battaglia, le mani formicolavano per la foga con cui aveva tenuto la spada fino a qualche minuto prima. Si tolse il soprabito logoro ed inzuppato di rosso per controllarsi eventuali ferite, ma non vi era traccia alcune di queste salvo qualche taglio superficiale qua e là. Quasi gli dispiaceva, avrebbe voluto un ricordo della sua prima battaglia.

    Si avvicinò ad un secchio d'acqua per pulirsi il volto e ciò che vide nel riflesso non gli piacque. Il suo volto, caratterizzato dall'armonia piacevole dei suoi tratti androgini, era stato trasformato in qualcosa di diverso, non si riconosceva. Il pallore della sua pelle era coperto e nascosto dal cremisi, i capelli erano unti di sale e sangue e sembravano paglia al tatto. Quel sangue non era il suo, ma di nove sconosciuti. Li aveva contati tutti, molto difficilmente li avrebbe scordati. Credeva di esser pronto, credeva che uccidere non gli avrebbe fatto molto effetto. Sul momento fu anche vero, mentre la sua lama affondava tra le carni dei rivoltosi non provava niente, in overdose di adrenalina il suo corpo si muoveva da solo e la sua mente era annebbiata dall'istinto selvaggio che in lui aveva preso il sopravvento. Non aveva fatto i conti con il dopo però: Sentiva un vuoto al petto, forse come monito a ricordargli che anche lui in fin dei conti era umano, anche lui avrebbe provato qualcosa rubando le vite di altri uomini. Quanti persone avrebbe ucciso nella sua vita? Avrebbe dovuto pagar le conseguenze dei sensi di colpa ogni volta? L'istinto gli diceva che ci avrebbe fatto l'abitudine, freddo e glaciale com'era anche l'omicidio avrebbe finito per non fargli effetto, lasciandolo nell'indifferenza più totale.

    In quel riflesso non vedeva sé stesso, ma il volto degli uomini che aveva ucciso con una foga e crudeltà riscontrabili solo nelle peggiori delle bestie. Aveva reciso gole, dilaniato crani e aperto budella. Lentamente immergeva la mano per portare l'acqua al viso e pulirlo, e ad ogni immersione il volto riflesso cambiava. Si stava rendendo conto di non essere più un ragazzino, il mondo crudele della vita adulta lo aveva reclamato a sè. Si diede un colpo secco alle gote con entrambe le mani, donando al suo volto nuovamente l'espressione vuota che lo caratterizzava, la sua armatura contro il mondo.
     
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