Ugola d’oro

Libera 1/2 per bollino “canto” nell’albero delle qualità

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    Condottiero

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    Da qualche tempo, Shea aveva trovato rifugio all’interno di un vecchio casolare abbandonato ai margini della città. Dopo svariati anni di vagabondaggio sul ciglio della strada, godendo solo di tanto in tanto della magnanimità di qualche anziano di buon cuore che le aveva aperto la propria casa per qualche notte, era riuscita a trovare una sorta di accordo con due individui della sua stessa specie -senza dimora ed assidui frequentatori di zone dal dubbio gusto- riguardo alla condivisione di un alloggio. Come succedeva spesso quando ci si ritrovava ad un punto cruciale della vita, ogni avvenimento da quell’istante in poi non era altro che un immenso susseguirsi di casualità.
    Pochi giorni prima di incontrare quei randagi, le erano giunte voci che nella vecchia casa di una famiglia ne troppo benestante ne dalle tasche eccessivamente bucate, era sorto un qualche problema che li aveva costretti a migrare altrove. Non si sapeva esattamente quale fosse tale problema, ma quella volta sembrava che i pettegolezzi cittadini non si fossero risparmiati in quanto a fantasia. Così, dopo qualche riflessione e silenziosa pianificazione, aveva deciso di partecipare anch’ella a quella follia rimpolpando un po’ le assurdità che si andava in giro blaterando. Impiantò astutamente il suo piccolo seme che, nel giro di qualche ora, scoprì essere diventato una rigogliosa e robusta pianta. Quel sussurro che aveva lasciato le sue labbra era tornato alle sue orecchie, dopo aver compiuto un immenso giro attorno a Lorath, decisamente potenziato ed ancora più assurdo. Shea stessa rimase stupita ed un po’ orgogliosa del risvolto che aveva preso una semplice storiella gettata lì quasi con leggerezza. Da quel giorno, il motivo ufficiale per cui la famiglia era fuggita a gambe levate da quel casolare, si era condito di una certa tragicità che aveva il potere di spaventare ed affascinare i cittadini di Lorath.
    Si diceva dunque che anni e anni prima, le pareti legnose di quella casa sperduta avessero assistito ad un brutale omicidio/infanticidio/suicidio che ancora al giorno d’oggi infestava l’aria circostante rendendola pesante e quasi palpabile. Demoni mostruosi, talvolta invisibili e talvolta dalle parvenze umane, calcavano i passi degli abitanti ad un solo alito di distanza dalle loro schiene, facendo apparire brividi sulla pelle e riempiendo di panico i cuori. Si diceva che il padre, la cui sete di sangue non si era placata neanche dopo l’uccisione di tutti i componenti della sua stessa famiglia, era rimasto ad infestare quelle stanze per spaventare a morte chi osava oltrepassare quella porta. E chi non osava morire all’istante di crepacuore, sarebbe stato assassinato lentamente nel sonno da un familiare posseduto da quello stesso spirito maligno.
    Shea si rese presto conto che le persone sussurravano quella storia come se fosse l’assoluta verità, tremanti di paura mentre giuravano di non voler mai mettere piede in quel luogo. Con una piccola bugia, diventata presto una grande bugia, si era dunque assicurata che a nessuno venisse in mente di visitare quella casa degli orrori ormai disabitata.
    Comunque, tornando al succo del discorso, il giorno seguente era andata in esplorazione ed era giunta alla conclusione che la casa stava semplicemente cadendo a pezzi ma, con un po’ di lavoro manuale e forza di volontà, quel vecchio rudere sarebbe potuto diventare nuovamente abitabile. Non avendo assolutamente ne le capacità ne la voglia di occuparsene da sola, aveva afferrato due tipi a caso per la strada e aveva proposto loro di diventare una sorta di coinquilini in cambio di aiuto per la ristrutturazione. I due ovviamente, non avendo un tetto sulla testa, avevano accettato. Ed ecco che adesso abitavano assieme senza che nessuno in città lo sapesse.

    In quel momento stava fischiettando un motivetto allegro che le ronzava in testa fin da quando si era svegliata. Prese una pentola e la riempì d’acqua, la pose sul fuoco ed attese fino a che non bollì. Come consigliato dalla matusa che abitava qualche casa sotto alla sua, aveva iniziato a prepararsi quotidianamente un infuso di erbe curative che era solita raccogliere per strada quando andava a trovarla. Quando si era “trasferita” in quella zona, aveva subito avuto il piacere di fare la conoscenza di Helena, un individuo dall’età indefinita e che poteva oscillare trai settanta e i centodue anni, che a quanto pare in gioventù -o in un’epoca precedente, considerando l’aspettò preistorico- era stata una cantante di successo. Era capitato per caso che un giorno Shea stesse cantando mentre passeggiava e, a detta della megera, quel tono soave le aveva fatto ripartire il cuore ormai prossimo a fermarsi. Senza molte cerimonie e con un sorriso privo di denti, l’aveva invitata dentro casa per prepararle un decotto di erbe che le avrebbe “bagnato l’ugola e reso ancor più limpida la voce”. Shea, che mai aveva sentito la parola ugola, aveva annuito istupidita per poi seguirla all’interno di una casa che, esattamente come la vecchia, non mancava ne di antichità ne di stranezze. Con le mani dietro alla schiena e l’aria spensierata, aveva cercato di comportarsi bene e non gironzolare guidata dalla curiosità come una bambina in un negozio di dolci, ma la sua forza di volontà durò un totale di due minuti (il che diciamolo, non era un pessimo risultato considerato il soggetto in esame). Iniziò dunque a vagabondare per le stanze canticchiando una vecchia canzone imparata in taverna e riempiendosi gli occhi di tutti quegli oggetti scintillanti che Helena teneva come decorazione sulle mensole, allungando un dito di tanto in tanto per sfiorarli e rendersi conto che sì, era tutto vero. La vecchia nel frattempo aveva messo a fuoco dell’acqua e preparato un mix di erbe profumate. La stava osservando con occhi calcolatori seppur velati dall’età e, dopo un immemore tempo di contemplazione, aveva battuto le mani in un singolo applauso, spaventandola a morte e ridestandola dalla trance dell’esplorazione. Dopo aver saltato in aria un metro buono, si voltò imbarazzata solo per trovare un’espressione birichina sul volto carta impecorito dell’anziana signora.
    <<Sto preparando un te che farà bene alla tua voce. Canta, canta ancora per me!>>
    E fu così che iniziò una strana e peculiare amicizia tra una giovane ed una vecchia
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