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  1. .
    Ausel Lydden "parlato"
    Ausel Lydden pensato


    Livello: 28
    P.E. base:
    Tratto educativo: Studioso
    Contro-tratto: Impudente

    N° parole: 1017



    Mentre il Tasso era intento a rimuovere le foglie secche e che presentavano un senso di “malaticcio”, una figura, un uomo i mezza età, si avvicinò molto velocemente e aggredendolo in un moto di rabbia, almeno era questo che il Lydden aveva pensato in un primo momento. Quel “Cosa credi di fare” aveva tutta l’aria di essere l’incipit di qualcosa di molto più minaccioso. Dopotutto il Lydden, per quanto stesse cercando di afre qualcosa di buono o tutelare la pianta, stava comunque invadendo una proprietà privata e stava “danneggiando” qualcosa che non gli apparteneva.
    Alla fine, solo quando l’uomo si accorse che il Tasso non stava facendo nulla di male, complice anche la presenza delle foglie secche nella sua mano, la figura divenne meno minacciosa. Il suo tono sembrò addolcirsi e iniziò anche a scusarsi. Sembrava che fosse Ausel la vittima di tutto ciò. Qualcosa spinse l’uomo a parlare e a confidare quello che aveva nel cuore.
    Quella pianta e non solo, era curata dalla nuora, la moglie di suo figlio. In effetti, guardandosi intorno, il Lydden avrebbe potuto notare la presenza di numerose piante che circondavano l’ingresso alla casa e si trovavano in quello che doveva essere il portico d’ingresso. Da uno sguardo più meticoloso e attento, il ragazzo avrebbe potuto notare che quasi tutte le piante avevano qualcosa che le accomunava: quella sofferenza indicata dalla mancanza di acqua.
    Come quelle piante avevano qualcosa che le facesse soffrire, così anche il volto dell’uomo si oscurò parlando di suo figlio, il mercante. Ausel sapeva bene che quello non era uno sguardo di felicità e nascondeva dietro un dolore che poteva comprendere, anche solo in parte.
    "Forse potrei conoscerlo, sono l’apprendista di Merion, il fabbro."
    Merion era più o meno noto e no solo per la sua attività, ma anche per essere stato un ex commerciante di frutta e un noto bevitore. Quella parte finale, se la sarebbe risparmiata volentieri, ma era la verità e il Lydden lo aveva anche notato, all’inizio della sua presenza in quella bottega andando a scovare la sua riserva di alcol.
    Qualcosa nelle parole dell’uomo lo fecero tentennare come era successo prima, e questo capitava spesso quando parlava di suo figlio. Il suo volto era triste e non felice, i suoi occhi tradivano dolore e lacrime e … il Tasso chiese. Il figlio dell’uomo era stato un mercante, ma la sua traversata era stata anche l’ultima. Era morto in viaggio e le circostanze di questa morte non vennero chiarite. Il Lydden, per rispetto del dolore dell’uomo e della memoria del figlio, decise di non indagare oltre. Non sarebbe servito a nessuno dei due andare a specificare eventi che, da un lato avrebbero solo reso il Tasso più edotto sulla fine tragica del mercante, dall’altro lato, avrebbero solo riaperto delle ferite probabilmente non ancora rimarginate.
    Per quello che poteva consolare l’uomo, anche il Tasso aveva perso suo padre e nemmeno poi così tanto tempo prima.
    "Posso solo immaginare il dolore che avete provato e provate."
    Non era la prima volta che il Lydden pensava a suo padre, ma era la prima volta che ne parlava con qualcuno. Non era riuscito a dirlo nemmeno a Merion, non nella verità dei fatti, ma solo che suo padre non c’era più. Onestamente non ricordava nemmeno di avergli detto che il padre fosse morto, ma solo che ad attenderlo vi erano sua madre e sua sorella.
    Senza accorgersene, il Lydden si ritrovò a raccontare di quel dolore.
    "Solo pochi cicli di luna fa ho perso mio padre. E’ stato davvero devastante e, si dice che un figlio è preparato alla perdita di un genitore, ma non è così."
    Continuando a parlarsi, i due riuscirono a dirsi altre cose relative un po’ al figlio e un po’ alla nuora che, come detto prima, si curava delle piante.
    "Le è successo qualcosa?"
    L’uomo raccontò del fatto che, da alcuni giorni, la nuora non si sentiva bene e si era ammalata trascurando la cura delle piante.
    "Spero si riprenderà al più presto."
    L’uomo annuì grato di quelle parole e, dopo averci pensato un attimo, disse che vedeva il ragazzo capace di prendersi cura delle piante. Gli offrì anche qualcosa in cambio se lo avesse fatto.
    "Ne sarei davvero felice."
    Col consenso dell’anziano uomo, il Lydden si mise all’opera andando a curare quelle piante che avevano più necessità in quel momento. Tolse le foglie secche e iniziò ad areare il terreno lì dove era possibile. Poi, pian piano iniziò a dare loro acqua senza riempire troppo il terreno e farle “affogare” con un eccesso di acqua.
    "Verrò anche domani e anche dopo finché vostra nuora non si sarà ripresa."
    Il Tasso, mantenendo la promessa fatta all’uomo, fece come aveva detto. Ogni giorno, finché la donna non si fosse ripresa, andò dall’uomo per annaffiare le piante e prendersene cura. C’erano davvero tantissime belle piante che abbellivano quella casa e il Tasso, quando poteva, non solo le annaffiava, ma le osservava e le disegnava. Una volta l’uomo lo sorprese mentre stava disegnando e, dopo averlo guardato per un po’, gli chiese cosa stesse facendo.
    "Mi piace disegnare e ho iniziato proprio con le piante. Mamma ha sempre avuto una passione per i fiori e le piante e, per stare con lei e non intralciarla nella dedizione che ci metteva, ho iniziato a disegnare."
    Questo era anche il motivo per il quale al Tasso piaceva prendersi cura delle piante e dei fiori e gli era piaciuto quando Ages gli aveva regalato quella piantina da porre nella bottega.
    Qualche giorno dopo, il Lydden vide nuovamente quella donna che aveva notato vicino alle piante prima che, appunto, si ammalasse. Sembrava che la nuora si era ripresa dalla malattia e, se così fosse stato, non sarebbe più stato necessario il suo intervento.
    "E’ stato un piacere prendersi cura delle vostre piante. Se non è troppo, potrei chiedervi un seme o una piccola piantina. Mi piacerebbe portarla a casa."
    Casa? Forse alla bottega che, tutto sommato, stava diventando la sua casa.
  2. .

    Lorent
    il Paggio




    N° parole: 581




    Ignorarlo? Sì, ormai ci aveva fatto l’abitudine e non poteva certo arrampicarsi su quell’albero per buttarlo a terra e suonargli quella strana testa cespugliosa come si doveva. Fece finta di non sentire le parole del ragazzino dalla chioma rossa e continuò ad osservare la dama che rispondeva a tono a quello strano esserino che era apparso in quei giardini. Lorent non doveva trovarsi lì, lo sapeva. Il suo “compito” era quello di assistere quel … quello. Non riusciva nemmeno più a chiamarlo cavaliere perché non lo era e non avrebbe fatto altro che mettersi nuovamente in ridicolo cadendo alla prima giostra. Sospirò mentre il bimbetto si avvicinava piroettando verso la dama e il ragazzino seduto come se fosse a casa sua.

    Col proseguo della scena e l’entrata in campo del … “Se solo quel cialtrone mi avesse insegnato almeno gli stemmi, ora saprei a chi appartiene quel ragazzino”.

    In effetti c’era anche questo da dire. Lorent non era stato nemmeno fortunato in questo. Poteva dire di conoscere solo alcuni stemmi, ovviamente, e quali poteva mai ricordarsi se non di quelli che avevano battuto il cavaliere che seguiva? Si era impresso tutti quei simboli, quegli animali, quelle strane combinazioni di colore solo per elencare quante sconfitte aveva visto nel suo misero destino. Anche sforzandosi non ricordava assolutamente di aver visto uno stemma del genere. Doveva essere un pesce e tra quelli che rivedeva nella numerosa carrellata di scudi, quella strana forma non appariva. Probabilmente non era poi così importante o, di certo, non aveva cavalieri che si battevano per l’onore di quella famiglia. Probabilmente se quel ragazzino avesse avuto una lancia sarebbe stato in grado di battere il suo cavaliere. Alla fine non ci voleva molto per gettare a terra quel ciccione ubriacone che, ora, stava attendendo il suo ritorno nella tenda. Probabilmente stava ancora dormendo. No, non probabilmente, ma certamente stava ancora dormendo.
    Appoggiato, quindi, al parapetto, Lorent ascoltò quello scambio di battute. Era divertente vedere come il ragazzino si ergesse come difensore della fanciulla indifesa contro … uno sgorbietto che piroettava.
    La dama ci stava dando giù pesante e lo stava umiliando di brutto, ma … quel ragazzino sembrava non comprendere appieno il tono infuriato e canzonatorio con cui gli venivano vomitate quelle parole. Povero cucciolo di pescetto.
    Senza volerlo si ritrovò partecipe di una strana lezione di storia e scoprì anche chi fossero i pescetti. Bar Emmon. Che strano cognome.
    “Togarion? Può uno chiamarsi Togarion?”

    Attese che la dama finisse di inveire contro quel ragazzino prima di spuntare fuori e attendere il suo turno. Era stato chiamato in causa dal ragazzino. Voleva solo assistere, lasciare che i cattivi pensieri e le delusioni che lo aspettavano venissero lenite da una scenetta comica, surreale. Purtroppo era stato interpellato e … attese al di fuori del giardino.
    Non voleva interrompere la dama e, come aveva detto la donna stessa, lei era una signora e non poteva essere interrotta. Non sembrava nemmeno la classica lady incapace di difendersi, anzi.

    Quando l’una ebbe terminato di sgridarlo, inutilmente, e l’altro di minacciarlo, Lorent alzò la mano in segno di saluto.

    Vedo che il giardino è già abbastanza affollato e aspetto il mio turno per presentarmi.

    No, il cavaliere avrebbe aspettato. Non poteva andarsene proprio ora che stava arrivando il bello. Cosa avrebbe fatto il ragazzino? Di sicuro Lorent avrebbe cercato di sfruttare la situazione. Andare in aiuto degli assalitori? Aiutare il pescetto per poi “tradirlo”? Uhm … forse la seconda scelta sarebbe stata più divertente.
  3. .

    Lorent
    il Paggio




    N° parole: 686


    Lorent doveva essere abituato a quell’accoglienza eppure, ogni santissima volta, sentiva una rabbia partire dal centro dell’addome e irradiarsi al cuore, alla gola e agli occhi. Era così ingiusto che dovesse subire tutto quello. Era da diversi anni che aveva rinunciato al suo cognome promettendosi di “recuperarlo” solo quando sarebbe diventato un vero cavaliere. Si allenava, da solo, ogni giorno cercando di maneggiare al meglio le armi consumate dal tempo e dall’incuria del loro proprietario, quella sorta di cavaliere che doveva servire. Odiava il suo ruolo e non era un mistero. Era stato così felice quando suo padre gli aveva prospettato quella strada. Avrebbe iniziato come paggio, poi, se avesse avuto fortuna e il suo mentore lo avrebbe ritenuto opportuno avrebbe potuto curare lo scudo e l’armatura del cavaliere stesso e, infine, se gli dei lo avessero voluto, diventare cavaliere. Era consapevole che gli sarebbe servito tantissimo tempo, molto tempo, forse troppo tempo, ma era felice di poter seguire quella strada. L’impatto a pelle con quel cavaliere non fu dei migliori. Si disse che le prime impressioni a volte non erano veritiere e che bisognava prima darsi del tempo. Se ne diede troppo di tempo e ciò che imparò da quel presunto cavaliere, era che, forse, un tempo lo era davvero stato. Quel tempo, però, era passato.
    Lorent si trovava ad Approdo del Re per la festa dei Sette, una celebrazione che vedeva anche diversi cavaliere prendere parte ai giochi indetti ai vari aspetti dei Sette. Da quando seguiva quel cavaliere non conosceva cosa volesse dire fare un ingresso trionfale. Aveva assaporato solo la vergogna e l’imbarazzo anche perché non mancavano quei commenti così vili che gli facevano rivoltare le viscere. Era consapevole che quel cavaliere non avrebbe mai concluso nulla ovunque sarebbe andato se non suscitare ilarità nei presenti e in coloro che lo guardavano. Era stata questa cognizione di causa a spingere Lorent ad essere diverso da lui. Lo seguiva solo perché doveva e … beh, perché quell’uomo gli permetteva di accedere in luoghi dove non sarebbe potuto entrare. Lo aveva seguito in diverse corti assistendolo e porgendogli le varie aste o lance che fossero “cortesi” o meno. Sapeva già come sarebbe andata a finire la giostra e ogni volta i suoi pronostici non vennero delusi. Quel cavaliere a stento superava il primo giro di giostra prima di ritrovarsi col sedere a terra.
    Nonostante tutto, però, quegli intermezzi gli fruttavano alcune conoscenze. Poteva parlare con altri cavalieri degni di quel nome, apprendere qualche colpo, allenarsi con gli altri paggi e sperare che prima o poi qualcuno gli desse la possibilità di lasciare quell’uomo. Finora ciò non era successo, ma non poteva arrendersi, giusto?
    Come detto, Lorent si ritrovò a subire nuovamente quell’accoglienza che gli veniva riservata ogni volta che lo si vedeva in compagnia di quel cavaliere. “E’ arrivata la balia di Ser Boccale” oppure “Hai già lucidato il calice di Ser Boccale?”
    Se quel cavaliere avesse usato la spada come sollevava i calici, sarebbe stato il miglior spadaccino dei Sette Regni.
    Lorent era riuscito a non inveire contro quelle guardie. Aveva imparato a sue spese che era inutile replicare e l’unica cosa da fare era tirare dritto e far finta di non sentire ingoiando l’acido che gli saliva fino in gola. Se la sarebbe presa col primo ragazzino, o generalmente cane, che gli avrebbe intralciato il cammino, come spesso accadeva.
    Stava attraversando quel sentiero della Fortezza Rossa che costeggiava i giardini reali. Quel cavaliere lo attendeva e già immaginava quale fosse l’incombenza: trovare delle aste per la giostra o cercare, inutilmente, di riparare lo scudo martoriato. Qualcosa, però, catturò la sua attenzione. Una lady stava parlando con un ragazzino che si era seduto sotto un albero. Sembrava non arrabbiata, ma … infastidita da quel tipo e dai suoi modi, nonché dal suo stesso esistere. Poteva rimanere ad osservare il tutto e cercare di capire chi fossero. Dopotutto se quel ragazzo poteva aiutarlo a eliminare quella strana sensazione di acido e di frustrazione accumulata, perché farsi sfuggire l’occasione? Forse, un cane randagio si sarebbe risparmiato dei calci o delle pietre lanciategli dietro quella mattina.
  4. .
    Ausel Lydden "parlato"
    Ausel Lydden pensato


    Livello: 27
    P.E. base:
    Tratto educativo: Studioso
    Contro-tratto: Impudente

    N° parole: 560


    L’incontro con il Magistro Leniar non era terminato senza conseguenze. Il non avergli dato un nome, il suo reale nome, aveva generato dei dubbi nell’uomo che, nonostante lo avesse rilasciato, non si sarebbe mai fidato di lui. Non che ad Ausel interessava la fiducia di quell’uomo, aveva altre mire, ma sentirsi pedinato non fu affatto piacevole. Prima di raggiungere il luogo dell’incontro, però, il Tasso si diresse verso casa, la dimora di Merion, il mercante, l’uomo che gli aveva fornito vitto e alloggio nonché un mestiere in quelle lande ostili.
    Non riuscì a lavorare molto ai suoi progetti e faticò anche a prendere sonno una volta cenato e raccontato cosa aveva chiesto il magistro al mercante. Non si sarebbe aspettato nulla di diverso da Merion che conosceva una parte della storia del Lydden senza entrare troppo nei particolari. Sapeva che era stato allontanato dalla sua terra di origine, ma non conosceva il reale nome del ragazzo così come non conosceva la famiglia e il perché fosse stato allontanato. Poteva sospettare, ma non conosceva i fatti.
    Non si scompose nemmeno quando il ragazzo gli raccontò del fatto di sentirsi seguito o che qualcuno sembrava pedinarlo: Merion disse che era normale. Il magistro non si fidava di lui e voleva una sorta di prova di ciò che gli aveva detto. Era reale il suo lavoro nella bottega? Davvero ignorava l’esistenza di quella donna e dei suoi traffici? Di conseguenza lo avrebbero seguito per alcuni giorni e il ragazzo avrebbe dovuto fare come se nulla fosse. Continuare la sua vita senza stravolgerla solo perché sospettava o aveva visto qualcuno seguirlo. Cambiare le sue abitudini, anzi, avrebbe avvalorato la tesi del Magistro e avrebbe generato ulteriori dubbi che si sarebbero sommati a quelli che l’uomo già aveva sul suo conto.

    Il pomeriggio, quindi, passò movimentato e il riposo tardò ad arrivare. Il tramonto si sarebbe affacciato da lì a pochi minuti e muoversi a quell’ora per fare un giro per la città non era certo ciò che si sarebbero aspettati da un apprendista. Avrebbero visto, però, che il ragazzo avrebbe parlato con lo stesso uomo che lo aveva consegnato e questo poteva essere un bene per lui, no? Era stato tutto un malinteso.
    Inoltre il ragazzo voleva anche sapere come stesse Robert. Lo aveva lasciato intontito all’interno di quel palazzo e quando venne rilasciato non aveva idea di dove lo avessero portato e quali fossero le sue condizioni.

    Il percorso per raggiungere il luogo dell’incontro era abbastanza arzigogolato e passava attraverso alcune piazzette dove si affacciavano coloro che già stavano iniziando a rimuovere la mercanzia. Le strade non erano sgombere e i lavoratori della giornata stavano già correndo chi a destra e chi a sinistra per lasciare il loro posto di lavoro, che fosse una bottega, il mercato o il porto stesso dove avrebbero aiutato, al sorgere del sole, a scaricare la merce dei pescatori di ritorno dalla pesca notturna.

    Raggiunto il luogo dell’incontro, il sole stava inabissandosi proprio in quel momento dietro le pianure alle spalle della città. Il Timone d’Oro non era un luogo frequentato dal ragazzo e non sapeva nemmeno chi avrebbe trovato al suo interno oltre al fantomatico rappresentante della città.

    Ausel, iniziò a guardarsi intorno alla ricerca della persona che lo aveva invitato e, eventualmente del suo leone bianco, elemento che lo avrebbe reso visibile al primo sguardo.



    Modificato il corpo del testo in modo da parlare del tramonto e non dell'alba. Per il titolo del post, mi affido a un moderatore.


    Edited by -IngegnI- - 26/2/2023, 16:02
  5. .
    Ausel Lydden "parlato"
    Ausel Lydden pensato


    Livello: 26
    P.E. base:
    Tratto educativo: Studioso
    Contro-tratto: Impudente
    Tratto: Leone Ruggente Livello 2 (attivazioni: 3/3)



    N° parole: 897



    La presa del Tasso sulle candide braccia della donna dalla chioma argentea non fu violenta, anzi. Cercò di non farle male in quel gesto raggiungendola e inducendola a voltarsi per parlare con lui, almeno per cercare di spiegare cosa facesse in un luogo del genere se ciò non era lo spettacolo a cui ambiva. Il suo sguardo, poi, sembrava voler dire qualcosa senza che il Lydden fosse in grado di comprenderne appieno le varie parole che componevano quella frase non detta.
    Poi la sua bocca si aprì permettendo l’uscita di parole logiche, oscure, ma comprensibili. Poi ciò che sembrò essere oscuro divenne chiaro come la luce del sole. La donna era lì per una semplice missione, semplice per modo di dire, in quanto scelta dal destino, almeno questo voleva far intendere al suo interlocutore, per seguire la persona con cui era legata nella disperata ricerca di fuggitivi del continente occidentale.
    Quando il destino gioca davvero un brutto scherzo.
    Ausel era una di quelle persone che la donna stava cercando e senza nemmeno battere ciglio si era presentato a lei, catturato da una rete magica invisibile. Come era strana la vita. Lui voleva a tutti i costi fuggire da un potenziale inseguitore e il destino faceva in modo che fosse lui stesso, il fuggiasco, a finire tra le braccia del ricercatore.
    Non riuscì a dire granché, anche perché era in pieno panico. Lasciò la presa che aveva sul braccio della donna per fare un passo indietro. Se quella “gentile” signora era alla ricerca di fuggitivi, allora avrebbe potuto non solo catturare il Tasso, ma anche altri nascosti a Myr, come i soldati che il Tasso aveva indirizzato al porto a trovare un lavoro, il vecchio che era sbarcato e che aveva perso tutto per attraversare il Mare Stretto o lo stesso Aiden. No, quella donna doveva andarsene da Myr il prima possibile.

    Poi dalla pedana dove si era tenuta l’asta l’uomo, il banditore, urlò a squarciagola qualcosa e un nome. Ausel si voltò in quella direzione vedendo il funzionario di Myr, così si era presentato, con il suo grosso animale guardare verso la sua direzione. Il banditore, con un gesto eloquente, stava puntando il dito verso la ragazza dalla chioma argentata e, di conseguenza, verso di lui.
    Come colpita da un dardo, la ragazza strabuzzò gli occhi incredula per poi avvicinarsi al Lydden e sussurrare alcune parole. Poco prima aveva detto di essere alla ricerca di fuggiaschi e ora dichiarava di essere lei stessa ad essere inseguita per aver acquistato degli schiavi.
    "Cosa ci guadagnerei ad allontanare il cane di Braavos che vuole catturare il gatto dell’Occidente alla ricerca di topi fuggiaschi qui a Myr?"
    Era alquanto singolare la situazione e se la donna gli avesse dato delle buone cause avrebbe provato a dire qualcosa a quell’uomo che s stava avvicinando a passo svelto.
    In un batter d’occhi quell’uomo e la sua bestia si avvicinarono al Tasso e alla donna per puntare prima gli occhi sul ragazzo e squadrarlo dalla testa ai piedi e poi sulla donna appellandola come Daphne dopo averle dato della schiavista. C’erano diverse cose che non tornavano. La donna non era stata sincera con il Tasso, questo era ovvio, e aveva detto delle balle che, in fin dei conti, potevano essere giustificate quando si viene inseguiti e si vuole vendere cara la pelle. Quel fantomatico funzionario, però, stava dicendo altro. Gli schiavi, quindi, erano stati comprati a Braavos o la pratica era stata perpetrata nel Continente Occidentale? Come membro di una delle famiglie di Westeros il Tasso era consapevole di quanto fosse malvista e contro la legge lo schiavismo in quelle terre e, forse, anche per tale concezione inculcatagli da bambino, ripudiava quella forma di mercato a Myr e non solo cercando, quando possibile, di evitare che persone del continente occidentale divenissero schiavi, vedi, appunto, i soldati indirizzati al porto e non dove voleva Thoros o lo stesso Aiden. Avesse potuto di più, avrebbe acquistato tutti, ma non disponeva di tali risorse finanziarie e di alloggi dove poterli ubicare.

    Stava ascoltando quella diatriba verbale quando l’animale accanto all’uomo ringhiò profondamente. Ausel si voltò per osservare la bestia e notarne la bellezza e l’eleganza nonostante fosse ancora un esemplare giovane.
    Non era permesso avvicinarla, era chiaro, ma il Lydden avrebbe voluto tanto osservarla meglio.
    Poi l’uomo gli diede la parola.

    "Io?" Disse Ausel cadendo dalle nubi. Era attratto da quell’esemplare e lo stata ammirando in ogni suo aspetto. Non sarebbe stato possibile osservarlo a Westeros e difficilmente avrebbe potuto avere la fortuna di vederlo a Myr. Era uno spettacolo che non voleva perdersi.
    "La signorina stava scivolando durante l’asta e l’ho soltanto soccorsa. Non la conoscevo e non sapevo di cosa fosse accusata."
    Stava dicendo il vero e se il tizio gli avrebbe creduto bene, altrimenti avrebbe detto la stessa cosa al Magistro se questa era la volontà del funzionario di Myr.
    Più in là, Robert era ancora riverso con il volto a terra. Visto che la donna sarebbe stata condotta dal Magistro e il Lydden non aveva poi tutta questa voglia di essere interrogato a sua volta, disse al ragazzo con l’hrakkar al seguito "Se non vi spiace, se devo seguirvi, vorrei prima prestargli i primi soccorsi." disse indicando Robert.
    Per quanto fosse uno schiavo, non poteva certo restare a marcire lì a terra senza che nessuno provasse almeno a toglierlo da quella posizione.

    Per me va bene seguire Leonard dal Magistro o restare a prestare i primi soccorsi a Robert.
  6. .
    Ausel Lydden "parlato"
    Ausel Lydden pensato


    Livello: 26
    P.E. base:
    Tratto educativo: Studioso
    Contro-tratto: Impudente
    Tratto: Leone Ruggente Livello 2 (attivazioni: 3/3)



    N° parole: 1036


    Quella mattina, il Tasso, accompagnato dall’ex mercante Merion, si erano diretti verso la Luna Nera per due motivazioni distinte ma molto unite tra loro.
    Il Tasso era prossimo a un ulteriore acquisto per poter incrementare il suo gruzzoletto di monete e riuscire, con l’aiuto anche di Merion, a ingrandire quella bottega e provare a reclutare più consegne. Perché alla Luna Nera e non ai mercati generali dove di solito faceva acquisti? Perché Merion aveva la necessità di andare in quel luogo e voleva portarsi il ragazzo come la stessa Ages gli aveva consigliato di fare. Da quando il ragazzo aveva iniziato quel lavoro quasi per scommessa a casa del saggio Lhosthak egli aveva portato alcuni piccoli frutti, come l’arrivo di quel soldato o altri piccoli lavoretti che permettevano alla bottega di sopravvivere. Non erano somme ingenti quelle che entravano nelle casse dell’ex mercante e della sua famiglia, ma erano pur sempre monete, come una volta Ages aveva fatto notare.
    Prima di comprare, però, Ausel avrebbe dovuto accompagnare Merion a un incontro di lavoro alla Luna Nera dove l’uomo avrebbe dovuto parlare con un vecchio signore dai modi gentili, un amico del padre di Ages, quando ancora la bottega poteva vantare un certo nome. Ausel aveva visto quell’uomo dai modi gentili una mattina quando la stessa donna glielo aveva presentato chiedendo al ragazzo di mostrargli i disegni che aveva fatto. Il Tasso aveva acconsentito ottenendo da quell’uomo anche un mezzo complimento per poi non vederlo più così spesso.
    Come mai alla Luna Nera? Perché, a detta di Ages e Merion, quello era il luogo dove si facevano gli affari migliori.

    La passeggiata per raggiungere quel luogo non fu molto proficua di parole, anzi. Merion disse poco o nulla finché il ragazzo non gli fece la domanda principale.
    "Ages mi ha detto di portare i disegni e … si sa già più o meno cosa vuole commissionarci o è una sorpresa come quel legno puzzolente che proveniva da Qarth?"
    Ausel si stava riferendo al legno nero che il sapiente Lhosthak aveva ricevuto da un nobile di Qarth e che aveva consegnato nelle mani della bottega di Ages con l’intento di crearne un’opera unica. Ausel ci aveva lavorato giorno e notte anche con l’aiuto di Merion nel trovare un albero bianco da accostare per creare la statua desiderata.

    La Luna Nera si stagliava davanti a loro. La folla era impressionante come era stupenda quella facciata in mattoni rossi con tutti quei merletti che la sovrastavano. Il piccolo artista che viveva all’interno del Lydden si risvegliava ogni qualvolta vedeva qualcosa che lo stupiva, nonostante fosse l’ennesima volta che la osservava. Era passato per la Luna Nera diverse volte da quando era approdato in quella città e più di una volta si era fermato per disegnarne qualche particolare e imprimerli su i suoi fogli che, ora, stringeva a sé legati da uno spago e un nodo non troppo stretto da rovinare la carta.
    Entrarono ritrovandosi in quella che era la “piazza” più grande della città. Diverse botteghe si affacciavano sulla stessa e numerosi mercanti esponevano la loro mercanzia in un frastuono di voci che si mescolavano e si sovrastavano l’una sull’altra. Chi vendeva qualcosa, chi voleva comprare qualcosa. Era un putiferio che, però, nel suo insieme era davvero magnifico a vedersi. La vita in quella città non era certo stata intaccata da quella che era la guerra del continente occidentale e che aveva portato su quei lidi numerosi profughi. Anzi, aveva incrementato le compravendite di schiavi e di manodopera che, a Myr e nelle altre Città Libere, di certo non mancava, ma sembrava sempre essere carente.

    Merion si diresse verso una parte della piazza, quasi andasse alla ricerca dell’uomo che, ancora non era arrivato. Dalla parte centrale della piazza, un po’ spostata verso la zona dove Ausel e Merion stavano attendendo, un banditore stava mostrando la sua mercanzia. Uomini del continente occidentale, soldati catturati a Lannisport. Ausel si voltò di scatto a sentire tale nome e la sua chioma blu lo seguì in quel gesto. Un uomo col cappuccio venne spinto in avanti per essere mostrato alla folla che si era riunita attorno al palco e quando il copricapo venne tolto, i capelli castano biondi, quelle macchie di peluria sul volto e … quel volto. Qualcosa gli diceva che lo conosceva. A prima vista gli era sembrato familiare e, senza accorgersene, il Tasso si allontanò passo dopo passo da Merion per accostarsi al palco e osservare quel volto. Quegli occhi … non era una sua impressione, conosceva quell’uomo. Dove lo aveva visto?
    Non era mai stato a Lannisport, il porto della citta dei Leoni. Aveva combattuto nella piana, questo sì, ma non poteva essere un soldato che aveva incontrato in quel frangente.
    Come il Tasso era cambiato in quei mesi da quando era stato allontanato dalla sua terra, anche quel soldato lo era, eppure …
    L’asta iniziò e il prezzo dell’uomo iniziò da subito molto alta. Il Lydden, per quanto avesse voluto, non disponeva di una somma così alta e non avrebbe comprato di certo degli schiavi. Al massimo li avrebbe liberati. A differenza del ragazzino che aveva incontrato al porto, quest’uomo era un soldato. Aveva spalle forti e braccia allenate alla guerra e agli sforzi. Sarebbe riuscito a superare le difficoltà e il lavoro nei campi, non come quel ragazzino strappato alla sua famiglia per essere oggetto del piacere di schifosi uomini depravati.
    Un uomo sollevò la mano. Aveva tratti non proprio di Myr visto i suoi capelli lunghi e argentati assieme agli occhi color viola. Era un valyriano? Un Targaryen?
    Figliano come i conigli questi.
    Qualcun altro alzò la mano per aumentare l’offerta. Un uomo dai capelli neri che sembrò parlare con quello dai tratti così diversi dai suoi.

    Non lontano dal Lydden, qualcuno urlò. Era una voce di donna e quando si aprì un piccolo spiraglio, il ragazzo dalla chioma blu riuscì a vedere un leone bianco che camminava appresso a un ragazzo più o meno della sua età, dalla capigliatura scura.
    Voltandosi, il Tasso non riuscì a vedere Merion. Che lo avesse perso?
    I suoi occhi tornarono nuovamente sul potenziale schiavo. Quel soldato.

    Porca miseria. Quello è Robert. Lo pensò, ma non lo disse ad alta voce.


    Non mi sbilancio con le offerte in quanto non so come andrà a finire quella della semi. Potrei non spendere nulla perché l'asta è finita come potrei ritrovarmi a non poter affrontare quest'asta.

    Ho inserito Merion e il vecchio signore. Che la questione possa essere anche proficua? Perché no.
  7. .
    Cosa stesse succedendo in quella palestra trasformata in sala da ballo per l’occasione era un qualcosa che importava letteralmente zero al Lydden. Per lui non c’era altro che il ragazzo biondo vestito di rosso e, sì, ancora gli sguardi curiosi di coloro che non si erano trattenuti nell’etichettarlo durante tutto l’anno. Potevano mai smettere di divertirsi e mostrare la loro “fobia” proprio quella sera? Certo che no.
    Considerando poi la completa mancanza di qualcuno che potesse supervisionare l’evento, era quanto mai scontato che succedesse l’ira di qualunque essere potesse governare le decisioni degli uomini. Che fosse un dio annegato, rosso, arcobaleno o una capra, lì dentro ogni morale precetto stava cadendo a pezzi, come se non fosse mai stato udito. Per il Lydden valeva lo stesso discorso. Non stava dando di matto come alcuni e nemmeno si stava ergendo a modello da seguire come altri suoi compagni. Compagni. Poteva davvero utilizzare quel termine per indicare quegli esseri che per un intero anno si erano limitati a ignorarlo nella migliore delle ipotesi o a divertirsi alle sue spalle? Quanti fogliettini si era dovuto staccare dalla schiena in quei mesi? Quanto si era sentito stupido la prima volta che aveva ricevuto una pacca dietro la schiena? Aveva pensato a quanto fosse strano che qualcuno lo facesse a lui. Poi la rivelazione e la delusione, l’umiliazione di essere stato lo zimbello della scuola. Una marcia della vergogna con quelle sei lettere scritte col rossetto. E i pianti? Uh, un’infinità.
    Quante volte aveva dovuto cancellare le scritte sul suo armadietto? Diventavano sempre più bravi utilizzando prodotti via via più difficili da rimuovere finché si era stancato e si limitava a coprire la scritta con della vernice argentata. Il suo era l’armadietto più lucido e riverniciato della scuola.

    I due si erano concessi solo un ballo e, sul limitare della pista, incontrarono Himra, un idiota che lo apostrofò “cicciottello”. Ausel scosse il capo e guardò Lionel come per dire “che posso farci io”?
    Il Tasso non lo era mai stato eppure, da quando era ritornato dalla gita ad Est, circolava quell’appellativo. Non era mai stato patito per la forma fisica, eppure, per un po’ si era convinto di esserlo dimagrendo prima di rendersi conto di quanto fosse stato un coglione. Si potrebbe dire che i ceffoni di sua sorella ebbero la meglio sulla sua convinzione.

    Parlando e scherzando tra loro i due si allontanarono dalla folla per dirigersi verso una delle uscite d’emergenza della palestra. Lionel gli diede ragione su un punto aggiungendo un ulteriore elemento al mosaico di prima. Cosa voleva fare? Sgattaiolare fuori dalla palestra? In realtà questo era anche un desiderio del Tasso e, pertanto, non si fece prendere dal panico, anzi, incitò il cavaliere assecondando quella sua ricerca di un potenziale fuggiasco.
    "Direi proprio di sì." Disse il Lydden con voce calda e passionale. "Non possiamo certo correre il rischio, no?"
    Pose la sua mano su quella di Lionel ed insieme spinsero la porta permettendo l’uscita di entrambi da quella sala divenuta un’alcova troppo ristretta.
    "Oh, stasera ti stai superando. Non vorrai mica farmi venire il diabete con tutto questo zucchero?" Disse avvicinandosi e schioccandogli un bacio alla luce della luna. L’uscita portò con sé un leggero brivido che, in quel momento, poteva non essere dovuto al cambio di temperatura tra esterno ed interno.
    Il contatto tra le labbra fu ricco di passione nonostante la rapidità del gesto, quasi un antipasto a tutto ciò che quella serata avrebbe potuto offrire ai due.
    "Vediamo un po’." Disse il Lydden una volta staccate le sue labbra da quelle del suo cavaliere. "Da reietto … dove potrebbe andare un altro reietto?"
    I suoi occhi si posarono per un istante nei suoi, immergendosi nelle acque cristalline che gli stessi ricordavano. Gli spogliatoi della squadra della scuola erano troppo vicini alla palestra e il parcheggio era già stato occupato da i soliti vandali. Per fortuna aveva parcheggiato lontano preferendo farsi una bella camminata.
    I laboratori erano da escludere, facile preda di ubriachi e di incivili saccheggiatori. Già immaginava la fine che avrebbero fatto quegli strumenti capaci di ingrandire gli oggetti tramite i loro vetri particolari. E le serre? Facile bersaglio di fumatori dell’ultimo minuto.
    "Qualcosa mi dice che il planetario potrebbe essere aperto." Nel dire quelle parole il ragazzo mostrò una chiave. Far parte dei secchioni, a inizio anno, aveva fruttato diversi privilegi che, via via gli erano stati tolti con la sospensione. Tranne quella chiave visto che nessuno frequentava quelle lezioni.
    Nel caso le porte fossero state chiuse, e dovevano esserle, le avrebbe aperte facilmente.

    A proposito, sua sorella? Doveva avvertirla che … forse, avrebbe fatto tardi. "Solo un attimo che scrivo alla tua ex fiamma e andiamo." Lo disse facendogli la linguaccia. Dallo schermo era possibile notare la destinataria di quel messaggio.

    “Sorellina cara, stasera faccio tardi con tu sai chi. :P :P :P

    Subito ottenne una risposta con tanto di cuore rosso enorme.
    "Andiamo?"
    Il tragitto non fu lungo, anzi. Arrivarono molto facilmente fino alle porte dove lo stesso Lydden dovette aprirle con un giro di mandata. Entrarono e il Tasso si sentì invadere il corpo da una scarica adrenalinica mai provata prima, o almeno, mai così forte. L’oscurità del luogo era perfetta e, chiusa la porta alle loro spalle i due si ritrovarono immersi nel buio con sulle loro teste un cielo stellato parzialmente coperto da un enorme tubo dalla quale era possibile vedere le stelle del firmamento e i cosiddetti Viaggiatori. Quello era il suo posto preferito, il luogo ideale per nascondersi e nello stesso tempo perdersi nei propri pensieri.

    Con un gesto che mai si sarebbe aspettato, il Lydden tirò a sé il Buckwell e lo baciò. Un bacio lungo, pieno, caloroso, forte. Le sue labbra ricercarono quelle dell’amato, la sua lingua quella di lui e le sue mani si poggiarono delicatamente sul suo viso sfiorando i morbidi e lisci capelli biondi.
  8. .
    Una rapida occhiata a destra e a sinistra e … perché si preoccupava tanto del giudizio di coloro che frequentavano quella scuola? Aveva ragione sua sorella.
    Il palco era stato preso d’assalto da un gruppo di novelli Magic Mike che di Myke non avevano nulla né tantomeno di Magic. Inutile dire che da quella postazione poté vedere tranquillamente la correzione delle varie bevande e, beh, senza un bel punch corretto, che festa di fine anno sarebbe?

    Perso in quei pensieri il ragazzo non si accorse di chi si era avvicinato a lui. Ascoltò il suono di quella voce come faceva ormai da diversi mesi e si perse nella persona che stava parlando. Si ritrovò a sorridere senza sapere perché … o forse lo sapeva?
    Oh, ma che bel cavaliere. Disse il Lydden continuando a sorridere e accettando il braccio del ragazzo che lo invitava ad alzarsi e a seguirlo.

    "Quella musica rituale … tanto male non era quando mi hai intasato la chat di video e immagini." Poi guardò ciò che stava succedendo sul palco e … "Non dirmi che preferisci quella mostra di polli allo spiedo lì?"
    I due cavalieri si diressero verso il bordo della pista e Ausel si avvicinò all’orecchio del suo accompagnatore vestito di rosso. "Non so se sia rum, ma le bevande, come da tradizione, sono state corrette."

    Poi quel gesto. La sua mano che sfiorava i suoi capelli biondi, l’indice che giocherellava con una sua ciocca. Una scarica di adrenalina e un brivido percorse la schiena del Lydden che rimase piacevolmente colpito da quella sensazione. Non era la prima volta e non sarebbe stata l’ultima, forse. Aveva ragione sua sorella, doveva fregarsene degli altri e godersi la serata e ciò che gli proponeva la vita.

    "Da un Rappresentante di Classe non ci si aspetterebbero tali giudizi e … sono contento di essere quantomeno decente." Sorrise facendogli la linguaccia. Dirgli che era venuto al ballo solo perché c’era lui sarebbe stato come dichiararsi e … la serata era ancora lunga, no?
    "Credo di essere ancora in punizione se non erro e … Dove sconterò la penitenza questa volta? Devo dire che nell’aula di musica, l’altra volta, è stato … uhm … melodiosamente piacevole."

    Sua sorella voleva sapere se quella sera lo avrebbe fatto … beh … forse non proprio tutto tutto si sapeva.
    "Per me va bene ovunque, questa sera credo che me ne fregherò degli altri."
    Poi guardò in direzione di sua sorella. Lo stava osservando con un sorriso a trentadue denti e stava sollevando entrambi i pollici. Ok, basta indugi.
  9. .
    La serata del ballo della scuola. C’era qualcosa di più … umiliante di un ballo dove si sarebbe eletto un re e una regina per il Tasso? Beh, forse sì, ma in quel caso quella serata era l’apoteosi del disagio che avrebbe provato al solo entrare in quella sala e, pertanto, non ci sarebbe andato, se avesse potuto.
    "Lo farai stasera?"
    Rohanne era entrata nella sua stanza e si era messa a saltare sul letto facendolo sobbalzare.
    "Vai via, che non è serata."
    "Che palle che sei, fratello. Non ti dimenticare che devi accompagnarmi e non ti permetterò di farmi arrivare tardi."
    Ausel sbruffò infastidito guardando la sorella. Doveva accompagnarla visto che, purtroppo, suo padre era venuto a mancare a inizio anno scolastico e non c’era chi l’accompagnasse se non lui. Quel lutto aveva segnato entrambi ed era ancora fresco per essere superato con un battito di spugna, ma Rohanne non voleva perdersi l’occasione di togliersi di dosso quella nomea che l’aveva accompagnata per tutto l’anno. A differenza di Ausel che si mimetizzava bene non dando fastidio a nessuno e limitandosi a studiare e sparire appena la campanella suonava il termine delle lezioni, la rossa aveva avuto diversi screzi.
    "Grazie per avermelo ricordato!" Disse il Lydden volgendo gli occhi al cielo.
    ”Non mi hai risposto. Lo farai?"
    "Che cosa? Dai Rohanne, cresci un po’ e non rompere il cazzo che già sono scazzato."
    "Da quando sei tornato da quella gita a Est sei cambiato."
    "Ancora con questa storia?"
    "Tutti cambiano quando tornano da quella gita e non sei il solo. Pensa al tizio che ti odiava e ora, dopo il suo ritorno, non fa altro che parlare dei Sette Dei. Anche tu sai della maledizione della gita a Est."
    Ausel era visibilmente infastidito.
    "Tu non devi prepararti? Togliti dai piedi, su."

    Ausel attese che la sorella uscisse per prepararsi. Lo fece con tutto il disgusto possibile anche perché non avrebbe fatto altro che annoiarsi a quella festa. Poi il telefono squillò. Il simbolo del messaggio in arrivo e l’immagine del profilo della persona che comparve illuminando lo schermo. Fu un attimo e il Lydden lesse il messaggio.

    "Finalmente sei pronto?"
    Ausel inspirò … meno infastidito. "Sì, andiamo."
    "Fatti aggiustare il farfallino. Sei una vera frana, fratellone."
    Per quanto si rivolgessero parole anche forti, i due si volevano davvero bene.

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    Il Lydden aveva indossato un classico vestito da cerimonia verde scuro con una camicia bianca e un gilettino marrone. Il tutto completato con scarpe nere lucide e un farfallino abbinato al vestito stesso. Rohanne fece un passo indietro e osservò il fratello.

    "Stai davvero bene fratellone."
    "Si, come no. Tu sarai la stella della serata sorellina, sei bellissima, lo dico davvero."
    "Ora che non sei più mestruato, dimmi che non resterai fuori a fare il coglione e che farai il grande passo."
    "Ma la smetti? Ti pare il caso?"
    "Se non lo fai ora, non lo farai più. Papà non c’è più e credi che gli altri non sappiano perché il preside ti ha allontanato da scuola? Lo sanno tutti, quindi che ti frega? Fallo."

    Il percorso dalla loro casa alla Gottademia non fu molto lungo e i due ebbero l’occasione di parlare un altro poco.
    "Posso dire che potevi scegliertelo meglio?"
    "Perché?" Disse il Tasso sorridendo.
    "Lo sai che mi gironzolava attorno? Immagino lo ha fatto per … conoscere te. Sono stata fiendzonata? No, forse no, ma ti rendi conto cosa si è inventato?"
    "Beh, strano, no?"
    "Ovvio. Bah, che ci vedi in quel platinato lo sai solo tu."

    La macchina di famiglia non era all’altezza di quelle dei più “vip” della scuola e il ragazzo la parcheggiò lontano dal parcheggio accontentandosi di un posto lungo la strada. Avrebbero dovuto fare un po’ di strada a piedi, ma ciò non turbava nessuno dei due. Meglio evitare di dare altri spunti di derisione che … appunto, non mancarono.

    Hai dato il culo per comprare quel vestito, sfigato? O l’ha dato la tua bella sorellina? Beh, un’entrata e una presentazione migliore non potevano riceverla.
    "Bello no? Dai, ignoriamoli e fai la tua bella entrata, sorellina."
    I due si avvicinarono all’ingresso e ricevettero altri “complimenti” come quelli di prima che … giustifichiamoli con l’alcol.

    Dall’interno arrivava una musica che poteva solo essere dell’Est. Se Rohanne si stava tappando le orecchie, Ausel non era poi così disturbato nonostante avesse dovuto disquisire contro Qohor. Aveva un suo fascino dopotutto.
    Poi la musica cessò per dare spazio al discorso di Eldridge e al suo nuovo singolo. Il tizio non si era curato minimamente delle voci che avrebbe suscitato ottenendo l’ammirazione di Rohanne e, un po’ di invidia da parte di Ausel.
    "Solo tu ti fai troppe pippe mentali."
    "Beh, così non ci sarei mai venuto però."
    "Saresti stato comunque più bello di quel viso da cadavere secondo me."
    Ausel distolse lo sguardo per scuotere il capo in direzione di sua sorella e dopo averla accompagnato verso le sue amiche, il Tasso si diresse verso le gradinate, il luogo ideale per gli sfigati, no? Bisogna anche dire che le gradinate erano il luogo ideale per avere una panoramica generale di ciò che succedeva attorno e nella pista.
  10. .
    Ausel Lydden "parlato"
    Ausel Lydden pensato


    Livello: 22
    P.E. base:
    Tratto educativo: Studioso
    Contro-tratto: Impudente




    N° parole: 1432



    Era strano come quel posto portasse l’uomo a continui cambi di pensiero e di comportamento. Poco prima avrebbe pagato per far star zitti coloro che urlavano e si sbracciavano contro le sbarre e le porte di legno per poter uscire o avere ancora una voce prima della loro sentenza. Ora, con tutto quel silenzio calato durante la notte, avrebbe voluto tanto sentire una sola voce spezzare quella monotonia e dargli una certezza che non fosse l’unico in quella zona.
    Le prigioni. Solo adesso Ausel poté comprendere quella che era la sensazione che tutti i prigionieri provavano quando venivano rinchiusi in cella. Non solo l’umiliazione di essere segregati in un posto del genere, ma anche un continuo lavoro mentale per evitare di seguire l’una o l’altra voce.

    Era seduto sull’unica panca che la cella gli riservava con quel foglio di brutta copia in mano. Aveva avvisato casa di ciò che era successo? Non proprio e forse era la delusione a lacerargli l’animo, quella sensazione di aver fallito anche in una cosa così semplice, come lo stare zitto e non esporsi per gli altri.
    Rohanne glielo aveva detto e lui, nulla, imperterrito.
    Forse doveva davvero comprendere cosa volesse dire essere un perfetto nessuno per sentirsi un tutt’uno con gli altri. Quante volte aveva sentito dire, anche a Deep Den, che non sempre bastavano le parole. Che non sempre i popolani venivano ascoltati. Lui non era un popolano eppure, eppure aveva provato su di sé il peso del potere altrui.
    Di certo stava imparando molte cose e altre ne avrebbe apprese, forse. Non sapeva cosa il futuro gli riservasse e di una cosa era certo. Non sarebbe tornato a casa o in quel continente svolgendo uno dei compiti che Varys o lo stesso re gli avrebbero affidato. Non era lui a dover chiedere scusa.

    In quel silenzio, subito i passi di qualcuno che si avvicinavano si fecero sempre più udibili e chiari. Quegli stessi passi, accanto ad alcune porte, riaccendevano quella speranza o quella voglia di farsi sentire e se prima il piano era stato silenzioso, pian piano diverse voci iniziarono a farsi più forti e più vive. Chi urlava di voler uscire da li, chi chiedeva clemenza e chi malediva il re e la sua corte.
    Poi c’era Ausel che, nella sua cella, attese in silenzio l’avvicinamento del calpestio e, probabilmente, il suo andare avanti oltrepassando la sua dimora notturna.
    Chi altri avrebbe voluto andare lì?
    Non aveva nessuno a corte che potesse avere un desiderio di vederlo per un ultima volta. Meglio così, non voleva dare altri addii e di persona non ce l’avrebbe fatta. Già scrivere a sua sorella era stato difficile e straziante immaginandosi il suo volto e quello di sua madre. Avrebbero pianto, urlato e … poi nulla. Si sarebbero rassegnati a non vederlo più. Quanto poteva valere una promessa fatta in formato cartaceo? Lui era stato condannato all’esilio e solo il re avrebbe potuto rimuovere quella condizione. Stava di fatto che le due donne non conoscevano quali fossero le condizioni per un ritorno del Tasso, presupposti che nemmeno il Lydden conosceva. Poteva immaginarli, ma non avrebbe accettato nulla che potesse provenire da una persona che in quel momento odiava.
    Non credeva di poter provare quel sentimento così forte verso una persona. Si diceva sempre … odio questo, odio quello, ma mai in modo convincente o così profondamente come lo provava ora, al solo pensiero di quella figura che dall’alto del suo scranno, con una falcata, gli era piombato vicino impugnando la spada. Forse sarebbe stato meglio se, in uno scatto d’ira, quell’uomo gli avesse reciso la testa dalle spalle. Tutto sarebbe finito e non avrebbe più dovuto lottare con ciò che gli avrebbe riservato il futuro perché ciò che rammaricava il Lydden non era ciò che gli sarebbe potuto accadere, ma ciò che poteva succedere a sua sorella e a sua madre.
    Avrebbe dato la sua vita in quel momento se solo avesse saputo che, in quel modo, la sua famiglia sarebbe stata salva.

    I passi si avvicinarono alla sua cella e … non andarono oltre. Si fermarono e il silenzio che ne venne fuori venne interrotto e rotto dal bussare di alcune nocche sulla porta.
    Qualcuno mosse la chiave nella toppa della sua prigione e la porta si aprì con un rumore e un cigolio metallico che rendevano l’atmosfera ancora più lugubre di quello che fosse.
    Tutto doveva servire a far sentire la persona in gabbia, in balia dei suoi pensieri e delle sue paure più remote.
    Ausel stava facendo uno sforzo enorme per mantenersi calmo anche se, bisognava dirlo, aveva dato fondo a tutte le sue lacrime molte ore prima. Ormai non aveva nemmeno più la forza di andare verso le sbarre e provare solo a far rumore e farsi sentire. Cosa ne sarebbe venuto fuori? Il nulla.

    La porta si spostò lasciando entrare una persona che nel buio non venne messa bene a fuoco dal Lydden. Poi venne chiusa e nuovamente un rumore di chiavi a sugellare la chiusura della stessa.
    Ci volle un po’ per poter notare dove la nuova persona si stesse posizionando. Ausel non era in vena di visite e non si scompose più di tanto. Chiunque fosse, avrebbe trovato un animale ormai rassegnato.
    Un animale. Qualcuno gli aveva dato quel nome … un sacerdote di una setta.

    Poi parlò. A sua voce gli ricordò subito una persona. Non poteva che essere Lyonel. Cosa ci faceva lì. Non che fosse importante, ma sentire una voce amica, fece piacere.
    Il Lydden rimase dove era, su quella seduta a fissare un punto imprecisato del muro ascoltando il Buckwell. Parlò del messaggio che aveva scritto e … era ovvio che qualcuno avesse confiscato lo scritto per vederne il messaggio. Sorrise e forse in quell’oscurità non si vide. Probabilmente era un bene perché il sorridere non era da prigione.
    Poi ancora altre parole a rompere quel silenzio.
    Il Buckwell rivelò quel fosse la decisione su Deep Den, un protettorato della Corona e quale fossero le sue intenzioni. Voleva governare Deep Den in sua assenza.
    Sembravano vere quelle parole ed ebbero un effetto sul Lydden. Poco prima avrebbe pensato di non avere più lacrime, ma qualcosa iniziò ad inumidirgli gli occhi.

    Tirò su col naso. Era stato in silenzio per tutto il tempo lasciando Lyonel parlare ed esporsi.

    "Dispiace anche a me."

    Queste furono le prime parole del Tasso rivolte a Lyonel. Il tono era palesemente affranto e la sua voce aveva perso ogni fiamma che potesse esserci in lui. Non era ferito o sofferente, ma svuotato di tutta la sua essenza. Come se non ci fosse più un Ausel in quel corpo, ma solo … corpo. Si era speso così tanto per gli altri che ormai non c’era più nulla e quelle parole, così prive di una vera vita, ne erano la prova. Suonavano monotone, prive di un colore o di una melodia.

    "Immagino chi di dovere sappia cosa ho scritto, ma se vuoi, questa è la brutta." Ausel tese la mano con la brutta copia e la porse al Buckwell. Che volesse leggerla o meno, questo stava a lui. Non gli avrebbe negato la visione. Non era un segreto, dopotutto.

    Abbandonare? Cosa devo abbandonare? Sono costretto ad andare via. Non poteva più fare nulla e se avesse voluto si sarebbe dovuto piegare al Targaryen, cosa che il Lydden non voleva fare.

    "Non credo ci sarà un mio ritorno Lyonel." Ausel disse queste parole in modo brusco e senza emozioni. Aveva pensato in quelle ore. Le prigioni permettevano anche questo, di pensare ed era arrivato a quella conclusione. Non sarebbe tornato.
    "Hai sentito anche tu cosa è stato deciso. Non capisco come va la vita e finché non lo comprendo, non potrò tornare. Credi non sappia cosa voglia dire?"
    Un moto di rabbia, questo sentimento si poté percepire nelle parole del Tasso, si generò nel petto del ragazzo e venne buttato fuori in quelle parole.
    Doveva sottomettersi e non lo avrebbe fatto a differenza del suo popolo. Probabilmente avrebbero visto nel Buckwell un nuovo sovrano purché desse loro cibo e lavoro.
    Si alzò per avvicinarsi a Lyonel e … lo abbracciò. Si abbandonò a quella forma di affetto puro e reale che provava verso quella persona.
    "Abbi cura del mio popolo e della mia famiglia. Non chiedo altro e ... " Poi, sussultando, stava piangendo quelle poche lacrime che gli erano rimaste, continuò " … se so che sarai tu a proteggerle … il mio esilio sarà meno amaro e potrò andarmene più tranquillo."

    Andarsene dove? Chissà, forse una metafora per dire che voleva abbandonare quel mondo.
  11. .
    Ausel Lydden "parlato"
    Ausel Lydden pensato


    Livello: 22
    P.E. base:
    Tratto educativo: Studioso
    Contro-tratto: Impudente




    N° parole: 1064



    Erano passate poche ore da quando il soldato, l’unica altra persona che aveva incontrato oltre il carceriere in quelle ore successive alla sua condanna all’esilio, se ne era andato con la lettera che aveva scritto per sua sorella.
    Aveva ancora il foglio di pergamena che aveva usato come brutta copia tra le mani, accartocciato e inumidito dal suo stesso sudore.
    Cosa gli riservava il futuro?
    Tutte le sue energie erano state vane. Aveva affrontato le ire del Leone, aveva attraversato il campo di battaglia e lottato per evitare una moria di gente per cosa?
    Per nulla. Cosa ne era stato di lui e di quelle povere ragazze che aveva cercato di salvare?
    Cosa ne sarebbe stata della sua famiglia ormai con la nomea di un figlio e un fratello esiliato per tradimento?
    Tutto era perduto e a nulla sarebbe valso una sua qualunque azione.
    Stava di fatto che, dopo ciò che era successo, mai e poi mai lo avrebbero convinto a fare qualcosa per il Targaryen. Che andasse in malora lui e tutta la sua famiglia.
    Cosa aveva ottenuto? Disprezzo fin dal suo ingresso in quella corte.
    Forse l’esilio avrebbe aperto una nuova opportunità. Dopotutto aveva sempre voluto viaggiare e scoprire il mondo … ma non in quel modo. C’erano così tante cose che avrebbe voluto vedere in quel continente e il Drago gli aveva impedito ogni scoperta, ogni nuova emozione, ogni nuovo impulso che potesse essere amoroso, artistico o solo culturale.
    Approdo del Re era stata la sua rinascita e gli aveva permesso non solo di conoscere nuove persone come Stephan, Lyra e Billy, ma anche di apprendere numerose altre nozioni e vedere la bellezza in ogni sua caratteristico dettaglio. Dal semplice scorcio al vicolo alla porta al palazzo. Tutto urlava novità e il Lydden si era beato di quell’urlo ascoltandolo giorno dopo giorno arrivando anche a farne parte con la realizzazione di quella statua da apporre all’ingresso della gilda dei fabbri.
    Chissà come sarebbe stato il continente senza la presenza di quei draghi e dei loro signori e quali altre bellezze avrebbe potuto scoprire se avesse avuto la possibilità di viaggiare per tutto il continente?
    Quante altre persone come Tom di Settecorrenti avrebbe incontrato?
    Non lo avrebbe mai potuto sapere e … per cosa? Per un capriccio di un re. Una persona che non riusciva ad ascoltare gli altri, ma, sordo ad ogni argomento che non gli piacesse, aveva deciso così.
    Ausel gli aveva sbattuto in faccia le realtà e la verità e cosa ne aveva ottenuto? L’allontanamento. Se quel re voleva circondarsi di leccaculo che alla prima occasione gli avrebbero conficcato un pugnale in mezzo alle spalle, chi poteva essere lui per giudicarlo?
    Contento lui, contenti tutti. Si diceva così, no?

    Arrabbiato per quello che era successo, il Lydden restò a fissare lo scorcio di cielo avvolto dal gelido e oscuro manto della notte che si intravedeva dalle feritoie che permettevano un certo ricambio d’aria e di luce in quella cella sotterranea.
    Rinchiuso come una belva, si buttò su quello che doveva essere l’unica seduta in attesa dell’alba e del mezzo che lo avrebbe portato lontano da quei lidi, lontano dalla sua famiglia, lontano da tutti i suoi sogni.
    Lo avrebbero spogliato di tutto, quindi decise di non farsi strappare gli oggetti di dosso.
    Su un angolo aveva riposto il suo mantello, quello che lo aveva accompagnato in quel viaggio e la sua corona. Forse le avrebbero consegnate alla sua famiglia una volta che fosse partito o, chi lo sa, le avrebbero vendute per ricavare un misero bottino visto anche la penuria di soldi in cui versava la corona. Le tasse sarebbero aumentate per far fronte alle spese di guerra e chi ne avrebbe rimesso? Tutti coloro a cui Ausel aveva cercato di salvare la vita. Forse avrebbe fatto meglio a farsi gli affari suoi e a lottare non per evitare una strage, ma per contrastare quei cani dell’Altopiano che, in tempo di guerra, non riuscivano nemmeno a tenerselo nei pantaloni. In ogni angolo delle Terre dell’Ovest, Deep Den e pochi altri luoghi erano stati risparmiati, avevano non solo razziato come locuste voraci ogni residuo del duro lavoro di popolani che nulla avevano a che vedere con la guerra, ma avevano anche voluto soddisfare le loro voglie sfogandosi su giovani donne e ragazze per … beh, così fanno gli uomini no?
    In queste occasioni il Tasso ringraziava gli dei, quegli stessi dei che nemmeno gli rivolgevano lo sguardo tanto erano disgustati dalla sua essenza, per non essere un uomo nella sua interezza.
    Se l’uomo era colui che alla prima occasione svestiva i panni dell’eletto degli dei per divenire più feroce di una bestia e più schifoso di un qualsiasi animale strisciante, forse tale razza sarebbe dovuta sparire per sempre.

    Riprese, dopo alcuni passi, i suoi coltelli da lancio. Gli avrebbero sottratto anche quelli visto che l’ordine del Targaryen era stato quello di esiliarlo con la sola spada al suo fianco. Li dispose in ordine, erano tre coltelli che lui stesso si era fabbricato a Delta delle Acque. L’arco, la faretra e le frecce erano ancora legate alla sella di Killian, il suo cavallo. Se lo era goduto per poco e probabilmente non sarebbe più tornato a Deep Den. Bello e forte come era, difficilmente lo avrebbero reso.
    Quello era anche il prezzo che il Lydden avrebbe pagato per aver cercato di evitare una strage, aver impedito che uomini del re morissero e aver fermato la guerra.
    Altri che nemmeno avevano mosso un dito per il Drago ora potevano vantarsi di avere un parente nel letto dello stesso. Come girava la sorte in quella parte del mondo.

    Avrebbe ricominciato una nuova vita, non si sapeva dove, con la sola spada al suo fianco, senza un cavallo, senza altre armi che avrebbero potuto servigli, senza un qualcosa che avrebbe potuto vendere, come il mantello o la corona, per andare avanti. E cosa si aspettava il re? Che lui sopravvivesse per poi leccargli il culo e poter tornare a casa? No, non lo avrebbe fatto.
    Si era già venduto al Targaryen accettando la proposta di Varys e le sue promesse si erano rivelate per quello che erano: menzogne.

    Si sedette sull’unica seduta della cella a rileggere la brutta copia della lettera, quella che aveva accartocciato e che ora gli si parava dinanzi con tutte le pieghe e le orecchie che ne segnavano l’esito subito.


    Libera con Aeryx

    Se Astion vorrà unirsi è il ben accetto.
  12. .
    Thomas Sirrah "parlato"
    Thomas Sirrah pensato


    thomas
    hawk-eye
    lente


    La porta si aprì su un vagone che conteneva solo casse e tanti scatoloni che, si accatastavano, fino a raggiungere la parete opposta dove una porta avrebbe condotto chissà dove.
    Dietro di lui i passi si facevano più concitati e quel criptex nella tasca iniziava a pesare. Doveva farlo a qualcuno che potesse risolverlo. Così il reporter decise di tornare indietro. Qualcuno poteva aver la fortuna di riuscire a trovare la combinazione adatta e a risolvere quel dilemma.
    Si affacciò verso il vagone che aveva alle spalle per poi ritornare dove aveva ritrovato Marone, nel vagone bagagli. Lì il mafioso lo attendeva con un borsone in mano. Gli venne incontro e gli disse solo poche parole mostrandogli quel borsone e dicendogli che, probabilmente, al suo interno vincerà una candela.
    La combinazione sembrava essere un numero, ma prima di pensarci, mostrò il criptex e glielo passò.

    Mentre l'uno cercava di risolvere il criptex, Thomas iniziò a valutare quale potesse essere la soluzione della combinazione della valigia e decise, dopo aver pensato alla loro fine, che il passo della Bibbia, quello che sembrava condurli verso una morte certa potesse essere quanto più adatto possibile.
    Provò a inserire il numero 91, il passo della Bibbia dove veniva citato il verso "andate e moltiplicatevi".


    provo ad aprire la combinazione della valigia col numero 91, il capitolo e il versetto della frase in questione.
  13. .
    Thomas Sirrah "parlato"
    Thomas Sirrah pensato


    thomas
    hawk-eye
    lente



    Il reporter era riuscito a trovare un messaggio cifrato sotto uno dei piattini che aveva sollevato per valutare cosa ci fosse su quel tavolo. Quelle lettere, messe così, alla rinfusa, fecero pensare a un anagramma che … andando a ricollegare al luogo dove si trovavano, un treno, appunto, fecero pensare a un luogo. Gli si illuminò lo sguardo. Dopo tutto non era proprio arrugginito come si riteneva e la ricerca sul campo lo entusiasmava ancora e lo metteva a suo agio.
    Non era il tipo da stare dietro la scrivania, ma uno di quelli che doveva indagare e risolvere enigmi.
    Un sorriso divertito gli si affacciò sul viso quando il signor Romano fece irruzione nel vagone insieme agli altri. La riunione durò quel tanto da permettere al report di poter collegare alcuni punti. Parlò della cosa sotto il treno, l’oggetto che aveva scatenato la frenata improvvisa e lo schianto. Parlò della lettera di Whateley e di Morgan, del fazzoletto e delle candele.
    La foto dell’uomo presente in quella che aveva trovato il dottore nel portafogli del tizio qualche vagone prima sembrava molto simile alla descrizione della creatura che aveva fermato il treno. Che ci fosse un collegamento?

    "Signor Romano, il nome Whateley compare anche su una foto che il dottore mi ha mostrato. Ce l’ha lui in questo momento e citava una ragazza. Diceva, un attimo che ricordo, sì, A mia figlia Lavinia, da Noah Whateley. Mostrava una ragazzina con tratti non proprio comuni e un viso che non sembrava umano. L’uomo alle spalle aveva una carnagione verde scuro se non ricordo male e un volto caprino e, non vorrei ricordare male, ma sembrava apparire una coda alle sue spalle. Ora che ci ha parlato di quella creatura sotto il treno, non credo che quella foto sia uno scherzo alla luce degli ultimi eventi."

    Poi, parlando delle candele e delle lettere che aveva trovato sotto il piatto, il reporter disse.

    "Non so se si possono ricollegare alle candele, ma sotto uno dei piatti presenti in questo vagone, lì" il reporter indicò il tavolo doveva aveva trovato le lettere mischiate, "Ho trovato alcune lettere che anagrammate danno come parola SALA MACCHINE. Potrebbe esserci una delle cinque candele che lei ha citato. Purtroppo non riesco a venire a capo di questo" e mostrò il foglietto con quelle cifre poste in modo verticale 221=141 o questo. Il reporter mostrò i due foglietti, quello relativo all’estratto di giornale e l’altro, quello con l’enigma numerico.

    Attese sperando loro avessero una risposta o potessero dare un aiuto o un suggerimento.
  14. .
    Ausel Lydden "parlato"
    Ausel Lydden pensato


    Livello: 22
    P.E. base:
    Tratto educativo: Studioso
    Contro-tratto: Impudente

    Mantello seta: +20% riuscita Intrigo


    N° parole: 1255 + 748 (cura)


    Ausel sembrava una furia. Con la spada in mano e la rabbia in corpo per la caduta di un suo uomo, il Lydden riuscì a fare piazza pulita di alcuni uomini vestiti di stracci. Furono proprio questi gli artefici della loro disfatta. Per quanto il Tasso cercasse di non uccidere tutti, voleva almeno lasciarne uno in vita se non tutti per poterli poi interrogare, le loro difese pari a zero rendevano impossibile non ferirli mortalmente. Bastava vedere cosa era successo ai due arcieri che si erano avvicinati al carro per poter, salendovi sopra, avere una maggior visuale sugli uomini dell’Ovest. Forse fu quello a spingere il Lydden ad agire istintivamente cercando di non dar loro nemmeno il tempo di reagire. Fu rapido e indolore, almeno per le sue vittime. Il colpo fu così veloce e letale da impedire ogni loro difesa. Nemmeno il tempo di prendere ciò che avevano come armi per potersi difendere.
    Nulla.
    La loro morte, però, aveva decretato la sopravvivenza dei suoi uomini. Era quello l’obiettivo primario di Ausel, salvaguardare la vita dei suoi soldati. Già era difficile farsi accettare come loro lord dopo ciò che suo padre aveva significato per Deep Den, inoltre vi era anche quella nomea e quell’infamia che si era estesa a macchia d’olio portata dalle voci del lord che in quel momento lo accompagnava, il signore di Valle del Corno. Era difficile farsi accettare e se ogni sua azione avrebbe decretato la morte di un suo seguace, volente o nolente, prima o poi qualcuno si sarebbe ribellato a lui e lo avrebbe diseredato di quel titolo.
    Ausel voleva che, almeno, i suoi uomini lo accettassero per ciò che egli rappresentava. Aveva messo in pericolo la sua stessa vita per salvare ogni singolo uomo di Deep Den. Aveva mercanteggiato le singole anime che aveva lasciato ad Approdo del Re e ogni giorno si rammaricava di non esserne riuscito a strapparne di più dalle grinfie del Leone.
    Quando la sua mano si fermò, a terra vi erano diversi uomini. Non aveva nemmeno sentito il colpo che gli era arrivato tanta era la sua foga e la sua irruenza. Oltre ai cadaveri dei diversi banditi vi erano anche altri de che stavano lottando con la morte. Uno di questi avrebbe perso a breve la sua sfida essendo stato ferito mortalmente dal Tasso e da una freccia che gli si era piantata dritta nel collo, l’altro, invece, avrebbe visto facilmente l’alba del giorno dopo.
    La sua brama di non venir preso vivo dovette fare i conti con la sua natura paurosa perché si avvicinò al carro in fiamme ma non ebbe la forza di gettarsi tra le braci e i fuoco. Che fosse un elemento ce il Tasso avrebbe potuto usare a suo vantaggio?
    Il Lydden approfittò dell’adrenalina che ancora gli circolava in corpo. Con la lama grondante sangue non suo e degli schizzi ematici sul volto, ricordo di qualche cadavere a quel punto, il Lydden si avvicinò al superstite. Lo prese per la collottola con la mano libera e iniziò ad avvicinarlo alle fiamme. Questi si era accasciato accanto alle assi senza forza, ma vedendo ciò che il Lydden stava facendo, o intuendolo, iniziò a dimenarsi. Fu il segnale che il Tasso attendeva.
    Chiamò a gran voce il compagno di avventure facendolo avvicinare il quale gli diede due pacche sulla spalla in segno di rispetto, forse. Quando lord Brax fu accanto a lui, il Tasso gli si mise di fianco. La differenza di età era lampante, come quella relativa all’addestramento militare e alla forza fisica. L’uomo sorreggeva uno spadone lungo e l’aveva usato come Ausel aveva manovrato la sua spada di dimensioni molto ridotte se confrontate alla lama del Brax. Era anche evidente che l’uomo di Valle del Corno non avrebbe perso tempo a interrogare il brigante, cosa che Ausel avrebbe, invece, fatto.
    "So che intenzioni tu avessi e conosco anche la paura nei tuoi occhi." Disse Ausel rivolgendosi al brigante "Ma se non parli e mi dici la verità, probabilmente rimpiangerai il non esserti buttato tra quelle fiamme. Quest’uomo ha perso degli … amici … e non tarderà a vendicarli. Sono l’unica possibilità che ti resta per evitarti una brutta fine. Intesi?"
    Ausel Attese che l’uomo desse qualche segno di intendimento. Voleva intimidirlo e convincerlo del fatto che lord Brax non sarebbe stato dolce di sale. Avrebbe fatto volentieri l’uomo a pezzetti o lo avrebbe spedito tra le fiamme del carro senza nemmeno pensarci due volte se il Lydden glielo avesse lasciato fare.
    "A te la decisione. Resta in silenzio o dimmi qualche bugia e non potrò aiutarti."
    Il Lydden sembrò dargli qualche minuto, ma dopo qualche secondo iniziò con le domande. Si avvicinò per non farsi sentire dagli altri. Non li conosceva e non voleva che sapessero cose che non gli riguardassero. Quelle risposte doveva sentirle solo lui e lord Brax.
    "Dimmi cosa ne avete fatto degli esploratori a cavallo. Perché avete ucciso i loro cavalli e li avete sfregiati con quei simboli. Cosa rappresentano? Chi siete e chi è il vostro capo? Chi vi ha mandato o chi vi ha assoldati? Dove risiede il vostro covo? Voglio sapere tutto, ora e … ti ripeto, parla o ti pentirai di non esserti buttato tra quelle fiamme."

    Finito l’interrogatorio Ausel chiese a lord Brax di usarlo per scoprire ciò che ancora non sapevano. Tutto dipendeva dalle risposte che aveva dato. Ovviamente un suo silenzio avrebbe irritato sicuramente lord Brax. Ausel avrebbe cercato di mediare. Se questi avesse parlato, invece, avrebbe sicuramente sfruttato il ragazzo per farsi dire altre informazioni utili.

    ***

    Uno degli uomini che il Tasso e la sua comitiva aveva salvato, aveva attirato la loro attenzione chiedendo un aiuto per l’uomo ferito. Ausel non li conosceva, ma era venuto in loro soccorso. L’uomo ferito cercò di parlare e a mediare anche il tono e le parole dell’amico. Chiese chi fossero e se uno di loro potesse aiutarli e per quanto la loro missione era un’altra, lasciare quell’uomo alla mercé della morte disgustò un attimo il Lydden rivedendo in quella scena lui stesso con Alfie, il soldato Lannister che era stato colpito a morte al ventre durante la missione di ritorno da Delta delle Acque. L’assalto dei briganti nelle Terre dei Fiumi aveva portato non solo via la vita di Alfie, ma anche quella di Olvar e, successivamente, la sanità mentale di Rowan.
    Ausel si avvicinò all’uomo a terra e guardò la ferita alla spalla. Grondava molto sangue e andava tamponata subito se non fasciata e cauterizzata. Inginocchiatosi accanto al soldato, Ausel disse.
    "Immagino comprenderete la mia reticenza nel rispondervi."
    Le domande erano di rito, ma servivano anche a comprendere come mai questi uomini erano stati attaccati e cosa c’entravano in tutto quel marasma i soldati dell’Ovest guidati da lord Brax. Loro erano semplici sentinelle eppure erano stati catturati. Cosa ne era stato di loro? In parte tali risposte erano arrivate dal brigante salvatosi dalla furia del Tasso, ma una certa curiosità continuava a rimanere e il Lydden voleva soddisfarla con quell’uomo che aveva dinanzi.
    "Intanto ditemi il vostro nome. Servirà a eliminare le formalità non trovate?"
    Attese una sua risposta prima di dare alcune mansioni all’uomo che lo aveva richiamato con quelle parole così grette.
    "Avete qualcosa di forte da fargli bere? Potrebbe far male e, potreste, per favore, prendere anche dell’acqua e rendere la vostra lama incandescente? Mi servirà per fermare l’emorragia." Voleva che l’uomo andasse a portare la sua lama e renderla incandescente sfruttando le fiamme che lambivano i carri subito dopo avergli lasciato qualcosa per rendergli più sopportabile il dolore. Se non avesse avuto nulla, sarebbe stato uguale.
    Scoprì la spalla ferita mettendola a nudo mentre l’uomo andava a eseguire il suo “ordine”. "Come mai siete stati attaccati? Trasportate merce preziosa o succulenta per dei banditi?"
    Ausel avrebbe preso la fiaschetta contenente dell’acqua per lavare la ferita. Avrebbe usato un lembo di stoffa strappata dalla manica del soldato ferito per pulirgli la zona esposta ed evitare infezioni. Gli serviva anche qualcosa che potesse disinfettare la ferita, ma in quelle circostanze non si poteva di certo fare gli schizzinosi. Sputò sul panno più di una volta e strofinò la ferita. Non era il massimo, ma in assenza di veri maestri e delle loro essenze, doveva arrangiarsi. Se il tizio avesse portato qualcosa di alcolico, il Tasso avrebbe permesso al ferito di berne un po’ per poi prendersi il contenitore. Gli serviva come disinfettante.
    "Posso chiedervi dove eravate diretti?"
    Il Lydden versò il contenuto della fiaschetta, non tutto, per disinfettare la ferita. Se il contenuto fosse stato molto alcolico, la ferita avrebbe bruciato un po’.
    Ridando la fiaschetta al ferito, il Tasso avrebbe atteso l’arrivo del compagno con la lama incandescente.
    "Questo vi farà male. Stringete la mano del vostro amico e urlate se serve, ma non stringete la bocca. Potreste farvi saltare dei denti nello sforzo."
    Ausel Avrebbe preso la spada e l’avrebbe avvicinata alla ferita. Il calore si sarebbe sentito anche sul dorso e lo sfrigolio della carne e della pelle bruciata e il suo odore avrebbe invaso per un attimo l’aria. Con una mano il Tasso avrebbe avvicinato la lama e con l’altra avrebbe mantenuto ferma la spalla.
    Il contatto sarebbe durato pochi minuti, il tempo di cauterizzare la ferita.
    "State fermo. Ora vi spalmo dell’olio al miele che vi fascio la spalla."
    Il Tasso aveva con sé quell’unguento. Non gli era ancora servito e, avrebbe potuto conservarselo per un’occasione futura, ma … di futuro c’era poco. Probabilmente non sarebbe nemmeno più tornato a Deep Den. Meglio fare un’opera di bene.
    Prese l’unguento e iniziò a spalmarlo sulla ferita cauterizzata. L’uno avrebbe evitato il continuo sanguinamento, l’altro avrebbe permesso alla ferita di riprendersi in breve tempo. Aveva sempre portato con se delle bende e dovette usarle in quell’occasione. Ne prese una e iniziò a fasciare la spalla del ferito.
    "Comunque piacere mio. Sono lord Lydden, signore di Deep Den. Voi sembrate un uomo dell’Ovest. Cosa ci facevate qui?"
    Fasciò la spalla ben bene prima di fare un nodo impedendo alla benda di sfilarsi.

    ***

    Fasciata la spalla all’uomo, il Lydden lo lasciò con il suo amico per dedicarsi al suo uomo caduto. Questi era stato portato fuori dall’acqua e svestito dalla corazza da un arciere di Deep Den. Ausel si avvicinò al suo uomo caduto e insieme agli altri due iniziò a dargli gli onori del caso. Gli chiuse gli occhi e gli diede una posa dignitosa. Estrasse quella freccia che lo aveva privato della vita colpendolo alla gola e la mandò a fare compagnia ai pesci del guado. Non voleva lasciarlo senza offrirgli una preghiera e per quanto non fosse un fervente credente, consegnò l’anima del caduto al Guerriero.
    "Questa sera non perdiamo solo un valente soldato di Deep Den, ma anche un figlio, un padre e un marito, nonché un amico. Ha dato la sua vita affinché la nostra potesse durare un po’ di più e di questo gli rendiamo grazie. E’ stato un onore avere te a guardarmi le spalle e consegno la tua anima al Guerriero che saprà darti gli omaggi e le ricompense per aver difeso la tua terra natia. Chiedo al Padre e alla Madre di guardare con misericordia e rendere giustizia al suo vissuto e prego te, Sconosciuto, di rendergli il tragitto meno sofferente. Che i Sette possano benedire la tua anima."
    Lasciò che i due arcieri dicessero ciò che volevano al loro compagno mentre lui restò in disparte attendendo il termine di quella cerimonia. Le spoglie del caduto le avrebbero portate con loro e, nel caso fosse ritornato a Deep Den, consegnate alla famiglia. Il corpo, purtroppo non avrebbero potuto portarselo dietro. Non sapevano per quanto tempo sarebbero stati fermi ad Approdo del Re. Dovevano lasciarlo lì e onorarlo nel migliore dei modi.
    Allontanandosi dal cadavere del suo uomo si avvicinò al ferito appena in tempo per ascoltare l’arrivo di un ragazzo e le sue parole. Non conosceva il senso di ciò che stava dicendo e attese che rispondesse a colui che Ausel aveva salvato.

    Consumo l'olio al miele che dona 20 PV a Robert e una delle bende.
    Poi non dite che non sono buono
    :P
  15. .
    Thomas Sirrah "parlato"
    Tomas Sirrah pensato


    thomas
    hawk-eye
    lente



    Primavera.
    Il reporter si trovava alla stazione per una soffiata. Non c’erano altri modi per definire quella chiamata alle nove di sera nel suo piccolo ufficio del giornale della città, Arkham Advertiser. Era tardi e cosa ci facesse lui ancora in ufficio non era un mistero. Il capo voleva così e lui doveva obbedire … sperando, ancora per poco. Uno squillo di telefono e … un’informazione. Una voce neutra, non modificata o alterata da qualche apparecchio. Era limpida, chiara, reale. Questa annunciava un incontro, l’indomani mattina, tra i Romano e i Gambino proprio a Jersey City.
    La sua preoccupazione fu, al momento dell’informazione e del poco tempo concesso per fare i preparativi, il costo del biglietto e come raggiungere la stazione. Se fosse riuscito a fare delle foto e a incastrare i Romano, famiglia rinomata per far parte dell’ambiente mafioso, la sua carriera, forse, avrebbe preso la direzione che lui stava cercando di dargli da diversi anni.
    Era il suo momento. Doveva agire e subito. C’era il problema dei biglietti. Il suo capo non gli avrebbe mai concesso un anticipo sullo stipendio anche perché quella soffiata … come dire … non era certa. Chi poteva dire che non fosse un’imboscata o un tranello o, peggio, un buco nell’acqua?
    Poi la voce gli parlò di biglietti che lui stesso avrebbe trovato … a breve. La chiamata cessò lasciando Thomas nel silenzio con la testa che gli frullava di pensieri. Cosa fare? Avvisare il capo? Seguire la pista o accantonarla perché un altro falso allarme? Non era certo la prima soffiata anonima che non portava a nulla di producente e se avesse chiesto il permesso nuovamente per fare le sue ricerche senza un fondo di certezza e un indizio o una serie di indizi seri, sarebbe stato sbattuto fuori a calci da quel posto che tanto aveva faticato a trovare e a tenersi stretto. Doveva indagare di suo pugno senza rischiare troppo.
    Un inserviente bussò alla sua porta ed entrò consegnandogli un pacchetto. Thomas lo aprì e vi trovò un biglietto per Jersey City con tanto di firma del benefattore: W.W.
    Che fosse una trappola? Probabile, ma doveva indagare.
    Guardò il biglietto e chiese informazioni su chi avesse consegnato quel pacco all’inserviente, ma questi gli disse solo di una figura che non aveva nulla di sospetto. Un semplice postino, così sembrava anche se una consegna a quell’ora era sembrata strana.
    Thomas corse spostando di lato l’inserviente e uscì dalla porta principale sperando di trovare qualcuno, ma nulla. Non c’era ombra di colui o colei che aveva consegnato quel pacchetto.
    Con il biglietto in mano, andò a casa e cercò di organizzarsi per quel viaggio. Avrebbe portato con se la sua fida macchina fotografica e la sua lente d’ingrandimento, dono dei suoi genitori che associavano ancora il suo lavoro da reporter a quello di un investigatore. Era stato il dono particolare che il reporter aveva sentito e che portava sempre dietro.

    In stazione il treno rapido delle sei del mattino, l’espresso per Essex County, attendeva insieme al convoglio che avrebbe preso Thomas, il lento panoramico che attraversava tutto il Massachussetts. Il biglietto gli forniva un posto in uno dei vagoni di prima classe del convoglio che, in quel momento e per tutto il tempo prima della partenza, venne occupato da altri cinque individui.
    Fu una sorpresa per il reporter trovare, qualche posto più avanti, il capo della famiglia Romano. Questi viaggiava con il suo scagnozzo e una donna che, Thomas, ignorava le origini e le affiliazioni con i Romano. Sembrava una classica casalinga, ma in casi come questi, l’aspetto a volte ingannava.
    Era stato rapito dal lusso di quel vagone prima di vedersi distogliere i pensieri dall’arrivo degli altri due che si sarebbero accomodati accanto a lui.
    Accanto a lui, quindi, vi erano altre due persone, una delle quali era un famoso psichiatra del manicomio di Arkham. L’altro … forse lo aveva visto da qualche parte, ma no sapeva perché lo associava al cimitero ella città. Probabilmente lo aveva incrociato quando era andato a fare visita, l’ultima volta, a delle persone uccise da bande criminali. Era lì per scattare delle foto della celebrazione funebre.
    Non sempre il suo lavoro era bello e spesso doveva fare i conti con la sofferenza delle persone causata, molto spesso, da uomini come i Romano.
    Il treno era partito e il tempo che i passeggeri trovarono al di fuori del finestrino non fu dei migliori. La nebbia occupava gran parte della visuale e ben presto Thomas rinunciò a distrarsi osservando il panorama.

    Sicuramente non sarebbe successo nulla in quel vagone, quindi il reporter si posizionò in modo tale da poter osservare i Romano e poter, anche, conversare con gli altri due. Perché non sfruttare quella situazione per poter ottenere qualche informazione in più? Un articolo sul manicomio di Arkham non avrebbe impressionato nessuno, forse, ma qualche scoperta o ricerca dell’ultima ora, forse, sì.

    Il treno era partito da diverse ore e quando il reporter sembrò trovare il momento adatto per poter parlare con il medico, qualcosa successe.
    Un fischio assordante e uno sbalzo verso sinistra annunciarono un rallentamento improvviso del treno, ma non fu tutto. Il treno frenò di colpo urtando qualcosa perché i tavoli vennero sbalzati e in un momento successivo alla frenata si sentì un tonfo con tanto di caduta dei passeggeri e finestrini infranti. Thomas si coprì la testa cercando di evitare i frammenti di vetro.
    L’aria gelida dell’esterno invase la carrozza scacciando via il tepore che si percepiva all’interno.
    Ciò che Thomas fece, appena alzato e facendo attenzione a dove metteva i piedi, fu guardare fuori dal finestrino rotto. Un cartello annunciava la loro posizione: Stazione di Dunwich, Massachussetts.

    Nessuno venne da loro, cosa molto strana. Il primo a prendere l’iniziativa fu il Romano. Questi cercò di dare ordini, come era sua consuetudine. Nessuno sembrò pensare alla donna in quanto l’uomo incaricò il suo scagnozzo e il tizio non molto identificato di andare alle porte opposte. Il medico e la donna, così come lo stesso reporter erano stati ignorati.
    Non che ciò lo sconfortasse, anzi, avrebbe potuto seguire meglio il boss e vedere cosa facesse. Si avvicinò alla donna e le allungò la mano per farla alzare. Se fosse entrata nelle sue grazie, forse, questa, le avrebbe detto di cosa avessero parlato lei e il Romano per tutto il breve viaggio prima dello scontro.

    "Tutto bene signora? Ha qualcosa di rotto? Posso aiutarla?"
53 replies since 28/5/2013
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