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    Q73
      Città delle Tombe · Torre dei Dustin · Sala delle Udienze · 16 febbraio 286AA
    Nel breve reverente silenzio che seguì alle sue parole, Vidya, lasciò scivolare lo sguardo lungo il tavolo. I chiari raggi del sole piovevano su di loro, soffondendo la stanza d’algenti sfumature e immergendoli in un quieto e fioco tepore. Un’immobilità apparente, densa di latente elettricità in attesa di essere liberata.

    Aveva scelto cosa e quanto riportare del messaggio della Lady Madre con cura, cercando di mantenere la massima neutralità e impostando il proprio intervento su di un delicato equilibrio tra rassicurazione e ammonimento.

    Far presente che Grande Inverno li stava osservando sperava potesse servire sia da monito per coloro che credevano di poter sfuggire all’autorità del Metalupo che da garanzia alla legittimità dell’incontro. Parimenti, indicare i Dustin come figure rette e al di sopra delle parti avrebbe dovuto alleviare, per quanto possibile, eventuali dubbi e ansietà dei Mallister e, al contempo, ricordare ai Signori di Barrow Hall il loro dovere e le loro responsabilità – facendoli però sentire stimati tramite la fiducia in essi riposta. Aveva quindi tentato di esortare i due schieramenti alla collaborazione, facendo appello sul senso di appartenenza, e ribadito quella che doveva essere la priorità a quel tavolo, consapevole che il peso e rispetto di cui godeva la madre del Protettore del Nord avrebbe impresso alle proprie parole una maggiore forza.

    Una parte di lei, a dispetto della calma e fermezza mostrata, aveva temuto la reazione dei Lord. In particolare quella del fumantino Signore di Dito della Silice, aspettandosi dall’uomo un qualche commento caustico, dato lo scetticismo nei confronti dell’operato e gestione della questione da parte della cugina già espresso nella lettera che Lord William le aveva mostrato. Con suo grande sollievo nulla di tutto ciò era accaduto e se qualcuno in quella sala aveva rimostranze o appunti da fare sembrava aver scelto di non esternarli. Almeno per il momento.

    Prese nota di come il Dustin apparisse compiaciuto e inorgoglito della considerazione ricevuta da Lady Elysa, e si augurò che la serietà e gravità dipinta sui volti dei presenti non fosse solo contegnoso rispetto, ma si trattasse anche di una rinnovata presa di coscienza riguardo l’impellenza della situazione.

    "Siamo qui perché Lord Flint lamenta delle violenze nei suoi territori. Vuoi spiegarci meglio?"


    Al tono amichevole utilizzato nell'interpellare il Flint, la giovane Bolton sospirò internamente. Non poteva dirsi sorpresa, avendo avuto modo di constatare di persona sia la totale mancanza di artificiosità che le scarse maniere del Signore di Città delle Tombe ed essendo al corrente del legame d’amicizia tra i due. Tuttavia, quell’accenno di familiarità, che in altri contesti sarebbe stato considerato poco più di una sbavatura di etichetta, strideva pericolosamente con la formalità che l’incontro avrebbe dovuto richiedere, andando potenzialmente ad alimentare il timore che l'imparzialità tanto decantata in realtà non fosse possibile. Un piccolo dettaglio, forse, ma che poteva fare - ad onta di ogni buona intenzione - la differenza nel momento in cui i pesi sarebbero stati posti sui piatti della bilancia.

    Nascose il proprio disappunto e, inclinando leggermente la testa di lato, spostò la propria attenzione su Lord Donnor.

    "E' corretto…"


    Lo vide, nel modo in cui sembrò quasi prendere tempo e prepararsi a parlare, domare la propria irruenza, impegnarsi per imbrigliare quella ridda di pensieri ed emozioni che sicuramente scalpitava dentro di lui.

    ...Neppure nei miei incubi peggiori”, aveva scritto l’uomo nella missiva inviata al Dustin, descrivendo gli orrori lasciati alle loro spalle dai fanatici, profondamente turbato nonostante l’animo indurito dagli anni di esperienza a capo del proprio seggio e dalle battaglie vissute.

    Vidya non l’avrebbe biasimato se tutta la rabbia e frustrazione accumulate si fossero riversate nelle sue parole. Non poteva dunque che apprezzare il suo controllo e la saggia scelta di limitarsi ad esporre i fatti.

    "Da quando Lord Stark ha ammesso i territori di Seagard nel Regno del Nord, sono iniziate scaramucce al confine che sono state rapidamente liquidate come quisquilie tra contadini."


    Le pallide iridi della Bolton guizzarono brevemente verso la fanciulla seduta davanti a lei. Era così che la situazione era stata presentata loro dalla Lady Madre: baruffe tra litigiosi popolani in conseguenza all’annessione poi sconfinate in profanazioni ai luoghi di culto. Una piccola, benché preoccupante, incrinatura nella compagine del Nord. Probabilmente, pensò, quando avevano lasciato Grande Inverno con lo scopo di placare gli animi dei fedeli e rinfocolare il sentimento di fratellanza e collaborazione, la spaccatura era già in atto. Il pellegrinaggio, divenuto emblema e strumento di quel messaggio di unione e pace, col senno di poi appariva ancor più un azzardo.

    Lo spettro di una matrice Illyriana era stato fin dal principio una possibilità nella sua mente, conscia che quella convivenza forzata avrebbe creato il terreno ideale all’attecchimento dei semi dell’eresia. Ciononostante, a lungo, non era rimasto che un timore astratto. Una paura che si era evoluta in un tangibile presentimento durante il loro soggiorno a Piazza di Torrhen, ove i reali effetti di quel clima di tensione e sospetto si erano palesati nel tentativo di linciaggio di un incolpevole seguace dei Sette e il diffondersi del contagio confermato dalla presenza dei primi accoliti in una corte del Nord. E che, infine, si era concretizzata nelle terribili verità testimoniate dai banditi che le avevano aggredite nelle desolate e implacabili lande delle Terre delle Tombe.

    "Ho sottovalutato la questione. Quelli che erano litigi da piazza si sono trasformati in scontri, anche armati."


    Tese le labbra e annuì debolmente, amareggiata. Tutti avevano - colpevolmente - sottovalutato la questione. L’eccessiva sicurezza nella millenaria invalicabilità dei domini del Metalupo, unita alla nota diffidenza e attrito tra i fedeli dei Sette e degli Antichi Dèi, li aveva resi ciechi a ciò che si stava sviluppando tra le increspature di quelle tumultuose onde.

    "Ne sono consapevole purtroppo e me ne rammarico, ma sono certo che riusciremo a placare gli animi dei nostri sudditi se ci dimostreremo uniti e garantiremo a tutti le stesse libertà di cui godevano prima."


    Vidya non riuscì a nascondere la propria perplessità, aggrottando la fronte dinanzi a quella non proprio velata accusa verso Casa Flint e il Nord in generale.

    Quali libertà erano mai state tolte al popolo di Seagard? E quali proibizioni avrebbero mai potuto giustificare cotanta brutalità?


    Schiuse le labbra, intenzionata a chiedere delucidazioni, ma prima che potesse proferire parola Lord Donnor sbottó.

    "Quali libertà? Quella di ammazzare la mia gente solo perché non crede alle stronzate di quella puttana Targaryen?"


    Una scintilla gettata nella paglia. Quello fu l’effetto dell’intervento del Mallister. La tesa cordialità e traballante calma avvamparono in pochi istanti, dissolvendosi nell’aria assieme agli effluvi delle delicate erbe fumiganti che avvolgevano la sala.

    Fu solo il pronto e deciso intervento di Lady Dustin ad evitare il degenerare della discussione. Mise a tacere il Flint e, spalleggiata dal marito, tentò di riportare il dialogo su toni più civili - sebbene anche quest’ultimo, con grande contrarietà della donna, faticasse a mantenere un linguaggio decoroso.

    "Ciò che Lord Flint intendeva dire, Lord Mallister, è che la vostra gente sembra seguire l'eresia illyriana e non c'è modo di discutere con quel fanatismo bandito persino dalla Corona."

    “.. E' una caccia spietata alla nostra gente, fatta di attentati e violenze indicibili al tavolo con delle Signore."

    "Non so cosa crediate di sapere, miei Signori, ma la fede che si pratica a Seagard non è mai stata corrotta dall'eresia illyriana. Ho le mie ragioni di credere che nessuno dei miei sudditi possa aver travisato la giusta via in codesto barbaro sistema. Ci dev'essere un'altra ragione."


    Silente seguì lo scambio, alternando lo sguardo da una parte all’altra del tavolo. Con la coda dell’occhio registrò vagamente Ser Willas sistemarsi sulla sedia, come fosse in allerta, ma era sulla placida e distante Aquila che la sua attenzione viró.

    Saper mantenere contegno e sangue freddo in ogni occasione era senza alcun dubbio una qualità essenziale e ammirabile in un Lord. E Vidya immaginava che il Signore di Seagard, vista la vicinanza con le Isole di Ferro dei suoi territori, si fosse trovato in circostanze ben più critiche e spinose in passato. La condiscendenza che egli sembrava emanare, però, non aiutava affatto ad allentare la tensione, erodendo ulteriormente il fragile equilibrio della sala.

    Uomini e donne subivano indicibili orrori e lui se ne diceva rammaricato, accennando a fantomatiche ragioni in alternativa a quello che loro “credevano di sapere”.

    "Abbiamo trovato le casacche dei vostri soldati addosso ai fanatici che siamo riusciti a catturare. Provenivano da Seagard, fuori da ogni dubbio..e poi c'è il rapimento di vostra figlia..."


    Tenne gli occhi sul Mallister, il volto impenetrabile mentre il Flint, ricompostosi, elencava le prove in loro possesso.

    Alla menzione dell’agguato si irrigidì. Non che fosse un’informazione da tacere, purtuttavia, vi erano decisamente modi meno indelicati e bruschi per rendere parte Lord Jason del rischio corso dalla figlia.

    A dispetto dei suoi timori non fu questi il primo a reagire. Fu invece il Cavaliere di Seagard a scattare sulla sedia, incapace di trattenere il proprio furente sconcerto a quella rivelazione.

    "IL COSA?!"


    «...Sventato tentativo di rapimento» precisó la Bolton, contrastando la montante agitazione con ferma pacatezza. «Durante il viaggio, mentre attraversavamo le Terre delle Tombe, abbiamo subito un’imboscata ad opera di alcuni sopravvissuti alle violenze degli Illyriani.» Guardò Lady Josephine, invitandola silenziosamente a intervenire qualora l'avesse ritenuto opportuno. «Grazie alla capace azione della guardia Mallister, Bolton e Stark, sostenuti dai soldati messi a disposizione a nostra protezione da Casa Cerwyn e Tallhart,» specificò, a sottolineare l’impegno delle Casate del Nord affinché le giovani Lady fossero al sicuro,«e il coraggioso contributo di una delle ancelle,» aggiunse, ricordando lo spirito di sacrificio dimostrato da Carol, «la crisi è rientrata prima che potessimo essere seriamente in pericolo.» Non era sembrato così sul momento, quando il sibilo e schianto della freccia infittasi a pochi centimetri dalle loro teste le aveva poste dinanzi ad una serie di difficili - e controverse - decisioni. O quando avevano appreso della morte di uno dei loro uomini. Soran. Adesso, invece, poteva guardare a quegli avvenimenti con il distacco e lucidità dati dal tempo e concludere che quei banditi improvvisati non avevano mai avuto alcuna possibilità. Troppi gli armigeri al seguito della delegazione e loro troppo poco organizzati. «Quegli uomini hanno agito spinti dalla disperazione e sofferenza, convinti che Lady Josephine potesse avere influenza sui fanatici ed essere loro d’aiuto.» Scosse la testa tristemente al ricordo di quei concitati momenti, al muto dolore e all’indomita fierezza dei prigionieri inginocchiati nel fango. «Sul momento avevamo pensato fosse diventata loro obiettivo a causa di quanto accaduto a Piazza di Torrhen, ove l’intervento di vostra figlia ha portato al ravvedimento di un cortigiano caduto nelle spire dell’eresia.» Una vicenda che aveva fatto parlare e le cui voci, Vidya immaginava, avessero raggiunto anche i nuovi domini delle aquile. «Ma ora è chiaro la ragione fosse un’altra.» Fece una pausa e puntò nuovamente il suo algido sguardo sul neo vassallo del Nord. «Diversi superstiti hanno riportato di aver sentito parlare di Seagard. Questo, unitamente alle cappe ritrovate, concorderete con me, sembra dipingere uno scenario ben preciso.»

    Si sporse leggermente in avanti, posando le braccia sul tavolo e intrecciando le mani.

    «Non escludiamo ci possa essere un’altra spiegazione», concesse. «L’esistenza stessa di questo tavolo ne è prova e dimostrazione.» Sciolse la stretta e allargò i palmi ad indicare quella riunione. «Ma per poter considerare effettivamente questa alternativa, e quindi focalizzare come voi dite ogni sforzo per trovare una soluzione assieme, Lord Mallister, abbiamo bisogno condividiate gli elementi e ragioni su cui si basa la vostra convinzione.»

    La semplice fiducia nel proprio popolo da sola non era sufficiente.

    «Cosa vi fa escludere con tanta certezza la possibilità che, grazie a delle sacche eretiche formatesi nei vostri territori, si sia creato un corridoio d’accesso al Nord?»

    Se erano in possesso di informazioni utili a dipanare quell’intricata matassa era il momento di condividerle.



    Parole: 1721
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    Q72
      Città delle Tombe · Torre dei Dustin · Sala delle Udienze · 16 febbraio 286AA
    All’apertura delle porte il silenzio cadde nella Sala delle Udienze e l’attenzione di Lord Flint e Lady Amanda si spostò su di loro.

    "Dunque finalmente qualcuno ha deciso di fare la sua comparsa."


    Se sul viso della donna fu chiaro il sollievo di non essere più sola a dover gestire l'indispettito ospite, l'espressione del Signore di Dito della Silice raccontava una storia ben diversa. La speranza, con cui si era voltato, di veder finalmente apparire Lord Dustin si era difatti infranta alla vista delle due Lady. Una reazione che non riuscì a - o non si preoccupò di - nascondere, alzando platealmente gli occhi al cielo come se il loro arrivo fosse un'ennesima messa alla prova della sua pazienza.

    D'aspetto giovanile nonostante le rughe che sottolineavano il taglio deciso e severo delle labbra e i primi fili di bianco che, sulle tempie, andavano a screziare l’altrimenti nera capigliatura, Lord Donnor Flint, si differenziava dall’apparenza rude e guerresca dei Lord incontrati fino a quel momento. Sul volto, dai lineamenti marcati e regolari, non aveva sfregi né cicatrici profonde; era nel suo piglio grave e a tratti malinconico che si potevano scorgere i segni lasciati dagli scontri e dalle battaglie vissute. Un uomo, come aveva potuto udire, aspro e tempestoso - simile agli agitati flutti che sferzavano le rocciose coste della Baia Infuocata su cui Casa Flint dominava.

    "Non sono solito rifiutare l'invito di un fratello del Nord. Mie Signore...La vostra grazia è seconda solo alla vostra saggezza."


    Vidya lo guardò chinare il capo in segno di rispetto e recitare diligentemente la propria parte in quel formulaico scambio di convenevoli. Non percepì, però, alcuna traccia di retorica nel resto delle sue parole, testimonianza di un sentire comune tra i discendenti dei Primi Uomini: che fosse un lieto invito nella sicurezza del calore dell’estate o una richiesta d’aiuto nell’ardente gelo del più buio degli inverni, nessun richiamo da parte di un fratello doveva essere lasciato senza risposta. Annuì dunque con approvazione e, ammorbidendo per un attimo la sua fredda compostezza, accennò un piccolo sorriso. Era proprio su quell’insito e radicato legame con il Nord e il concetto di branco che avrebbe dovuto fare leva durante quel confronto - semmai l’orgoglio e il pregiudizio avessero rischiato di ottenebrare il buon senso.

    Otto sedie, leggermente distanziate l’una dall’altra, erano state disposte attorno al massiccio tavolo della Sala. La giovane Bolton si avvicinò a quello indicatole come il posto a lei assegnato e posò le mani sull'alto schienale di legno e pelle, seguendo con una leggera punta d'invidia la figura di Lady Amanda abbandonare, dopo essersi congedata, la stanza. Trasse un leggero sospiro, facendosi coraggio, e, nel sedersi, lasciò spaziare con discrezione lo sguardo lungo l’ambiente. La grigia e spoglia pietra delle pareti, tanto predominante nei seggi sinora visitati, era stata in parte sostituita dai caldi toni dei rivestimenti in legno e per il resto decorata da vessilli e scudi, o vestita da preziosi ed eleganti arazzi a ricordo delle imprese militari e della millenaria storia della fiera Casa Dustin. In sottofondo, nel silenzio di quella densa attesa, si poteva udire il mormorio delle fiamme dell’alto camino, acceso per spezzare - presumeva - il freddo in vista degli ospiti poco abituati alle temperature del luogo.

    La sua attenzione si concentrò sugli scranni difronte a lei - vuoti in attesa dei Mallister - lo scuro e pregiato legno illuminato dai fasci di luce che cadevano dalle finestre, per poi spostarsi brevemente sulle coppe e brocche disposte al centro del piano d’appoggio, pronte a offrire ristoro dal viaggio e ad accompagnare quella che si prospettava essere una lunga - e cruciale - conversazione.

    Non avrebbero avuto alcun margine di fallimento. Né sarebbe stato contemplabile lasciare quella sala con un nulla di fatto tra le mani.

    Deglutì, nascondendo il proprio nervosismo dietro una maschera di calmo distacco.

    Sarebbe stata all'altezza della situazione?

    Una domanda, quella, su cui non si era permessa di soffermarsi nei giorni precedenti, rifuggendo la scivolosa china che avrebbe creato nutrendosi della propria insicurezza, e che, ora, prepotente e spietata, tornava ad affarciarlesi alla mente, pretendendo attenzione, cercando di riempire il suo animo di dubbi, timori … e di nefasti scenari.

    Il leggero fruscio della pergamena sul legno interruppe sul nascere il suo rimuginare. Fissò per qualche secondo il cartiglio messo davanti a lei, la fronte leggermente corrugata in un’espressione interrogativa, indi rivolse lo sguardo verso Lord Flint. L'intenso scuro cipiglio era tornato.

    "Questo arriva dritto dal distaccamento sud.""


    Svolse il biglietto con un crescente senso di apprensione. Notizie dal confine? Nuovi elementi riguardo le accuse?

    "Fattorie date alle fiamme
    Abitanti impalati lungo il sentiero
    Ostaggi
    Attendiamo ordini"


    Le verdi iridi scivolarono rapide ed inquiete su quelle poche righe e il suo scudo di marmorea imperturbabilità si incrinò. Aveva immaginato il contenuto potesse essere di quel tenore, eppure, per quanto preparata e consapevole del fatto che la violenza non si sarebbe fermata in vista dell’incontro, l’entità dell’orrore descritto in quell’anonimo ed essenziale dispaccio la riempì di raccapriccio e pena.

    Il Nord bruciava e sanguinava.

    Batté le palpebre contro quelle terribili scene e serrò la mascella, tacendo i commenti ben poco diplomatici che le erano affiorati alle labbra. Tale ferocia non poteva che essere opera degli Illyriani: spezzare lo spirito con violenza e terrore laddove non si riusciva a piegarlo alla propria volontà con le parole. Ma notò, con addolorato orgoglio, dipinta da quelle stesse fiamme e sangue, emergeva anche l’immagine di un popolo fedele al proprio credo ed identità.

    Il Nord si opponeva.

    «Ho avuto modo di parlare con alcuni superstiti di simili atrocità» rivelò, mentre passava il messaggio a Lady Dustin, la voce bassa e pacata, ma abbastanza chiara da raggiungerla. Se l’uomo al suo fianco pensava fosse ignara del prezzo che quei villaggi stavano pagando e non comprendesse appieno la posta in gioco, si sbagliava. Vidya ricordava bene i terribili racconti dei banditi. L’ira che aveva infiammato i loro sguardi. Il disprezzo con cui le si erano rivolti perché marciava al fianco di chi consideravano nemico. L'odio. La disperazione. Il loro rifiuto a piegarsi. Il bisogno di giustizia. «Ed ho promesso loro che avremo trovato una soluzione.»

    Quando i suoi occhi tornarono a posarsi sul Signore di Dito della Silice, in essi riverberava ancora l'eco dello sdegno e rabbia provati, ma, ad accenderne la virente sfumatura, c'era soprattutto una vivida determinazione. Una fermezza messa ancora più in risalto dal maniera in cui sollevò il delicato mento, altera e risoluta.

    Tanto nel passato si spingeva l’ascendenza dei figli dei Primi Uomini, quanto in profondità si infiggevano le loro radici nella terra. Salde, ne costituitivano le tenaci fondamenta, assicurandone la stabilità. Stark. Flint. Dustin. Vidya, quale esponente di Casa Bolton, che mai nella sua ancestrale storia era venuta meno a tale responsabilità, non avrebbe mancato di fare la sua parte per custodire l’integrità del Nord.

    «Ho intenzione di mantenere la parola.»

    Tuttavia, per farlo, era necessario capire chi davvero fosse un alleato e chi era, se non connivente, parte del problema. Avevano bisogno di raccogliere reali informazioni – elementi più utili di quelli che potevano emergere dai meri, per quanto dolorosi, resoconti di quei crimini – e di una concreta pista da seguire per poter individuare e quindi spezzare quella rete.

    Possibile, si chiese con una punta di frustrazione, che in tutto quel tempo, nonostante il dispiegamento di forze, non fossero ancora riusciti a catturare e far parlare almeno un eretico o un loro complice?

    L’acuto squillare delle trombe all’esterno giunse loro attutito dalla distanza e dalle mura, preannunciando l’arrivo delle Aquile. “Sopra gli altri” era il loro motto, e la fanciulla di Forte Terrore si ritrovò a domandarsi se stessero dispiegando le loro ali per navigare le correnti fino a levarsi tutti assieme su quei nembi temporaleschi, o se l'agitarsi del battito delle loro argentee ali non fosse altro che foriero di nuovi venti di tempesta.

    Allacciò le mani in grembo, concentrando in esse ogni traccia di agitazione, indi, volgendosi verso le porte della Sala, attese paziente.

    , pensò, richiamando le ultime parole che Lady Barbrey le aveva rivolto prima di varcare quella stessa soglia, che gli Dei ci aiutino.

    ***


    La stentorea voce di Lord Dustin, impegnato nelle introduzioni di rito, sfumó gradatamente fino a diventare alle sue orecchie poco più di un rumore di fondo. Seduta tra Lord Flint e Ser Erik Dustin, la giovane Bolton, sogguardava la solenne e autoritaria figura del Signore di Seagard, studiandola silente. Al suo ingresso si era alzata e, pur rimanendo ferma al suo posto, aveva accennato una piccola riverenza, offrendogli rispettosamente i suoi omaggi in una scena quasi del tutto speculare a quella di Lady Josephine con il Lord di Dito della Silice. Perché se i Signori di Barrow Hall, come simboleggiato dal loro sedere ai capi opposti di quella tavola, sarebbero stati i contrappesi della bilancia del giudizio, lei e Josephine erano i bracci che ne univano gli oscillanti piatti. Il loro compito in quell'incontro era quello di equilibrare e fungere da ponte tra le due fazioni. Spostò la sua attenzione sull'altra fanciulla, curvando le labbra con fare rassicurante in risposta al suo debole sorriso, quindi azzardò una veloce occhiata verso l'uomo dal volto sfigurato seduto sulla sinistra. Ser Willas, capo della guardia personale di Lord Jason Mallister.

    I pezzi erano disposti sulla scacchiera - ognuno con il proprio ruolo. Non restava che iniziare la partita.

    "Prima di cominciare, ci tengo a ribadire che questo incontro avviene col benestare di Lady Elysa."


    Annuì a conferma delle parole del Lord. Era importante ribadire e ricordare ai presenti che il vigile sguardo di Lady Elysa, come gli occhi della sentinella ritratti sullo stemma della sua casata d'origine, era puntato su di loro.

    «Un incontro di cui la Lady Madre di Grande Inverno ha ravvisato la necessità ed urgenza» principiò, seria. Non vi era bisogno di specificarne i motivi. Era imperativo porre fine agli scontri e arginare il dilagare dell'eresia. «Affidandone a voi, Lord e Lady Dustin, la mediazione. Sicura della vostra integrità e imparzialità di giudizio.»

    Dalla lettera era chiaro la Stark fosse conscia, pur senza alcun biasimo, della diffidenza che Lord William, anche in virtù della sua amicizia con Lord Donnor, nutriva per Seagard. Ma, allo stesso tempo, sembrava non avere alcun dubbio per quanto concerneva la capacità del Dustin di rimanere neutrale. Vidya sperava fosse davvero così. Di certo, l'aver accettato di tentare una via più diplomatica attestava la buona fede e il desiderio dell'uomo di dirimere la questione al più presto evitando ulteriori inasprimenti.

    «Confida nel nostro attaccamento al Nord e a ciò che è bene per esso–», continuò, soffermandosi su Lord Flint per poi indugiare con le penetranti pallide iridi sul Mallister, pronta a prendere nota di ogni eventuale reazione - memore delle riserve che la Lady Madre aveva riguardo la profondità dell’acerbo legame dell’Aquila con la regione «–e nella volontà di appianare ogni divergenza.»

    Scelse di non dilungarsi oltre. Il peso del contenuto del biglietto gravava ancora sul suo animo.

    Al confine attendevano ordini.



    Parole: 1757
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    Q71
      Città delle Tombe · Torre dei Dustin · Sala delle Udienze · 16 febbraio 286AA
    I dorati stendardi drappeggiati lungo le snelle pareti della Torre dei Dustin sfavillavano sotto i timidi raggi del meriggio. Di tanto in tanto l’estate si affacciava anche al Nord, attutendo il quasi perenne clima vernino che caratterizzava la regione del Metalupo. Un tiepido abbraccio che avvolgeva Città delle Tombe, accendendo di vivi bagliori la superficie del fiume che la fiancheggiava e trasformando le algenti e sferzanti folate di quelle ancestrali lande in morbide e miti carezze.

    Un’atmosfera di quiete e serenità che, però, non raggiungeva l’interno dell’edificio, ove i primi brontolii di tempesta cominciavano a farsi sentire.

    Vidya distolse lo sguardo dalla feritoia e lo puntò verso l’origine del trambusto.

    La roboante voce di uno stizzito Lord Flint viaggiava veloce e chiara, superando i confini della Sala delle Udienze ed echeggiando contro le lignee volte della struttura. Alterato, tuonava il proprio disappunto, fendendo l’aria con parole vibranti di tagliente sarcasmo in risposta ai vani tentativi di placarlo della povera Lady Amanda. Sarebbe stato un eufemismo affermare che non avesse affatto gradito la decisione del padrone di casa, colpevole di essere rimasto sul Portico d’Ingresso per accogliere di persona le Aquile assieme ad un piccolo comitato d’accoglienza e a Lady Josephine.

    Nel silenzio del lungo corridoio l’epiteto affibbiato a Lord Mallister dall’indispettito ospite giunse loro nitidamente e la Bolton inarcò le sopracciglia con divertito sconcerto.

    Se in Lord Dustin aveva ritrovato la quintessenza della ruvidezza e schiettezza del Nord, da quel che poteva udire, il Signore di Dito della Silice avrebbe offerto la perfetta rappresentazione del temperamento indomito e fumantino dei discendenti dei Primi Uomini.

    “...damerino del Sud…”


    Lanciò un’occhiata eloquente alla nobildonna al suo fianco e scosse lievemente il capo. L’incontro non era nemmeno alle battute iniziali eppure la tensione era già palpabile, preannunciando per tutti loro una giornata difficile e impegnativa.

    "Vedrete quanto se la prenderà ora che a rispondere alla sua rabbia entreranno due donne."


    Tese le labbra in una linea amara e sospirò rassegnata. Vi erano luoghi e situazioni in cui la presenza delle donne continuava a non essere gradita... o considerata con il dovuto peso.

    Lord Flint avrebbe sicuramente visto l'essere accolto da delle mere lady come un ulteriore affronto - malgrado una di queste fosse la Signora di Barrow Hall in persona. Una conferma ai suoi occhi si stesse dando all'arrivo dei Mallister più rilievo e importanza che al suo.

    «Posso immaginare.»

    "Generalmente non ho problemi a gestire le intemperie dei nostri uomini. Borbottano, fanno un gran fumo, ma poi si placano davanti ad una brocca di vino, ma stavolta è diverso..."


    Le pallide iridi della Bolton guizzarono verso il viso della nobildonna, indagatrici. Qualcosa turbava Lady Dustin, rallentandone il passo come se un inconscio desiderio di rimandare il più possibile l’incontro la trattenesse. Non era di certo la paura di imporsi e far sentire la propria voce a crucciarla, l'aveva vista con i propri occhi tenere testa al Lord suo marito senza alcun timore o problema.

    Si chiese dunque se la ritrosia dell’altra fosse dovuta al fatto che, in fondo, si trovasse in accordo con il Flint. Era difatti molto più difficile risultare convincente e trovare le parole per inibire le fiamme, quando lo stesso incendio divampava nel proprio animo.

    Stavolta era diverso.

    Annuì. Non si trattava di un semplice diverbio tra orgogliosi Lord. Lo sapeva bene. I malumori di Dito della Silice non erano che increspature sull’apparentemente cheta superficie del Nord. Bolle sorgive segnale di una spaccatura più diffusa e profonda di quel che si potesse pensare, creatasi in un terreno reso sempre più farraginoso dalle infiltrazioni degli eretici e pericolosamente vicino al definitivo punto di rottura.

    Rammentava ancora le parole di Lord Dustin durante il loro primo colloquio e il modo in cui aveva usato l’ironia per rivelare quello che, con molta probabilità, era un pensiero condiviso dai più. L'idea di accogliere nel branco il viola e l'argento di Seagard era stata guardata fin dal principio con estremo scetticismo e le criticità sorte così presto non avevano fatto altro che consolidare la convinzione di un progetto destinato a fallire, complicato dalle marcate differenze e inquinato dal ricordo del sangue versato dai propri fratelli ancora troppo fresco nella terra come nella memoria. Vidya non si sentiva di biasimare coloro che condividevano questa pessimistica visione e vivevano la decisione dello Stark come una forzatura, vedendo negli scontri che destabilizzavano il territorio, non inevitabili attriti, ma una provocazione – un’ingerenza da risolvere e gestire con il pugno di ferro.

    "Ho sentito mia sorella, persino vostro fratello è inquieto. Nessuno può permettersi un'altra guerra, non ora..."


    Fece per parlare ma si bloccò, serrando di scatto la mascella. Qualche parola per me? Avrebbe voluto chiedere, ma, nel suo intimo, conosceva di già la risposta. Dubitava di trovarsi in cima alla lista dei pensieri di sua cognata Bethany. E per quanto concerneva suo fratello Lord Bolton…

    Chinò la testa, guardandosi le mani congiunte in grembo, le esili dita intrecciate in una stretta nervosa.

    Roose era stato ben chiaro alla sua partenza: era da sola. Le sue azioni lasciate al proprio giudizio. Unica responsabile di eventuali errori e loro conseguenze. Inutile dunque aspettarsi consigli o semplici rassicurazioni. Volendo avrebbe potuto leggere in quel farle sapere, per quanto indirettamente, di essere ‘inquieto’ un messaggio, ma temeva che a parlare fosse il bisogno di non sentirsi davvero abbandonata a se stessa in quella situazione.

    Soffocó la delusione, rimproverandosi per la propria debolezza, e concentrò nuovamente la propria attenzione su quanto Lady Barbrey le stava riportando, annuendo grave alla preoccupazione generata dallo spettro di un nuovo conflitto.

    "... ma tutto ciò che abbiamo sono le nostre radici, le nostre tradizioni."


    Lo stesso poteva essere detto dei Mallister, pensò tra sé e sé, guardando la donna massaggiarsi la fronte come a tenere a bada un mal di testa incipiente o mettere a tacere i pensieri che probabilmente da giorni l’assillavano.

    Un istinto, quello di voler proteggere e conservare le proprie origini, che aveva potuto osservare da vicino tramite Lady Josephine, con il suo iniziale rifiuto nei confronti di tutto ciò che riguardava il Nord e l'ostinato e viscerale attaccamento ai propri usi e costumi - dal marcare il sinuoso accento del Sud, all’indossare abiti sontuosi ma inadatti alle temperature di quelle latitudini, fino all’ostentazione della propria inveterata fede nei Sette. Il timore di perderle era comprensibile, sebbene fosse infondato ed essenzialmente frutto di chiusura e pregiudizio, poiché, come dimostrato dai membri di Casa Manderly, i quali dopo secoli mantenevano orgogliosamente vive le proprie tradizioni e radici Andale, per fare parte della regione non bisognava rinunciare alla propria identità. Un discorso che, di contro, valeva anche per coloro che paventavano ripercussioni in seguito all’annessione. L’aver accolto i Tritoni nel branco non aveva, difatti, né alterato né intaccato in modo significativo il paesaggio culturale del Nord.

    A dirla tutta, sotto questo aspetto, vi erano questioni ben più insidiose e subdole del retaggio di un neo-vassallo.

    «Preservarle è uno degli obiettivi di questo incontro» affermò con convinzione, inserendosi brevemente nel discorso.

    Erano gli eretici il vero nemico al momento. Con la loro dottrina che tanto facilmente riusciva a fare presa su una popolazione stremata e disillusa nei confronti del governo e delle classi più abbienti - viste come corrotte e lontane dalle sofferenze e dai patimenti del volgo - e con la violenza e brutalità attraverso le quali portavano avanti il loro progetto di conversione, erano una minaccia concreta per i Fedeli degli Antichi quanto per i seguaci della Stella a Sette Punte.

    Se la Casata di Seagard, come sperava, non aveva nulla a che vedere con i folli adepti di Illyria, era proprio in questo pericolo comune che un punto d’incontro, per la sopravvivenza di ciò che era caro a tutti, poteva - anzi, doveva - essere trovato.

    «Il bene del Nord è la priorità.»

    La Lady Madre aveva usato una frase simile in chiusura della sua missiva e Vidya aveva riflettuto a lungo sulle implicazioni di quel concetto all’apparenza tanto semplice ed ovvio.

    Nel messaggio la donna le era parsa combattuta. Conscia della neutralità richiesta dal proprio ruolo di reggente e della difficile posizione in cui il suo legame parentale con una delle parti la poneva. Divisa tra i suoi doveri nei confronti del nuovo alleato e quelli verso il resto degli alfieri giurati a Casa Stark. Alla ricerca di una linea percorribile tra le due fazioni che, però, faticava a visualizzare. Unica certezza: la necessità di salvaguardare gli interessi del Nord.

    Ed era secondo questa premessa che la giovane Bolton avrebbe operato.

    "Roose è lungimirante e sa che un sacrificio oggi può significare un domani un accesso sul mare anche sulla costa occidentale."


    «Un’occasione di crescita per tutti» commentò evasiva, prendendo nota dell’ennesimo - casuale? - indiretto accenno alla posizione di Roose.

    Sulla questione la fanciulla di Forte Terrore aveva le proprie riserve. Durante quelle lunghe settimane d’attesa, con i giorni che erano sembrati scorrere sempre più lentamente man mano che la data stabilita si avvicinava, aveva cercato di prepararsi all’incontro, consultando diverse mappe dei territori coinvolti nel tentativo di farsi un quadro completo della situazione.

    Poteva immaginare il disegno dietro l’accordo e l’intento con il quale era stato stretto e firmato dal Giovane Lupo e l’erede di Seagard. Ciononostante, guardando quella striscia di terra oggetto di tanta discordia, si era ritrovata a chiedersi se davvero fosse valsa la pena di creare il controverso - e preoccupante - precedente di un'espropriazione parziale dei possedimenti di un Vassallo per motivi politici e non sanzionatori.

    Si parlava del porto in costruzione come il futuro gemello occidentale di Porto Bianco ma, sarebbe davvero riuscito a svilupparsi fino a quel punto essendo praticamente affacciato sui domini delle Piovre? Gli Uomini di Ferro non erano propriamente noti per il loro essere di parola e il pericolo che le navi potessero divenire loro bersagli era reale. Anche dal punto di vista difensivo Vidya nutriva delle perplessità. La natura in quell'area aveva già provveduto a proteggere in modo ottimale ogni accesso al Nord, ponendo le Scogliere della Silice a Sud di Capo della Piovra mentre, alle spalle della costa che dava sulla Baia dell'Uomo di Ferro, la fitta foresta e le paludi dell’Incollatura rendevano vano ogni attacco. La presenza dei Mallister avrebbe davvero fatto la differenza?

    Aveva concluso fossero problematiche note a chi di dovere e che erano i suoi occhi inesperti a non vedere i vantaggi - oltre all’innegabile e preziosa esperienza da navigatori che avrebbero apportato le Aquile - di cui si parlava con tanto entusiasmo.

    La sua unica preoccupazione doveva essere quella di assicurare che in quelle lande tornasse l’ordine e la stabilità.

    "Lord Flint del resto…"


    «… Lord Flint merita delle garanzie.»

    Era Dito della Silice ad aver materialmente pagato il prezzo di questo ‘sacrificio’ in nome del Nord. Ed ora vedevano i loro luoghi di culto vilipesi da fanatici e i propri territori messi a soqquadro dagli eretici.

    «Ci muoviamo su un terreno instabile e insidioso» ammise. Le legittime rimostranze si intrecciavano a possibili interessi dei soggetti coinvolti al punto da rendere difficile discernere cosa li muovesse. L’ira del Flint, ad esempio, era più che giustificata, ma non si poteva escludere del tutto che il suo sospetto nei confronti dei Mallister non fosse alimentato anche dalla tentazione di poter riprendere il controllo di quelle terre ed, eventualmente, goderne i benifici. «La mia speranza è che una volta appurata l’estraneità - o meno - di Seagard ai fatti intercorsi nei territori al confine, l’orizzonte possa apparire più chiaro a tutti.»

    *


    Varcata la soglia della Sala delle Udienze, come previsto dall’etichetta, Vidya si tenne un passo indietro rispetto a Lady Dustin, lasciando alla padrona di casa il compito di accogliere Lord Flint e introdurla, quindi si portò avanti.

    Nell’aspetto e nei colori una vera figlia del Nord.

    La lunga chioma corvina era stata lasciata libera sulle spalle, fatta eccezione per alcune ciocche raccolte e annodate sulla nuca in una semplice ma raffinata acconciatura richiamante gli intrecci delle fronde degli Alberi Diga. Il cremisi del lungo abito evocava alla mente il rosso della sacra linfa, contrastando con il suo marmoreo incarnato, tanto simile alla loro bianca corteccia.

    «Virðing mín, Magnar Flint*» salutò solenne, sollevando i lembi della sopragonna e abbassandosi con un movimento fluido e aggraziato. Una riverenza non troppo profonda, come poteva essere quella da riservare al Lord Maggiore o al Re, ma neanche solo accennata come avrebbe potuto fare essendo, tecnicamente, membro di una casata quasi dello stesso rango. Un modo, assieme all’utilizzo dell’antico linguaggio - accenno dell’ancestrale origine delle loro famiglie - per mostrare il proprio rispetto all’uomo e cercare di lenire il fastidio per il trattamento ricevuto fino a quel momento.

    Si sollevò, assumendo la sua tipica algida postura. «Lasciate che vi esprima la mia gratitudine per aver prontamente accettato di prendere parte a questo incontro.»



    Parole: 2022


    Virðing mín, Magnar Flint = I miei omaggi, Lord Flint.
  4. .
    Missiva inviata la sera del 30 gennaio 286 da Città delle Tombe, in seguito a: quest e libera




    Città delle Tombe, 30 gennaio 286AA


    Alla Lady Madre di Grande Inverno.

    Mia Signora, nelle concise righe che seguono non mi dilungheró, intendendole approfondire in altra sede, sulle ragioni che ci hanno portato a deviare dalla piú sicura Strada del Re per poi, forse è il caso di dire, provvidenzialmente, giungere nei domini di Casa Dustin.

    Qui siamo venute a conoscenza delle voci, su di un presunto collaborazionismo con i proseliti dell'eresiarca Illyria, che gravano sull'Aquila Argentea - sulla base, è doveroso rimarcarlo, di informazioni desunte e frammentarie, ma che stanno avendo l'effetto di nutrire ed alimentare la già soggiacente diffidenza verso Lord Jason Mallister e la sua famiglia.

    A questo proposito Lord Dustin ed io, abbiamo pensato di anticipare l’azione diplomatica prevista, istituendo a Barrow Hall un tavolo di discussione tra Casa Mallister e Casa Flint di Dito della Silice per dipanare e verificare, con tutte le cautele del caso, le informazioni in nostro possesso e chiarire ogni reciproca recriminazione. Al contempo abbiamo deciso di sospendere, per il momento, il pellegrinaggio. Non riteniamo sicuro proseguire, avendo già sventato un tentativo di rapimento, figlio di questo clima di sospetto, ai danni di Lady Josephine.

    Ho avuto modo di confrontarmi con la giovane Mallister e, pur essendo dispiaciuta della battuta d'arresto della spedizione religiosa, nella cui organizzazione ella si era tanto spesa, concorda con la necessità di risolvere al più presto queste criticità, auspicandosi di fugare ogni dubbio sull'integrità del suo casato, ed offre la sua massima collaborazione.

    Vi scrivo dunque per chiedere il vostro consenso affinché questo incontro abbia luogo a Città delle Tombe e si svolga sotto l'egida Stark.

    Abbiamo la parola di Lord Dustin che il confronto avverrà con imparzialità e che eventuali velleità giustizialiste saranno imbrigliate. Quanto a me, per quel che posso, mi prodigherò a portare a termine il compito di distensione e pacificazione che mi avete affidato.

    Aspettando il vostro benestare,


  5. .
    q6-1
      Città delle Tombe · Studio di Lord Dustin · Tramonto · 30 gennaio 286AA
    Tenendo l'orlo della gonna lievemente sollevato affinché non le fosse d'impaccio, Vidya, si incamminò lungo l'ultimo tratto di portico; il leggero rintocco degli stivaletti sulle assi in legno scandiva i suoi passi, alternandosi a quello più pesante e marziale del Lord che, a grandi falcate, la precedeva.

    Parte di lei avrebbe voluto riposare come suggerito da Lady Barbrey. Lavare via le ore di viaggio, assieme alla stanchezza accumulata in quei giorni, con un rilassante caldo bagno. Spogliarsi, almeno per quel breve lasso di tempo, dei pesanti e opprimenti abiti come di ogni preoccupazione e responsabilità. Ritirarsi nella sicurezza di una stanza dopo le lunghe notti trascorse all'aperto, tendendo l'orecchio ad ogni sinistro movimento proveniente dal buio.

    Ma non poteva permetterselo. C'erano questioni impellenti da discutere e importanti decisioni da prendere.

    Vidya catturò una ciocca, sfuggita dalla blanda stretta del fermaglio a seguito di una folata di vento particolarmente vigorosa e, sistemandola distrattamente dietro l'orecchio, sollevò il volto. La torre verso cui erano diretti si ergeva, snella e slanciata, poco più avanti. Come le altre strutture all’interno della cinta non vi era dubbio fosse molto antica - probabilmente risalente al primo insediamento, quando le armi erano forgiate col bronzo e i Re dei Tumuli governavano il Nord - longeva testimone di secoli di storia quanto arcaico simbolo di potenza e prestigio. Diversi vessilli ne vestivano di giallo le pareti in pietra e legno, muovendosi, silenti e fieri, ad ogni refolo. Non vi era punto, realizzò, spaziando velocemente lungo le altre torri ed edifici, in cui lo sguardo si potesse posare senza incontrare lo stemma del Casato. Aveva spesso sentito definire i Dustin una famiglia particolarmente orgogliosa ed, ora, mentre i suoi occhi indugiavano sulla corona nera che - a richiamo del loro regale lignaggio - sormontava le rugginose asce da battaglia incrociate, ne comprendeva il motivo.

    Sogguardò l’uomo, studiandone il piglio fiero, e la mente tornò allo scambio a cui aveva assistito pochi istanti prima.

    Le donne del Nord erano note per il proprio spirito indomito. Una forza che si esprimeva in maniere diverse: in campo militare, in ambito politico e muliebre. Giustappunto, durante il suo breve soggiorno a Grande Inverno, aveva avuto potuto osservare la saldezza della Lady Madre nel gestire il seggio, avendo a che fare con tracotanti - e a volte rissosi - Lord.

    A spiazzarla, in quel momento, non era stato il vedere Lady Dustin far sentire la propria voce. Era stata la confidenza che si evinceva dalle parole schiette - quasi sfrontate - che aveva rivolto al marito, e il modo in cui questi non le avesse minimamente intese come una lesa maestà, limitandosi ad ignorarle e perseverare, con scorno della sua signora, nel proprio atteggiamento. Una disinvoltura e libertà del tutto inconcepibile per altre nobildonne. Anche al Nord.

    Pensò a Bethany, alla quale gli Dèi avevano riservato un destino ben diverso da quello della sorella. Se Lady Bolton avesse difatti anche solo provato ad immaginare di usare quei toni - e per di piú in pubblico - nei confronti di Roose, Vidya ne era certa, sarebbe stata la prima e ultima volta.

    Chinò il capo, tranciando di netto quel filo di pensieri, sentendosi quasi di far torto al fratello con simili considerazioni e, iniziando a risalire le scale che li avrebbero condotti allo studio, tentò di focalizzarsi su quanto l'attendeva e prepararsi a discutere delle spinose questioni in ballo.

    Nonostante la sicurezza che ostentava, nascondendo ogni dubbio e timore dietro una maschera di altero distacco e formalità, era pur sempre una giovane Lady, nuova a destreggiarsi tra i delicati equilibri sui quali si reggeva il regno. E questo per lei era l'ennesimo banco di prova.

    L’interno della torre era rischiarato dai cupi raggi del sole calante. Da quell’altezza, notò, lanciando un’occhiata attraverso le finestre, si aveva una visuale quasi del tutto completa del territorio circostante. Colse il baluginante brillio dell'affluente del Lancia di Sale oltre le alte palizzate. Scorse il lento ruotare delle pale del massiccio mulino a vento che fiancheggiava la collina. E, poco più in basso, intravide parte dell’ingresso, ove alcuni soldati della loro scorta erano impegnati a scaricare i primi bagagli mentre i cavalli, di cui fin lì si potevano udire gli irritati nitriti, venivano condotti verso le scuderie. I suoi occhi, infine, si posarono su un gruppo di figure più lontane.

    I prigionieri.

    Tese le labbra in una linea sottile, determinata. Quegli uomini erano la testimonianza dello stato farraginoso della Regione, del diffuso senso di abbandono in cui parte della popolazione versava e del crescente inasprimento degli animi. Il loro ravvedimento poteva essere una speranza.

    La voce del Lord irruppe dunque nel suo rimuginare, riportandola al presente.

    "Come sta Roose? Gli è passato l'acciacco alla schiena? Inizia a farsi vecchio anche lui..eh eh.."



    Vidya aggrottò la fronte, confusa, e, allungando il braccio per impedire alla porta dello studio di richiudersi alle spalle dell’altro, lo seguì all’interno della stanza.

    «Da quando ho lasciato Forte Terrore, più di una luna fa, non ho avuto modo di tenermi in contatto con Lord Bolton», premise, chiedendosi con non poca preoccupazione se non si riferisse a qualche sviluppo recente di cui lei era all’oscuro, «l’ultima volta che ci siamo visti, tuttavia, godeva di ottima salute.» Quindi, soffocando il timore che l’aveva attanagliata, accennò un piccolo sorriso. «Come avete detto poc’anzi: al Nord siamo fatti di un’altra pasta.»

    Il Signore di Città delle Tombe non difettava solo in diplomazia, constatò con divertito sconcerto mentre l'osservava ricadere pesantemente sulla poltrona, ma anche in buone maniere. Non solo l'aspetto, persino il comportamento dell’uomo evocava epoche lontane - tempi in cui le relazioni erano più semplici e spontanee, prive di ogni affettazione e delle insidiose e rigide regole dell’etichetta. La sua poca raffinatezza, tuttavia, non le sembrava nascondere alcun reale intento di mancarle di rispetto.

    Dopo un breve momento di esitazione, incerta se dover attendere l’invito a sedersi o meno, la giovane nobildonna prese posto sulla poltrona posta innanzi al massiccio scrittoio, il caldo fruscio del velluto ad accompagnarne gli aggraziati movimenti. Discreta, scorse velocemente lo sguardo lungo il piccolo studio. Se dall'esterno la magione dei Dustin appariva modesta ed essenziale rispetto ad altre fortezze, il suo interno poteva rivaleggiare con le più eleganti roccaforti della Regione - seppur, osservò, soffermandosi sulla scarna robustezza della scrivania, mantenendo la sobrietà e praticità del Nord.

    Non appena l’uomo iniziò a parlare, Vidya comprese ancor di più la necessità di affrontare il discorso in privato. In tempi precari e di tensione come quelli che stavano vivendo, ogni appunto e critica rivolta al proprio Lord Maggiore poteva facilmente essere travisata e strumentalizzata da chi aveva interesse a trarne guadagno, o alimentare il serpeggiante risentimento. Un pericolo da cui lei stessa - soprattutto in quanto Bolton - doveva guardarsi, calibrando con cura ogni parola pronunciata.

    Lo ascoltò esprimere riserve sulle scelte di Lord Stark, facendo attenzione a non far trapelare le proprie opinioni a riguardo e, quando l’altro si affrettò a spiegarsi, annuì comprensiva, come a rassicurarlo di intendere il senso del suo discorso. L’imperturbabile compostezza interrotta solo per un istante con l'inarcarsi di un sopracciglio alle parole sulla Mallister.

    «Ho avuto modo di conoscere Lady Josephine,» principiò, nascondendo il leggero disappunto per quella visione tanto limitante, «posso testimoniare che il Lord che avrà l'onore di coprirne le spalle con i colori del proprio casato potrà vantarne, non solo la beltà e riservatezza,» doti che la fanciulla di Seagard indubbiamente possedeva, «ma godere di tutte quelle qualità proprie di una giovane Lady del suo rango, e scoprire in lei la risolutezza e coraggio dimostrati nell'organizzazione e gestione di questa missione diplomatica.»

    L’utilizzo di un audace accostamento culinario per spiegare l’incompatibilità tra le genti di terre e culture tanto lontane tra di loro, nonostante la gravità della situazione, le strappò un piccolo sorriso. «È un abbinamento difficile,» concesse. Lei stessa, come per il perdono ai Bruti, riteneva che quelle del Giovane Lupo fossero scommesse, più che scelte, frutto di un eccessivo ottimismo e della indefessa fiducia che il Lord riponeva nei propri alfieri. Alla fine erano loro a dover affrontare le conseguenze delle sue decisioni e arginare eventuali criticità sul territorio. «Ma, come la storia ci insegna con i Manderly, non impossibile.» Con la giusta ricetta, e sensibilità di chi la componeva, anche la carne di montone poteva essere accostata a del succo di limone. «Invero la situazione, sotto molti aspetti, è diversa. I tempi sono diversi.» Quando, dopo l’esilio, il Tritone era stato accolto nel branco del Metalupo, le sue mani non erano certo macchiate di sangue fresco dei Primi Uomini e nessun Lord in carica era stato privato di parte dei propri possedimenti. «La diffusione dell'eresia, poi, non fa che aumentare l’attrito tra le fazioni…» Fece una pausa, insicura di come approcciare la faccenda. «A tal proposito,» riprese, concentrando tutta la propria tensione nella stretta delle mani che teneva in grembo, «con noi abbiamo dei prigionieri, parte di un gruppo armato che, a cinque giorni da qui, ci ha teso un’imboscata. Uomini il cui giudizio è stato offuscato dalla rabbia e dalla paura a causa dei soprusi subiti per mano dei seguaci di Illyria e dei loro conniventi.»

    Sospirò, portando la mente a quei concitati e angoscianti momenti. L’albero riverso al centro del sentiero. Il sordo schiocco della freccia che si infiggeva nel legno della carrozza. La vischiosità del sangue contro le sue dita mentre ricuciva lo sgarro che avevano aperto sul volto di uno degli ostaggi. La snervante attesa durante la sortita. Lo sdegno e odio negli occhi dei prigionieri con le ginocchia nel fango…

    «Dall'interrogatorio è emerso che il tutto era stato orchestrato con obiettivo ultimo ottenere l’aiuto della Mallister» proseguì, una volta terminato il breve resoconto dei fatti intercorsi nelle Terre delle Tombe e degli orrori emersi dalle storie personali dei prigionieri. «Si auspicavano che questa, in qualche modo, intercedesse in loro favore e fungesse da deterrente contro gli eretici responsabili dell'assalto e razzie nei loro villaggi.» Come esattamente intendessero procedere, a distanza di giorni, non le era ancora chiaro. Ma da quanto aveva potuto constatare, molte delle loro azioni erano frutto dell’emotività e non di piani o strategie ben studiati. «Eretici che hanno potuto fare affidamento su appoggi nel Nord.»

    Tacque, fissando le pallidi iridi sull'uomo. «Si nascondono tra i mercanti. Fanno proseliti. Sobillano e terrorizzano la popolazione.»

    Veniva da chiedersi se gli scontri e le provocazioni che stavano portando scompiglio al confine non fossero dovuti solo ad una semplice incompatibilità, ma avessero anche nella follia Illyriana la loro matrice.

    «Temo non siano casi isolati e che la diffusione sul nostro territorio sia più capillare e strutturata di quanto ci si aspettasse.»



    Parole:1756
  6. .
    q6-1
      Città delle Tombe · Tramonto · 30 gennaio 286AA
    Attraverso il vetro appannato della carrozza il paesaggio appariva nebuloso, come velato da una leggera foschia. Un dipinto privo di ogni dettaglio e contorno, in cui colori e forme scorrevano lenti sotto lo sguardo e il cupo verde e paglierino dell’erba si mescolava all’arido bruno delle coltivazioni e degli alberi, per poi sfumare nel bardiglio del cielo.

    Le spoglie e spettrali lande dell’entroterra, con i silenti tumuli e le distese punteggiate dalle pietre di altari abbandonati, erano ormai alle loro spalle. Gli accidentati sentieri, lungo i quali avevano arrancato per giorni, avevano gradualmente lasciato il passo a stradine piú praticabili e le prime abitazioni, sempre meno isolate, avevano fatto la loro comparsa, segnalando l’approssimarsi della loro destinazione.

    Scegliere di rinunciare alla sicurezza e comodità garantita dalla Strada del Re - ne era consapevole - era stato un grosso azzardo. Tuttavia, l'itinerario indicato loro dal Maestro di Piazza di Torrhen, si era rivelato molto meno conveniente di quanto avessero mai potuto presagire. La scorciatoia, di per sé a stento visibile per via dell’incuria e disuso, era stata difatti resa quasi del tutto impraticabile dal fango creatosi in seguito alle precipitazioni, complicando ulteriormente la loro avanzata. Date le condizioni, senza il provvidenziale apporto degli uomini Dustin, in quel territorio ingannevole e privo di reali riferimenti agli occhi dei forestieri, avrebbero probabilmente rischiato di perdersi, o, a causa delle numerose soste forzate per liberare i carri impantanati, accumulare un consistente ritardo sulla tabella di marcia prevista.

    Vidya passò la mano sul finestrino, sentendo la fredda patina di condensa dissolversi sotto le dita, e guardò il grosso rilievo che si stagliava di fronte a loro increspare, simile ad un'improvvisa onda erbosa, l'irregolare linea dell’orizzonte. La Collina della Grande Tomba. Era lì, secondo le leggende tramandate nel Nord, che da millenni giaceva il Primo Re - il vero primo sovrano dei Primi Uomini - di cui il tempo poteva aver obliato il nome, ma non il mito della sua figura. Altre, invece, ricordò, considerando l’imponenza del tumulo, affermavano fosse il luogo di riposo di un Re dei Giganti.

    Sulla cima, nonostante la distanza, era possibile scorgere il profilo di Barrowhall, con le sue alte torri quadrangolari in legno, dominare sull'ondulata pianura circostante. Una vista, quella dell’ancestrale seggio di Casa Dustin, che aveva spesso silenziosamente cercato nelle ore e nei giorni precedenti, quando lo sconforto e la stanchezza aveva minacciato di prendere il sopravvento, rendendo ogni miglio più lungo ed ogni passo più pesante.

    Non mancava ancora molto.

    Sospirò, rincuorata, e rivolse la propria attenzione alla ghirlanda che teneva in grembo, osservando compiaciuta l'intricata composizione e il modo in cui i diversi elementi si incastravano gli uni con gli altri. Il contrasto cromatico tra il rosso-ocraceo dei rami del ginepro con il candore degli alberi diga. Resilienza e protezione. La flessibilità del salice alternata alla robustezza degli alberi sentinella. Sacralità e Secolarità. Una mescolanza di sfumature e consistenze, quanto di simbologie e significati, che stava dando vita ad una sorta di diario arboreo del loro pellegrinaggio, in cui ogni componente narrava una tappa e portava con sé l'essenza dei territori attraversati.

    Controllò la tenuta della base e, avendo cura di non pungersi con gli aghi, sistemò i diversi rametti, allentandoli e stringendoli ove ve ne fosse bisogno. Giunta all’ultimo - incompleto - anello, si fermò. I polpastrelli a sfiorare il viticcio che lo componeva e la mente volta alla mattina in cui lo aveva colto, recidendolo da un antico monolite.

    Ricordò la meraviglia provata nel trovarsi dinanzi ad uno di quei reperti a cielo aperto, solida eco di un'epoca remota e misteriosa, di cui, fino a quel momento, aveva potuto solo leggere vaghe descrizioni e testimonianze sulle ingiallite pagine dei libri. Ed avvertì, come allora, l’acuto desiderio di lasciarsi alle spalle la spedizione e rimanere lì, a studiarne i dettagli per scovare indizi e scostare il velo che celava il passato della sua gente. Sentimento immediatamente soffocato dall’amara consapevolezza dei suoi doveri e responsabilità. Aveva quindi guardato l’antico blocco, avvolto quasi del tutto da un groviglio di rampicanti ed erbacce, trovandovi la perfetta rappresentazione della sua condizione e stato d’animo. Solitaria e dimenticata, stretta nella morsa del mondo che la circondava.

    Era stato catartico liberarlo da parte di quel viluppo, dandogli respiro, ma i segni erano rimasti. Alcuni leggeri, sotto forma di superficiali macchie e indentature che il tempo avrebbe levigato e lavato via, altre, invece, erano incise come cicatrici sulla pietra, alterandone l’aspetto per sempre. C’erano poi tracce più recenti, conseguenze del temporale della sera precedente, che persistevano, cristallizzate dal gelo di quell’alba senza sole, come la sgradevole sensazione lasciata dalle parole della Mallister nei suoi confronti.

    Vere e proprie accuse che sul momento aveva ignorato, preferendo concentrarsi nel cercare di stabilire una connessione a livello umano con i prigionieri, provando a riscuoterli dal trincerato silenzio in cui si erano chiusi e permettergli - seppur brevemente, e forse troppo tardi - di trovare in qualcuno ascolto e conforto. A distanza di ore, tuttavia, queste continuavano a perplimerla e a riproporsi nei suoi pensieri.

    "…Avete appena commesso un ingiustizia, Lady Vidya…
    Sottrarre ad un uomo il libero arbitrio. Ora è prigioniero sia di catene fisiche che spirituali…"



    Cosa c'era di iniquo e irragionevole nel sottrarre un uomo, già piegato da morte, dolore, odio e poi dalla prigionia, ad una ulteriore -per quanto inconsapevole- angheria? Un gesto, quello della Mallister, che poteva apparire come una provocazione a chi una scelta non aveva - e uno schiaffo agli sforzi profusi dagli uomini della scorta e da Carol.

    In quale irreparabile danno morale aveva mai precipitato il malcapitato e i suoi compagni, ponendo fine alle sue velleità di martire?

    Lady Josephine aveva forse dimenticato di fare parte di una delegazione diplomatica? Il loro operato doveva essere scevro di ogni estremismo ed emotività. Guardando all'imminente arrivo nei territori teatro di quella deriva d'intolleranza, fondamentale sarebbe stata, per entrambe, la capacità di sedare quell'animosità, e dimostrandosi capaci di rimanere salde nello spirito, anche davanti a smaccate e deliberate provocazioni, improperi o dileggi; di essere pronte ad opporre al cieco fanatismo la ragione, e al personalismo la collaborazione.

    Il suo frapporsi alla lama offerta al prigioniero e il suo riscuoterla ad alta voce davanti a tutti, che tanto avevano arruffato le piume della Giovane Aquila, era avvenuto proprio in quest'ottica di distensione.

    Non potevano permettersi di fallire, cedendo alla pressione che gravava su di loro.

    Strinse le labbra in una piega amara e, in silenzio, riprese pazientemente a lavorare il viticcio. Lo modellò e piegò, facendolo scorrere tra i rametti già presenti. Un modo per tenersi occupata durante quell'ultimo tratto di strada, quanto uno scudo per scoraggiare ogni tentativo di approccio e dialogo da parte dei suoi compagni di viaggio. Ad un osservatore esterno sarebbe difatti parsa completamente assorta in quel lento, ripetitivo, compito e del tutto distaccata ma, in realtà, Vidya ascoltava, vigile, prendendo nota di quanto accadeva intorno a lei. Di tanto in tanto, le mani interrompevano l’intrecciare e le pallide iridi Bolton scivolavano discrete verso il finestrino, scrutando impazienti oltre la breccia aperta nella condensa.

    *


    Varcarono le porte della cinta al calare del tramonto, mentre i tiepidi raggi del sole stavano perdendo l’eterna lotta contro le scure ali del Pipistrello, tingendo ogni cosa di tenui e malinconiche sfumature.

    Annunciati dallo stanco scalpitio degli zoccoli dei cavalli e dal sordo rombo delle pesanti ruote che affondavano nel compatto strato di terra umida, si erano mossi lungo le dritte e ampie vie che l’attraversavano, per poi risalire, lentamente, il pendio verso il grande tumulo.

    Città delle Tombe era uno degli insediamenti più popolosi e antichi del Nord, e la sua anacronistica architettura sembrava testimoniarne l’appartenenza ad un altro tempo. Aveva osservato, man mano che li superavano, i semplici edifici e le abitazioni in legno, soffermandosi con occhio critico sulle datate, e potenzialmente vulnerabili, strutture di difesa costituite dalle alte e possenti palizzate, ben lontane dalle solide e rassicuranti mura delle fortezze di altri seggi; ed aveva colto i volti e le confuse voci dei curiosi al loro passaggio, che, attirati dalla vista dell'insolito convoglio e dei pellegrini, avevano interrotto le loro mansioni in preparazione della sera affacciandosi dalle finestre o fermandosi lungo il ciglio della strada.

    Scesa dalla carrozza, il suo sguardo si posò immediatamente sulle figure ferme ad attenderle all'ingresso della magione.

    Lord Dustin svettava su tutti. Alto e solido, con gli scarmigliati capelli castani che gli sfioravano le spalle in ispide ciocche e la folta barba, sembrava uscito da uno dei racconti delle leggende del Nord sugli antichi e selvaggi guerrieri dei Primi Uomini. Dal piglio severo e lievemente accigliato, le fissava solenne.

    Al suo fianco, la Lady sua moglie, si distingueva per raffinatezza e grazia bilanciando la trasandata ruvidezza del Lord. Il volto maturo, dai morbidi e regolari lineamenti, conservava intatta la bellezza della gioventù, ed era incorniciato da una lunga chioma di un biondo cosí chiaro da rendere quasi indistinguibili i primi accenni dell'età. Guardandola con attenzione, poteva ritrovare in lei i colori e i delicati tratti di Bethany, sebbene gli anni trascorsi al Forte e i dispiaceri dell’ultimo anno avessero privato Lady Bolton del vigore e radiosità che emanava la sorella.

    Fiera, con passo fluitante, coprí la breve distanza che li separava, portandosi al loro cospetto.

    «Lady Vidya Bolton,» si presentò e, impeccabile e aggraziata nelle movenze, si produsse in una riverenza in segno di rispetto. La sua algida eleganza ed austerità messa in risalto dal castigato abito in velluto porpora visibile sotto al mantello, con l’alto collo e le rigide e affilate linee dal taglio quasi militaresco. «I miei rispetti alle loro Signorie.»

    Rivolse poi la sua attenzione alla donna che si trovava alle spalle dei Dustin. L'aristocratico portamento e le pregiate vesti dalla tipica sobria fattura del Nord, indicavano fosse anch'essa d'alto rango. Si soffermò sugli indagatori occhi chiari con i quali, silenziosa, le studiava, simili ad altri che aveva già incrociato giorni prima, ed un nome prese forma nella sua mente. Tallhart. «Ossequi, Lady Amanda.» Ser Erik Dustin, suo marito, non le era accanto. Forse, come Lord Cerwyn, si trovava ancora a Sud o al seguito del Giovane Lupo.

    Quando una delle servitrici, su ordine della Lady, le si avvicinò, prese il tozzo di pane dal piatto e, intingendolo delicatamente nel sale, lo avvicinò alle labbra. «Ég tek tilboði þínu um brauð og saltr*», mormorò, scegliendo di suggellare quella reciproca promessa utilizzando l’antico linguaggio. Parole forse ignote ai più tra i presenti, ma il cui suono e significato era sicuramente familiare a coloro che potevano vantare radici profonde nella terra del Nord. Un modo per omaggiare, in quanto discendenti dei Re dei Tumuli e dei Re Rossi, l’ancestralità dei loro casati.

    «Vi siamo grati per l'ospitalità che ci state accordando, seppur in simili impreviste circostanze» disse, a conclusione del rito. «E vi ringraziamo, Lord Dustin, per aver prontamente inviato uomini in appoggio, a noi e al nostro seguito di pellegrini.»

    "Non ho ben capito che state facendo però e che ci fate qua."



    Una domanda diretta, priva di ogni orpello diplomatico. Era chiaro che il Lord, ad onta del chiaro imbarazzo di Lady Barbery, non fosse tipo da perdersi in inutili chiacchiere e convenevoli. Vidya non si scompose e, seria e imperturbabile, resse il suo sguardo, indecisa nello stabilire se la confusione dell’uomo, riguardo lo scopo del loro pellegrinaggio, fosse dovuta ad una qualche ambiguità del messaggio inviato dal Tallhart; o se si trattasse di un modo per esprimere le proprie riserve riguardo la messa in atto della loro ambiziosa, e con molta probabilità troppo utopistica, azione pacificatrice. Uno scetticismo che con loro scorno si erano già trovate ad affrontare a Piazza di Torrhen ma che, ora, sentiva di iniziare a comprendere.

    «Spirano venti di fronda» rispose, altrettanto netta ed essenziale. «Su mandato della Lady Madre di Grande Inverno ci stiamo dirigendo verso i territori di confine Flint-Mallister, ove tafferugli - sfociati in atti di reciproco spregio - hanno portato all'esasperazione degli animi tra i fedeli dei Sette e degli Antichi Dèi.» Un’animosità e livore che, non c’era bisogno di specificarlo, se non arginati, potevano potenzialmente infiammare l’intera Regione. «Il proponimento di questa delegazione», continuò con convinzione, la sua voce pacata ma ferma, «è quello di sedare gli animi e rinfocolare il minacciato spirito di fratellanza.»

    Fece dunque una pausa, la seconda parte della domanda era più spinosa da affrontare.

    Perché si trovavano lì?

    Il Maestro Harwin era stato molto convincente nell’esporre i vantaggi della scorciatoia e la giovane Lady si era lasciata tentare, confidando nell’esperienza e nella conoscenza del territorio dell’anziano sapiente. Forse se fosse stata più lucida, e non provata da una lunga e tormentata notte insonne, avrebbe prestato più attenzione alle mappe e sollevato qualche obiezione.

    «Abbiamo avuto rassicurazioni sul fatto che, seppur non di agevole percorrenza, la strada attraverso le Terre delle Tombe avrebbe consentito di accorciare i tempi,» spiegò, limitandosi a raccontare i fatti, «cosa per noi indispensabile considerando i fedeli al nostro seguito e vista l'urgenza di giungere a destinazione.» Trasse un sospiro e scosse lievemente la testa con leggero disappunto. «Ma è evidente che, a monte, ci sia stato un errore di valutazione.»

    I fuochi che per gran parte del viaggio erano stati punto d'incontro e occasione di convivialità, accendendo di voci e persino di risate le tenebre che circondavano l’accampamento durante le soste, erano diventati sempre più freddi e silenziosi. Qualcosa si era spezzato. L'umore dei soldati e dei pellegrini, già messo a dura prova dalla disavventura vissuta per mano dei falsi briganti, era stato del tutto spento ed incupito dalle difficoltà e continue complicazioni sul loro cammino.

    Dal canto suo, la giovane Bolton, aveva fatto il possibile per limitare i disagi, cercando di rassicurare gli animi nella sua veste di Cerimoniere e alleviare le sofferenze fisiche distribuendo cure e rimedi all'occorrenza. Ma c’erano stati momenti in cui aveva seriamente temuto per la riuscita della spedizione, e lo strisciante dubbio che potessero essere state depistate di proposito l'aveva attanagliata più di una volta.

    «Un errore che si è, però, rivelato provvidenziale» riprese, seria, impedendo a quell'intoppo di scoraggiarla e tentando di razionalizzare quella disavventura, concentrandosi su ciò che di positivo era venuto da questa. «La deviazione ci ha permesso di constatare con i nostri occhi la situazione d'instabilità nel territorio» cosí come, aggiunse mentalmente, valutare le posizioni dei Lord dinanzi alla nascente crisi, «e realizzare la reale portata del problema.» Se come previsto avessero seguito la Strada del Re, dove il costante flusso di viandanti e il maggior controllo la rendeva una tratta più tranquilla, non si sarebbero imbattute in Aldric, venendo così a conoscenza dell'avanzata dell'eresia; né, grazie ai prigionieri ora in coda al corteo, avrebbero aperto gli occhi sulla reale portata della minaccia che incombeva sui domini del Metalupo. «Ora abbiamo una maggiore consapevolezza di ciò che potrebbe attenderci al confine.»

    Non avevano approcciato la missione diplomatica con leggerezza, eppure la situazione rischiava di superare le loro più pessimistiche aspettative.



    Parole: 2452

    * Ég tek tilboði þínu um brauð og saltr = accetto questo pane e sale
  7. .
    CITAZIONE (Freene @ 28/11/2023, 07:00) 
    Ragazze, dovete scusarmi ma io ho problemi a comprendere alcune cose del vostro viaggio, datemi una mano. Stavo aprendo la quest al villaggio incriminato ma mi sa che siamo ancora molto lontane dall'arrivarci, giusto?
    ...
    Pensavo che tutta la quest fatta precedentemente fosse avvenuta nei boschi dell'Incollatura. Invece se ho capito bene voi avete fatto così?

    E ora devo quindi aprirvi dai Dustin e non a destinazione?

    Sì, la prossima tappa dovrebbe essere Città delle Tombe.

    (A Piazza di Torrhen ci è stato chiesto di scegliere tra due percorsi: seguire la Strada del Re o tagliare attraverso le Barrowlands per risparmiare giorni di viaggio. Abbiamo scelto la seconda opzione.)

    Secondo il piano a metà strada saremmo state raggiunte da uomini Dustin e saremmo attivate al seggio in 5gg (la quest precedente ne ha coperti circa due).
  8. .
    05-05
      Terre delle Tombe · 25 gennaio 286AA
    La pioggia non accennava a diminuire, fitta e sottile, si posava lieve sui soldati e i pellegrini all’esterno, bagnando gli aspri rilievi e i tumuli intorno a loro. Di tanto in tanto un vernino raggio di sole sfuggiva alla coltre di nubi e veniva catturato dalle gocce che si trattenevano sul vetro del finestrino, facendole brillare come lacrime di luce, attutendo con il suo freddo chiarore la penombra che riempiva la cabina. L’atmosfera grigia e cupa era accentuata dal teso silenzio che appesantiva quella lenta marcia, interrotto solo dal costante, leggero, tamburellare della pioggia e il cadenzato rumore degli zoccoli e lo stridio del legno e del ferro della carrozza in movimento.

    L’accampamento era stato smantellato in gran fretta, i carri ancora utilizzabili dopo la tempesta caricati con i rifornimenti restanti e di tutto quanto ritenuto necessario al prosieguo del viaggio, e un soldato inviato con urgenza al seggio di Casa Dustin. Erano partiti immediatamente, ad onta delle condizioni avverse, impazienti di lasciarsi alle spalle quei luoghi e determinati a sfruttare le ore davanti a loro per coprire quanta più strada possibile. Ma le Terre delle Tombe sembravano altrettanto decise ad opporsi al loro avanzare, la strada resa quasi del tutto impraticabile da pozze d’acqua, fanghiglia e gli improvvisi torrentelli che l’attraversavano gorgoglianti, rendendo ogni miglio una conquista.

    Vidya alzò la mano e, cogitabonda, tracciò il percorso di quelle stille di pioggia con la punta delle dita, sentendo il sottile strato di condensa sciogliersi al suo passaggio.

    Inutili erano stati i tentativi di distrarsi. La scomparsa dei cinque uomini dell’avanscoperta un’ombra costante che riusciva a velare ogni suo pensiero di un’inespressa inquietudine, andando ad aggiungersi allo stato di apprensione che l’accompagnava fin dall’inizio della spedizione. Aveva provato a lavorare alla ghirlanda, cercando in quei metodici e ripetitivi movimenti l’ordine e il controllo che sentiva sfuggirle, ma nella sua mente continuavano ad affollarsi domande e angoscianti timori. Aveva quindi cercato di immergersi nella lettura, nella speranza di trovare in quei lontani racconti l’estraniamento necessario, salvo scoprirsi incapace di concentrarsi sul testo, le parole scritte sulle pagine troppo deboli per sovrastare le voci nella sua testa.

    Alla fine si era arresa e aveva smesso di ignorarle. Il quieto sguardo rivolto all’esterno, oltre il paesaggio che scorreva lento e apparentemente innocuo al di là del vetro, perso nell’immaginare i diversi possibili scenari che l’attendevano. Uno dei pugni chiuso attorno al fermaglio di sua madre - come la notte precedente, quando l’ira degli Dèi era sembrata abbattersi su di loro - nell’istintiva ricerca della protezione che quell’oggetto riusciva a trasmetterle. Poteva sentire gli arti dell’uomo scuoiato premere contro l’interno della dita e i tre ferri di lancia dei Moore imprimersi lentamente nella carne.

    Con un sospiro lasciò ricadere i candidi tendaggi e spostò l’attenzione sul Septon Mycheal. Lo osservò di sottecchi, chiedendosi quanto di quella calma e fiducia fosse una maschera come la sua. Se davvero credesse nei passaggi e nelle preghiere recitate qualche ora prima, stringendo tra le mani la Stella a Sette Punte, per infondere coraggio negli adepti. Se si sentisse quanto lei un menzognere quando li rassicurava, tacendo le proprie paure e dubbi.

    Ripensò alla sosta del meriggio. Una delle poche che si erano concessi dalla partenza per far riposare i cavalli e verificare lo stato dei mezzi messi a dura prova dalla strada dissestata. Al contrasto delle preci rivolte dai due gruppi ai propri Dèi. Il cantilenante mormorio di quelle per i Sette che si scontrava con il meditativo e recettivo silenzio in cui i seguaci degli Antichi, invece, si immergevano.


    Lúk augu yðvar,
    Chiudete gli occhi.



    Avvolta nell’abbraccio carminio delle sue vesti - una sfumatura che agli occhi di quelle donne e quegli uomini avrebbe richiamato alla mente la linfa degli Alberi Diga a loro sacri - aveva riportato in quelle terre il suono della forn síðr, l’antica via. E, in un gentile sussurro, aveva guidato le anime a lei affidate all’ascolto delle primigenie energie che tutto circondavano e osservavano.

    …Ginnheilǫg goð, sem sjá allr,
    óreiðum augum lítið okkr þinig...

    ...Altissimi Dèi, che ogni cosa vedete,
    volgete il vostro benevolo sguardo su di noi...



    Un momento di raccoglimento e connessione che sembrava aver placato, almeno in parte, la preoccupazione e rinvigorito la risolutezza dei fedeli. Ma che aveva acuito nella giovane Bolton la sensazione di essere totalmente soli, abbandonati a forze fuori da ogni loro controllo.

    ...Vér hljóða biðjum æ friðdrjúgrar farar…
    ...In silenzio preghiamo per un viaggio tranquillo...



    Aveva pronunciato quelle preghiere macchinalmente, ponendo la giusta enfasi su ogni parola, senza però sentirle. Le loro vibrazioni seguite da un vuoto che pesava e soffocava.

    …Ginnheilǫg goð, gæti oss ǫll.
    ...Altissimi Dèi, proteggeteci tutti.



    Aumentò la stretta attorno al fermaglio, quel sordo dolore un’ancora al presente, e riportò lo sguardo verso il finestrino. Il paesaggio aveva cominciato a rallentare fino a smettere di muoversi. Si erano fermati. Con la coda dell’occhio notò la cameriera riscuotersi dal sonno in cui era sprofondata, esausta dopo la nottata insonne trascorsa al suo fianco. E, mentre le voci intorno a lei riacquistavano gradualmente vividezza, come stesse lentamente riemergendo dal profondo delle acque, si guardò attorno disorientata. Era prevista una nuova sosta? Il costante picchiettare della pioggia, unito allo spessore della cabina, attutiva il vociare che proveniva dall’esterno ma riuscì comunque a captare stralci di frasi.

    Uno degli esploratori era tornato. Ferito.

    Tese l’orecchio per cercare di carpire qualche dettaglio in più e non potè trattenere un moto di sorpresa quando, con un secco schiocco che riecheggiò nel teso silenzio dell'abitacolo, qualcosa si piantò nel legno all’altezza delle loro teste. Si voltò, lentamente, quasi aspettandosi di veder protrudere la punta della freccia dalla parete, e quindi, sgomenta, cercò lo sguardo della Mallister. Un’imboscata. Fuori dalla carrozza lo stupore iniziale si era trasformato in allarme e concitazione. Imprecazioni smorzate e comandi urlati con tono perentorio si sovrapposero al clangore delle armature, al pestare degli stivali nel fango e ai nitriti dei cavalli spronati al galoppo. Soffocò il proprio nervosismo dietro la sua usuale fredda compostezza, consapevole non fosse il momento di abbandonarsi alla paura ma di mostrare carattere. Tenne gli occhi fissi sulle sagome dei soldati, distinguibili attraverso i tendaggi, osservandoli disporsi attorno all’abitacolo per proteggerle.

    I secondi parvero dilatarsi. Rimasero in attesa, ogni senso in allerta, ma nessun altro dardo giunse.

    *


    Alla freccia, si scoprì, era stato infitto un foglio con un messaggio da parte dei banditi. Una richiesta di riscatto.

    30 ori e liberiamo i vostri uomini, altrimenti li ammazziamo
    Al tramonto, al cipresso bruciato dal fulmine più avanti
    Solo una Lady col denaro


    Il pezzo di pergamena era umido di pioggia, macchiato di terriccio e impronte di polvere di carbone. La giovane Bolton corrugò la fronte, turbata. Era chiaro stessero cercando di portarle ad esporsi, facendo leva sul sentimento di compassione e sulla sensibilità che si aspettavano da parte di due fanciulle. Ma qual era il vero fine? Si soffermò sulle parole ivi vergate, al loro tratto inconsistente ed incerto come fossero state scritte frettolosamente, o da mani non use alla scrittura. Erano davvero semplici banditi?

    «È una trappola» sentenziò dopo un lungo silenzio, staccando le pallide iridi dal cartiglio per incrociare quelle di Lady Josephine. Non vedeva alcuna altra ragione per cui richiedere la presenza di una di loro alla consegna del denaro. «Sono, con molta probabilità, a conoscenza della nostra identità e del nostro rango. Non si accontenteranno di soli trenta ori.» Forse i soldati catturati avevano parlato. Forse la voce di un corteo, capeggiato da due ricche Lady che distribuivano cibo ed elemosina ai villaggi, si era diffusa e il gruppo di briganti, una volta avvistati i loro convogli, avevano deciso di cogliere l’occasione per mettere le mani su un ricco bottino. Forse la missiva inviata ai Dustin era stata intercettata e l’imboscata organizzata per arrestare la loro avanzata da qualcuno che aveva interesse a far fallire la spedizione. «Non quando potrebbero ottenere molto di più.» Ori, cibarie, cavalli…

    Strinse la mascella e sollevò il mento con fare deciso. Se pensavano di avere a che fare con delle sprovvedute avevano fatto male i loro conti.

    «Considerare seriamente di recarsi all’incontro secondo le loro condizioni sarebbe da incoscienti.» Avere coraggio era diverso dal comportarsi in modo avventato. «Non avrei remore ad offrirmi volontaria se correre questo rischio fosse risolutivo. Ma non credo lo sia.» Scosse la testa. «Non è il momento di giocare a fare le eroine o farsi guidare dall’emotività,» se qualcosa aveva imparato osservando suo fratello gestire il proprio feudo, era che essere al comando significava prendere decisioni difficili e, a volte, impopolari per il bene dei più, «quanto piuttosto quello di essere saldi e responsabili.»

    Tra l'altro dubitava altamente che, chiunque tra i presenti fosse dotato di un minimo di raziocinio e senso di autoconservazione, glielo avrebbero permesso. Il compito di una scorta includeva l’impedire che i propri protetti si cacciassero in situazioni potenzialmente pericolose. Nè lei, nè Lady Josephine erano dei comandanti o generali, erano semplici Lady la cui incolumità dipendeva dalla competenza dei soldati messi a loro disposizione. Se questi avessero fallito l'ira dei loro signori sarebbe stata senza precedenti, e per gli uomini responsabili la prospettiva di morire per mano di un gruppo di banditi sarebbe parsa ben più appetibile del doverli affrontare. Colse uno scambio di occhiate nervose tra alcune guardie Bolton. Probabilmente stavano pensando la stessa cosa. Se avessero mancato al loro dovere, Roose - sebbene più per una questione di principio che di affetto - li avrebbe personalmente scuoiati uno ad uno.

    «Non oso immaginare l’entità delle ripercussioni nella sciagurata ipotesi qualcosa dovesse andare storto e una di noi finisse loro ostaggio…» I soldati sarebbero stati impossibilitati a reagire. Sotto minaccia, completamente disarmati, non avrebbero potuto fare altro che subire un eventuale saccheggio e cedere ad ogni loro pretesa. E, in caso di rapimento, le loro famiglie sarebbero state oggetto di ricatto. «…O peggio.»

    L’equilibrio del Nord era come la piatta e quieta superficie di un lago, la scelta che si apprestavano a compiere un sasso da lanciare al suo interno e le increspature generate dall’impatto le sue conseguenze.

    Dovevano agire con accortezza e acume.

    «Detto ciò, ritengo sia altrettanto fuori discussione abbandonare i soldati al loro destino.» Se tale opzione avesse rappresentato una reale soluzione non avrebbe esitato a sacrificarli. Non erano civili indifesi ma soldati addestrati, la cui missione era quella di assicurare la loro sicurezza e proteggerle fino alla morte. Mettersi volontariamente a rischio vanificava ogni loro proposito e sforzo. Tuttavia non era questo il caso, lasciarli morire non avrebbe risolto il loro problema. «Sarebbero vite sacrificate per nulla.» Spreco di risorseÈ da ingenui credere che ci lasceranno proseguire, rinunciando ad un possibile ricco bottino. Dovremmo trascorrere il resto del viaggio guardandoci le spalle, temendo un loro attacco.» Questi banditi non erano, però, solo un loro problema. «È inoltre necessario agire per liberare questi luoghi dalla loro presenza.» Con la forza o con il dialogo. «Per noi e per tutti coloro che in futuro percorreranno questa via.»

    Lasciò scorrere lo sguardo lungo il paesaggio. Era così quieto e silente, nulla sembrava indicare la minaccia che si nascondeva nelle sue ombre, e dietro la morbida linea delle basse alture e dei dormienti tumuli che lo ondulavano.

    «Il ricorrere allo stratagemma degli ostaggi, suggerisce non abbiano i numeri per tentare un attacco diretto.» Si umettò nervosamente le labbra e parlò lentamente, la voce poco più di un sussurro. Consapevole degli occhi che, con molta probabilità, li studiavano da qualche anfratto. «Hanno però il vantaggio del territorio. Conoscono queste lande meglio di noi. Potrebbero osservare i nostri spostamenti e prepararsi a reagire ad ogni nostra eventuale mossa, rendendo difficile organizzare una sortita o coglierli di sorpresa.» Nella sua mente iniziò a prendere forma un'altra soluzione al loro dilemma. «Dovremo giocare d’astuzia» disse, lanciando una veloce occhiata ai soldati e alle ancelle poco distanti. «Far credere loro di essere in controllo e solo quando avranno abbassato la guardia colpire.»

    Il tempo scarseggiava. Dovevano elaborare un piano prima del tramonto e per farlo, avevano bisogno di ottenere informazioni sul nemico.

    Avrebbe dunque chiesto di parlare con l’esploratore ferito e, frattanto che valutava le sue condizioni, avrebbe cercato di fare luce su quanto era successo all’avanscoperta e di carpire quanti più dettagli utili allo scopo.

    «Cosa è accaduto?» Domandò, facendo segno alla cameriera di passarle la borsa con i rimedi. Dal modo in cui li avevano sorpresi e fatti prigionieri potevano dedurre il loro grado di organizzazione e, a grandi linee, di quali forze effettivamente disponessero. Di certo, pensò ricordando il sibilo della freccia, sapevano che tra le loro fila vi era almeno un buon arciere. «Avete avuto modo di farvi un’idea del loro numero?» Proseguì, passando a domande più specifiche una volta che l’uomo ebbe terminato il suo racconto, cercando una conferma o una smentita alle sue deduzioni. «Sapete come sono disposti?» Avere un’idea di come fossero posizionati sul territorio era cruciale per studiare i propri movimenti. «In che condizioni versano gli altri prigionieri?» Poter contare anche su di loro dall’interno avrebbe potuto fare la differenza.



    Parole: 2162


    Per quanto concerne la scelta:

    Vidya ritiene che mandare una delle due all’incontro, così come lasciare i soldati a morire e i briganti liberi di provare ad attaccarli nuovamente, non sarebbe saggio. Inoltre, quale scorta lo permetterebbe?

    Quindi ...

    Se il soldato ferito è in grado di offrire informazioni utili si organizza una sortita per sorprendere i banditi.

    Altrimenti si punta su un diversivo: ad es. mandare un’ancella al posto di Lady Josephine (visti gli abiti e l'accento) all’incontro.

    In base alle risposte dell’esploratore - se necessario - nel prossimo post elaborerò il piano nel dettaglio.
  9. .
    05-04
      Terre delle Tombe · 24 gennaio 286AA
    Non appena ricevuto l’ordine, i soldati, coadiuvati dai pellegrini più in forze, si misero all'opera. L'urgenza della situazione evidente nell'impetuoso vociare dei comandi e nei movimenti rapidi ed efficienti con cui sacchi, ceste e bauli, contenenti gli ori rimasti, parte delle vettovaglie e tutto ciò che era considerato indispensabile, venivano ammassati sul carro più leggero, o distribuiti per essere trasportati a mano.

    In quell’accavallarsi di accenti, versi e rumori, Vidya osservò preoccupata le piccole nuvole di condensa iniziare ad avvolgere ogni parola pronunciata e respiro emesso, aleggiando per qualche attimo nell’aria, come una sorta di eco visiva, prima di dissolversi lentamente. L’orizzonte era ormai del tutto indistinguibile, coperto da un’intensa e cinerea foschia e le gocce di pioggia avevano cominciato a moltiplicarsi, cadendo fredde e pesanti, via via più numerose, intorno a loro. Si era ben lontani dalla rigidità del Nord più profondo e dalla morsa dei suoi temuti ed estremi inverni ma, con il sopraggiungere della sera e del temporale, le temperature sarebbero scese vertiginosamente.

    «Ricavatene quanto più legname possibile», ordinò, indicando il tronco appena spostato lungo il ciglio del sentiero. Era una conifera, il miglior legno in cui potevano sperare di imbattersi nelle loro disperate condizioni. La resina in esso contenuta, insieme ai rami e agli aghi, avrebbe funto da combustibile per il fuoco, permettendogli di ardere più facilmente e, se posizionato accuratamente, persino resistere all’acqua. «Il gelo è un nemico subdolo ed insidioso», aggiunse con tono grave, consapevole di come il pericolo più grande innanzi a loro fosse quello di non cadere nel suo sonnolento e letale abbraccio. Non era solo questione di trovare riparo per qualche ora nell'attesa che spiovesse, ma di resistere un'intera notte in quelle lande inospitali alla mercé degli elementi - per di piú dispiegati in tutta la loro furia. «E l’Ora dell’Usignolo ancora lontana.»

    Il legnoso cigolio di ruote e lo stridio metallico dei rivetti tornò ad unirsi agli insistenti brontolii del cielo e il carro, ormai ricolmo, iniziò la lenta ascesa lungo il pendio, sobbalzando vistosamente sul terreno irregolare. La pendenza tale da mettere a dura prova i cavalli e la resistenza del telaio, costringendo i soldati a cercare di spingere il piano di carico e frenare le ruote dallo slittare sull’erba umida e bagnata, puntando gli stivali nel terriccio pericolosamente cedevole.

    Alcuni degli uomini avevano preceduto il gruppo, raggiungendo il luogo designato per preparare il terreno, liberandolo dai sassi più grandi e livellando frettolosamente la superficie laddove avrebbe potuto causare problemi alla stabilità delle strutture e al posizionamento dei picchetti. Pali e tronchetti di rinforzo furono posizionati per dare maggiore sostegno alle tende. Teli e pelli vennero tesi e posti come coperture. I cordini fissati a fondo nel terreno per evitare venissero sradicate dal vento e, ben presto, l’accampamento cominciò a prendere forma.

    Incurante della pioggia sempre più fitta e delle sferzanti folate che ne deviavano improvvisamente la direzione, rendendo quasi del tutto inutile il riparo offerto da teli e mantelli, la Bolton si dedicò a coloro che più necessitavano del suo intervento. La ritrosia e circospezione con cui avevano reagito dinanzi alle prime cure prestate dalla giovane, nei giorni seguenti la partenza, erano quasi del tutto scomparse. Vidya si era accertata di citare costantemente il Maestro Tybald, ponendosi ai loro occhi come mera mano esecutrice della conoscenza dell’anziano sapiente, e i risultati ottenuti, unitamente al fatto che molti dei rimedi fossero noti e simili a quelli della tradizione popolare, erano riusciti ad abbattere gran parte dei muri eretti. Si mosse attraverso quel campo di fortuna, ignorando la sgradevole sensazione degli abiti che, inumidendosi, le aderivano alla pelle e il modo in cui la fanghiglia ne appesantiva l’orlo ad ogni passo. Controllò lo stato delle ferite per assicurarsi non si sviluppassero infezioni, sostituì le fasciature bagnate e infangate e distribuì rimedi per contrastare i primi sintomi di raffreddamento e trattamenti per geloni e vesciche. Piccoli ma concreti aiuti per chi aveva coraggiosamente accettato di unirsi al pellegrinaggio.

    Stese il composto a base di lavanda, ortica e arnica montana sulle bulbose nocche di una donna, una delle tante anime che si erano aggiunte durante il cammino, lasciando il proprio villaggio spinta da quella che doveva essere una devozione profonda, e, iniziando a fasciarle le mani martoriate dall’artrite, incrociò brevemente il suo sguardo. Tremava e, ad ogni forte ventata si irrigidiva, trattenendo il respiro. Come la maggioranza dei pellegrini indossava vesti semplici, composte da strati di vecchie pellicce e di lana, a volte talmente consunti dal tempo e dall'uso da lasciarli quasi del tutto esposti all’implacabile clima. Ma la Bolton sapeva che la causa di quelle reazioni non era solo il freddo. Era paura.

    Il buio era giunto, facendo sprofondare l'intera area nella più totale oscurità. La valle ai loro piedi era diventata un mare nero, a malapena visibile attraverso il muro d’acqua che scendeva dal cielo. Sforzandosi era possibile distinguere il flebile chiarore delle lanterne accese dalle guardie, intente a spostare il resto dei convogli e predisporre l’improvvisata vedetta. Nell’assurdo caso qualche folle avesse deciso di sfidare le intemperie, o atteso un’apertura per sferrare il proprio attacco uscendo da un qualche riparo nei dintorni, sarebbero stati pronti a reagire.

    «É solo la voce del vento» mormorò gentilmente, sentendo la donna reagire all'ennesimo inquietante sibilo. «Il suono emesso dai flussi d’aria che si scontrano e aggirano gli ostacoli sul loro cammino.» Terminò la fasciatura al polso e le strinse delicatamente le mani per rassicurarla e offrirle una spiegazione razionale a cui aggrapparsi per tenere a bada il timore legato alla superstizione. «La stessa ragione per cui, ponendo una foglia contro le labbra, un leggero soffio può trasformarsi in un potente fischio.»


      Terre delle Tombe · Accampamento · notte · 25 gennaio 286AA

    ...taptap tap tap...



    Qualcosa gocciolava sul tetto della tenda. Un picchiettare, ritmico e costante, che riusciva a sovrastare l'assordante fitto scroscio della pioggia all'esterno e il cupo rimbombo dei tuoni.

    ...tap tap taptap...



    Immersa in quel liquido rombo, avvolta in una coperta di morbida pelliccia, Vidya sedeva sul semplice giaciglio preparato per la notte, irrequieta.

    Aveva richiesto espressamente di utilizzare una delle tende più piccole - sufficiente ad accogliere lei e la cameriera - e lasciare il padiglione più ampio a disposizione dei pellegrini, riducendo così il numero di strutture da erigere e risparmiare tempo. Lo spazio lungo il fianco della collina non era molto e, vista la situazione d’emergenza, fare a meno di certi agi e comodità, le era sembrata la cosa più naturale e giusta. D’altronde al Forte era abituata a condizioni che, agli occhi di molte nobildonne, soprattutto quelle del Sud visto lo sfarzo con cui si accompagnava Lady Josephine, potevano apparire alquanto spartane.

    Con il capo chino e i gomiti puntellati sulle ginocchia, teneva le mani affondate nei lunghi e folti capelli neri, dondolandosi lentamente in avanti e indietro, in attesa del prossimo attacco.

    ...taptap tap tap...



    La servitrice era seduta di fronte a lei e, chiusa in un inquieto silenzio, stringeva un bricco vuoto. Il suo sguardo - stanco ma vigile - era puntato verso l’entrata della tenda, come se temesse di vederla aprirsi da un momento all’altro, e la testa era leggermente inclinata, in attitudine d’ascolto, attendendo impaziente una diminuzione della precipitazione.

    La tisana alle erbe mediche era finita da tempo, e così il suo effetto, ma sotto quella pioggia sarebbe stato impossibile raggiungere e tentare di ravvivare uno dei fuochi per farne dell’altra.


    ...tap tap taptap...



    Vidya socchiuse le labbra ed espirò lentamente, ripetendosi mentalmente di mantenere i respiri pieni e regolari, indi sollevò il volto.

    Una lanterna bruciava a poca distanza, illuminando debolmente l'interno, relegando l’oscurità negli angoli e nella punta creata dal palo centrale. I soldati avevano posto sulla tenda una copertura in pelle, inclinandola affinché proteggesse la struttura dall'acqua piovana e assicurasse alla Lady un ambiente quanto più asciutto possibile, eppure quella goccia sembrava aver trovato una via d’accesso.

    Fissò il telo scuro, alla ricerca del punto d’origine del rumore. L'occhio sinistro era gonfio e lacrimante, le guance e zigomi, solitamente pallidi, arrossati.


    ...taptap tap tap...



    Un aspetto che la incuriosiva della cefalea che l’affliggeva, pensò tenendo distrattamente il conto delle gocce che colpivano il telo, era la puntualità. L’emicrania non seguiva alcuno schema, poteva colpire in qualunque momento ma dava avvisaglie del proprio arrivo, e il dolore cresceva gradualmente, non superando mai una certa soglia. Questo male, invece, arrivava di colpo - intenso e brutale - di solito nella stessa ora del giorno precedente.

    Il numero e durata degli attacchi potevano variare, ma seguivano dei ritmi più o meno costanti e la giovane, nel tempo, aveva cominciato a riconoscerli. Non alleviava la sofferenza, ma saperne leggere l’evoluzione le era d'aiuto per superare e sopportare quelle lunghe ore.

    Cinquecentoventi tap.

    Almeno un centinaio in più di quelli intercorsi nell'ultima pausa tra un episodio e l'altro. L’intervallo stava aumentando. La fine del tormento, per quella notte, era vicina.

    ...tap tap ta-



    Una forte e turbinante folata di vento si abbatté contro la tenda, e questa sembrò quasi piegarsi. Un gemito prolungato che le fece gelare il sangue nelle vene, sinistramente simile ad un lamento umano.

    Con la coda dell'occhio notò la servitrice congiungere discretamente le mani, e non ebbe bisogno di guardarla in volto per sapere che le labbra avevano iniziato a muoversi, formando parole in una muta preghiera agli Antichi.

    Non la biasimava.

    Anche per la mente più razionale, durante l'ora dei fantasmi, mentre la notte si avviava verso l'ora più buia, era difficile non farsi suggestionare dalle leggende ed immaginare che a scuotere le pareti di tessuto intorno a loro fossero mani spettrali, o pensare che quell’insistente picchettio fosse il gocciolare dei cenci marciti di un qualche scheletro uscito dalle umide e profonde tombe disseminate lungo il territorio, e che ora fluttuava all'esterno sulle loro teste...

    Tuttavia, nonostante il timore che la portava a trattenere il respiro ad ogni ennesimo sibilo del vento, una parte di lei era curiosa. Tentata dal dare a quegli spiriti inquieti il permesso di entrare. Stabilire con loro un contatto e avere la possibilità di ottenere risposte sui grandi quesiti che tormentano ogni essere umano. Avrebbe posto domande sulla loro vita e il passato in generale. Chiesto cosa attendesse le anime una volta varcata la soglia dell'Oltre…

    Ripensò alla piccola porta sul lago di Piazza di Torrhen, con gli elaborati intagli nel legno narranti la sofferenza che aspettava chi aveva scelto l’oscurità, o chi era stato strappato alla vita, bloccati in un vuoto senza fine, e concluse che, se quelle anime avessero avuto una voce, sarebbe stata proprio come i lamenti del vento. Il suono di un disperato richiamo. Si sentì dunque riempire d'orrore alla consapevolezza che, qualunque piano dell’Oltre occupassero, se avessero mai cercato di comunicare con lei, non avrebbe saputo riconoscere la voce dei propri genitori.

    Portò le mani al collo, cercando d’istinto il fermaglio appartenuto a sua madre, ma le dita non trovarono altro che stoffa e pelliccia. Iniziò dunque a rovistare nella sacca ai piedi del giaciglio, sentendo parte dell’angoscia placarsi solo una volta che l’ebbe trovato. Un frammento che l'ancorava al suo ricordo, riempiendo il vuoto della propria memoria.

    All'improvviso il crepitio di un fulmine irruppe nel suo rimuginare, squarciando le tenebre dei suoi pensieri allo stesso modo in cui aveva lacerato quelle all'esterno, facendola sussultare. Il riverbero del tuono, un suono cupo e roboante, parve prendere forza, protraendosi per qualche lungo secondo, diventando man mano più intenso e vibrante prima di spegnersi.

    Con il cuore che ancora le batteva frenetico nel petto per lo spavento, tese l'orecchio, cogliendo solo parte della conversazione in corso tra i soldati di guardia che cercavano di comunicare attraverso quel muro d'acqua. Voci concitate che si mescolavano agli agitati nitriti dei cavalli e allo sguazzare di passi frettolosi nel fango. La quiete della notte stravolta.

    Lanciò un'occhiata preoccupata verso la cameriera e, nonostante la debolezza, si alzò, avvicinandosi all'entrata. Slegò uno dei legacci e sbirciò all'esterno. La pioggia continuava a cadere implacabile e, nel flebile e sfocato bagliore di un paio di lanterne poco distanti, delle sagome sembravano muoversi. Ombre che vagavano nel buio.

    L'immagine delle anime degli antichi defunti che si muovevano all’insaputa di tutti nell'accampamento, attratti dal calore delle fiaccole e il chiarore dei lumi, le balenò alla mente. Fece un passo in avanti, uscendo dalla tenda. Le pallide iridi scivolarono lungo quell’impalpabile e fumosa cortina d’acqua e nebbia e, in lontananza, più in basso, vide accendersi un bagliore. Fuoco. Qualcosa a valle stava andando a fuoco.

    Un'altra folata. L'ennesimo sibilante gemito. Questo però, notò con inquietudine, era più acuto del precedente, simile ad un grido d'esasperazione e rabbia.

    Qualche istante dopo sentì una presa, delicata ma ferma, intorno al polso. Si irrigidì, mentre un brivido di terrore le scorreva lungo la schiena ma, prima che potesse reagire, registrò la voce allarmata della cameriera. La donna era al suo fianco e la pregava di rientrare. Si lasciò dunque guidare all'interno, lì fuori sarebbe stata solo d'intralcio. Non poteva fare altro che aspettare, presto qualcuno sarebbe andato a riferirle cosa era accaduto.

    Tornò a sedersi sul giaciglio e controllò Jiàn. Si era svegliato e, spaventato da tutta quella confusione, si agitava nella gabbietta. Il suo frenetico frullare d'ala l'unico rumore all'interno della tenda.

    Il picchiettio era scomparso.


      Terre delle Tombe · Accampamento · mattina · 25 gennaio 286AA

    Alla luce del giorno, l'entità della devastazione che quella notte di piogge torrenziali aveva portato con sé, si era rivelata in tutta la sua dura e beffarda evidenza. Diversi picchetti erano saltati, danneggiando e facendo afflosciare parte delle strutture, e vari teli, utensili e sacchi vuoti erano sparpagliati tra la melma in cui si era trasformato il terreno, probabilmente trascinati dalle forti raffiche di vento.

    Il danno maggiore, tuttavia, lo avevano subito a valle.

    Un cumulo di tizzoni ancora fumanti e metallo fuso, ammonticchiati ai piedi della collina, era difatti quanto rimaneva del carro in cui erano stati allogati parte dei viveri e quant'altro avrebbe consentito loro un agevole viaggio, quasi del tutto incenerito dalla terribile e primordiale forza scaturita da uno dei fulmini caduti durante la tempesta. Per giunta, insidiose pozze ed acquitrini si erano formati lungo il sentiero, aggiungendo una nuova complicazione al loro già difficile cammino.

    Con grande sollievo per tutti non si erano registrate perdite umane, anche se rimaneva la preoccupazione e la frustrante sensazione d’inquietudine data dall'ormai prolungata assenza degli uomini dell'avanguardia. Sembrava fossero stati inghiottiti dalle Terre delle Tombe o, come in molti temevano, trattenuti da forze ben piú terrene e potenzialmente piú pericolose.

    Vidya coprí il calice con la mano e scosse debolmente la testa, rifiutando garbatamente il vino e il pane offerto da una delle ancelle.

    Era stata convocata nel padiglione della Mallister, divenuto una sorta di quartier generale, per discutere, insieme ai comandanti delle varie truppe e a un rappresentante dei pellegrini, il punto della situazione e approntare una strategia per il prosieguo della spedizione. Indossava un mantello diverso - quello del giorno precedente reso inutilizzabile dall’acqua e fango raccolti - dal tessuto di un cupo rosso porpora, impreziosito da ricami rosa antico richiamanti i colori del proprio casato.

    Seduta in silenzio, con il contrasto tra il biancore del suo incarnato e l’ossidiana dei capelli che le ricadevano sulle spalle a sottolinearne la marmorea eleganza, seguiva attentamente la discussione, ascoltando i resoconti e le molteplici proposte e contrapposte opinioni dei presenti. I pallidi e penetranti occhi chiari che si spostavano, puntandosi di volta in volta su chi prendeva la parola.

    La situazione in cui si trovavano si profilava sempre piú complessa e costellata d'incognite, che solo tramite una lucida e puntuale analisi potevano essere efficientemente contrastate. Oltre alla gestione degli approvvigionamenti, il principale dilemma tra i convenuti al piccolo concilio era rappresentato dall'opportunità o meno di rimettersi in viaggio di lì a poco, o attendere condizioni atmosferiche piú favorevoli.

    «Se ho ben inteso quanto detto,» principiò la giovane, facendo una breve pausa in attesa che tutti si quietassero prima di proseguire, «secondo i vostri calcoli abbiamo cibo appena sufficiente per raggiungere Città delle Tombe. Ovvero per circa altri cinque giorni.» Tenne la voce bassa e controllata, a stento udibile al di sopra del picchiettio della pioggia per coloro che erano seduti più lontani. «Salvo imprevisti,» continuò, conscia che contro la sorte avversa anche il miglior piano poteva fallire, e di non potersi permettere di essere troppo ottimisti o contare unicamente sui viveri già a loro disposizione, «razionando le provviste come proposto da Lady Josephine, e facendo affidamento su eventuali risorse del territorio, possiamo tranquillamente coprire una settimana di viaggio.»

    La brulla collina su cui si erano rifugiati, e l’avvallamento che la circondava, offrivano ben poco. Aveva visto dei ciuffi di aglio vineale e òrapo ma, per quanto nutrienti, non avrebbero fornito cibo per molto. I pellegrini non avrebbero perso la testa per qualche pasto in meno, abituati nelle loro vite a mancanze ben più gravose, tuttavia, se fossero rimasti bloccati più a lungo…


    «Al Nord il maltempo non è mai stato un deterrente per la caccia» disse dunque, rispondendo indirettamente alla domanda posta poco prima dalla nobile di Seagard. Si parlava di terre in cui la neve cadeva persino d’estate, imbiancando campi e alture. Gli uomini avevano imparato da secoli ad adattarsi e sfruttare al meglio ogni condizione per assicurarsi sostentamento, difficilmente sarebbero stati fermati da un acquazzone. «Gli animali hanno i nostri stessi bisogni. Alla prima tregua dalla pioggia tendono ad avventurarsi fuori dalle tane spinti dalla fame.» Dopo rovesci e temporali gli odori e i rumori si ottundevano, permettendo di avvicinarsi senza essere notati; il terreno umido, poi, facilitava l’eventuale individuazione e tracciamento delle orme. «Si tratta di attendere il momento giusto, nel luogo giusto.» Gli elementi chiave erano il tempo e la conoscenza del territorio. Si rivolse dunque all’uomo Tallhart. «C’è qualcuno tra di voi che ha percorso questa strada prima d’ora?» Erano a meno di un giorno di viaggio da Piazza di Torrhen, non era assurdo pensare che fosse capitato loro di avventurarsi in queste lande in precedenza, o che fossero a conoscenza di dettagli o informazioni utili non presenti sulle mappe.


    La giovane Bolton tacque per qualche lungo attimo, considerando e valutando attentamente quanto suggerito dall’altra nobildonna. Un approccio duro e deciso che la trovò - in gran parte - concorde.

    «Non credo che rinunciare alla carrozza in questo frangente sia saggio.» Non finché non avessero ottenuto risposte su cosa li attendeva o scoperto il destino degli esploratori. Lo spettro di un attacco di briganti continuava ad aleggiare su di loro, e il non essere riusciti a trovare una spiegazione per la presenza del tronco nel bel mezzo della strada, unitamente alla presunta sparizione degli uomini inviati ad indagare, non faceva che rafforzarne il timore. «La cabina può dare rifugio in caso di bisogno. Possiamo sempre abbandonarla in seguito se costretti.»

    Comprendeva la necessità di allungare il passo e alleggerire quanto possibile il carico, ma non dovevano fare l’errore opposto e farsi prendere dalla fretta, correndo il rischio di ritrovarsi privati di una valida risorsa.

    «Dobbiamo valutare le nostre mosse passo per passo. E per ora la nostra priorità è cercare di raggiungere quanto prima il punto d’incontro con i soldati Dustin, o comunque una posizione che possa offrire riparo e risorse in loro attesa.» In teoria, se anche fossero rimasti bloccati, non avrebbero dovuto attendere molto per ricevere degli aiuti. Se non direttamente da Città delle Tombe dai villaggi nelle sue vicinanze.

    «Concordo sul partire il prima possibile.» Il tempo nelle Terre delle Tombe era imprevedibile. Aspettare che spiovesse avrebbe potuto portarli ad essere sorpresi da un nuovo temporale e dover passare un’altra notte su quell’altura, perdendo ore e miglia preziose di marcia. Dovevano poter avanzare con calma, navigando con cura gli acquitrini. Rivolse lo sguardo verso l’entrata della tenda. All’esterno la pioggia continuava a cadere, incessante, sebbene ridotta a una fine e leggera acquerugiola, e la foschia della sera precedente si era quasi del tutto diradata, rendendo di nuovo possibile scorgere tra i fumosi brandelli di nebbia i dettagli del paesaggio che si apriva intorno a loro. «Se dobbiamo muoverci sulla strada in queste condizioni conviene farlo con la massima visibilità, sfruttando le ore di luce a disposizione.»



    Parole: 3324 (tap esclusi xD)


    Per quanto riguarda le proposte:

    - Partenza immediata nonostante gli acquitrini e la leggera pioggia;
    - Razionamento delle provviste;
    - Maggior ore di marcia giornaliere con pause brevi ma frequenti;
    - Potenziamento delle ore di sorveglianza, soprattutto durante le soste serali;
    - Rinunciare alla carrozza ed utilizzare i cavalli per trainare i carri; (i cavalli del carro distrutto possono già fornire maggior traino, per ora terrei la carrozza)
    - Annacquare vino e bevande per allungarne la durata;
    - Vendita di abiti e gioielli ai più vicini villaggi (anche baratto per provviste); (dipende da come si mette la situazione)
    - Sacrificare cavalli in caso di necessità per sfamare; (idem sopra)
    - Possibilità di cacciare nei momenti di pausa e se il tempo lo permette;
    - Inviare immediatamente un esploratore a Casa Dustin per esortarli ad inviare aiuti;
    - Intensificare le ore di preghiere (Septon Mychael e Lady Vidya) per mantenere l’umore alto.
  10. .
    continua da qui.

    Parlato Vidya
    Parlato Roose


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      Forte Terrore · 272AA
    La debole luce che filtrava attraverso gli scuri accostati aveva assunto una tonalità calda, tendente al rossastro, segnale dell'avvicinarsi del tramonto. Era in quello studio da poco più di un'ora e, nonostante la tensione e agitazione con cui vi era entrata, poteva dirsi quasi dispiaciuta quel raro momento in compagnia del fratello stesse per giungere al termine. Sogguardò, discreta, il Roose alzarsi e dirigersi verso lo strano mobile cassettiera, lo stesso che aveva catturato la sua attenzione poco prima.

    «…Ogni Città Libera, così come ogni Città schiavista di Essos, ha la propria moneta» disse l'uomo, selezionando lentamente una tra le chiavi che portava alla cintura. «Pezzi d'oro, argento e rame la cui provenienza è indicata dalla forma e dalle immagini riportate sulle due facce: uno scheletro e una corona per le monete di Volantis, la piramide a gradoni e l’arpia di Ghis per Yunkai, il capro per Qohor e poi ancora navi, elefanti…»

    Vidya si sporse leggermente dalla sedia, nel tentativo di scoprire cosa fosse contenuto in quei misteriosi cassetti, e l’osservò, curiosa, estrarre un paio di sacchetti in velluto e delle piccole pergamene prima di richiudere il tutto.

    «Quella che hai in mano raffigura la clessidra con palme porte in elemosina» continuò, tornando a sedersi allo scrittoio, mentre la piccola si ricomponeva in fretta per mascherare il suo sbirciare, «simbolo della Banca di Ferro di Braavos.»

    «Banca di Ferro?»

    «La più ricca e potente istituzione finanziaria del mondo conosciuto. Città, Re e Principi di entrambi i continenti sono suoi clienti» spiegò, avvicinando la bilancina posta sullo scrittoio ed estraendo dall'astuccio diversi pezzi cilindrici di ottone - i pesi monetali - prima di iniziare a pesare le diverse monete. «Il suo nome viene dalla miniera di ferro utilizzata dai suoi fondatori - commercianti e artigiani di successo - come deposito dei loro fondi, quando Braavos era ancora una città segreta, molti anni prima del disastro di Valyria.»

    La bambina aggrottò leggermente le sopracciglia. Aveva sentito parlare delle banche - e non sempre in modo lusinghiero - ma non le era esattamente chiaro cosa fossero e cosa facessero. L’immagine di un enorme deposito pieno di dune dorate e brillanti le balenò alla mente.

    L'uomo colse la sua perplessità. «Ricordi quanto detto sul risparmio e la ricchezza accumulata?» Chiese, e la guardò, aspettando un cenno di conferma prima di proseguire. «Ecco, la banca si offre di custodire quel denaro. Così come», aggiunse, mostrandogli un rubino estratto da uno dei sacchetti, «ogni genere di oggetto che abbia un valore.»

    «Ed è sicuro?» Perché mai, si chiese perplessa, si sarebbe dovuto affidare i propri soldi a degli sconosciuti? O chiederne in prestito con il rischio di non poterli restituire?

    «È un rischio.» Roose trasse un sospiro. «Ma può essere … conveniente, se si è oculati nella gestione.»

    Quindi, pazientemente, le parlò delle diverse funzioni delle banche, dal loro fungere da cambiavalute “come i banchi dei cambiatori di Porto Bianco ma in scala maggiore” al concedere prestiti. E, utilizzando le monete sul tavolo, le illustrò, semplificando il più possibile, come avvenisse e in cosa consistesse un deposito: due lune a rappresentare il denaro affidato alla banca e quindi le stelle per gli interessi maturati. Affidarsi ad una Banca, apprese, era un investimento e poteva portare con sé diversi vantaggi, tra cui quello di avere la possibilità di accedere alla somma depositata in qualunque momento e da una qualunque delle filiali della banca - previa presentazione del cosiddetto ‘‘certificato di deposito’’ che attestava la propria disponibilità - o poter pagare somme a terzi - attraverso “lettere di credito” - senza dover correre il rischio di viaggiare portando con sé il denaro.

    «É con il denaro raccolto dai risparmiatori che, le banche, con le giuste garanzie, concedono prestiti a chi ha bisogno di fondi per finanziare propri progetti o spedizioni. Denaro che dovrà essere poi restituito maggiorato degli interessi. È proprio da questi che le banche ricavano parte del loro guadagno.»

    Un sistema complesso ed articolato che permetteva non solo ai soggetti interessati di guadagnare e realizzare investimenti ma, le venne detto, di favorire sia la crescita del territorio - poiché ogni nuova impresa andata in porto generava nuova ricchezza - che lo sviluppo dei commerci, facilitando e velocizzando le transazioni tra i mercanti.

    «La Banca di Braavos concede prestiti anche sul lungo periodo. É bene, però, non mettere alla prova la loro pazienza e rispettare le scadenze dei pagamenti dei propri debiti. Perché, in un modo o nell’altro,» specificò Roose, calcando particolarmente le ultime parole,« ‘la Banca di Ferro avrà quanto le spetta’

    Un rapporto quello tra banca e cliente che si basava e reggeva su fiducia e affidabilità. Frattanto che il fratello le raccontava di come, se non si onoravano gli accordi, la Banca di Braavos potesse trasformarsi nel peggior nemico di chi un tempo aveva chiesto il loro aiuto - mettendo in ginocchio persino Re e Principi inadempienti, tagliando i fondi e finanziando i loro rivali per potersi riprendere il proprio investimento- la piccola tornò a fissare la moneta che ancora stringeva nel pugno. Il simbolo ritratto ora assumeva un senso. Le mani con il palmo rivolto verso l’alto, sembravano immortalare un gesto di carità, ma, conoscendo come la banca operava, assumeva tutt'altra accezione divenendo quasi un monito. Mani in attesa di ricevere il dovuto, con la clessidra a ricordare il tempo che scorreva e la scadenza che incombeva.

    «Anche noi abbiamo una Banca?» domandò dopo qualche attimo, interrompendo quel silenzio colorato dal crepitio delle fiamme nel piccolo camino poco distante e il tintinnio delle monete e dei pesi a contatto con i piatti della bilancia.

    Il Lord scosse la testa. «Le finanze dei Sette Regni sono interamente gestite da un membro del Concilio Ristretto del Re: il Maestro del Conio. A lui spetta il compito di tenere i conti della tesoreria reale, gestire gli affari doganali e supervisionare la riscossione di tasse e l’operato delle tre zecche del regno. » Una smorfia, che la bambina non seppe decifrare, attraversò brevemente il serio volto dell'uomo. «Ad onor del vero, abbiamo la Banca di Vecchia Città, fondata circa un secolo fa da Lady Samantha Tarly-Hightower. Ma non ha alcun potere sul Tesoro della Corona e non può essere paragonata alla Banca di Ferro, né tantomeno alla Banca Rogare che un tempo operava nella Città Libera di Lys e che, sotto la guida di Lysandro il Magnifico, prima del suo declino e fallimento, riuscì a rivaleggiare in potenza ed influenza l’istituto di Braavos.»

    Vidya lo guardò sorpresa. «Fallimento?»

    «Lysaro Rogare, figlio di Lysandro, ereditò la banca. Un giovane ambizioso e poco oculato nella gestione delle spese e della moneta in generale. Per finanziare i suoi capricci iniziò a spendere sempre più denaro, fino ad utilizzare in modo illecito i fondi della banca, indebolendola e causandone così il crollo.» Raccontò nel mentre posizionava l'ennesima moneta su uno dei piattini, verificandone il peso prima di annotarlo su una delle pagine in pergamena dei libri contabili. «Molte famiglie che avevano investito nella Banca - sia a Lys che a Westeros - caddero in rovina e Lysaro…»

    «Cosa gli accadde?» incalzò.

    «Venne condannato alla flagellazione in pubblica piazza al Tempio del Commercio» rispose, spiegandole a grandi linee in cosa consistesse. «Gli altri fratelli fuggirono. Uno di loro, Lotho, che all’epoca si trovava ad Approdo del Re, cercò di scappare dalla capitale per sottrarsi alla giustizia del Trono di Spade, ma venne arrestato e processato con l’accusa di frode e furto. Dichiarato colpevole, gli venne offerta, dall’allora Primo Cavaliere Lord Torrhen Manderly, la possibilità di scegliere tra il perdere la mano destra o unirsi ai Guardiani della Notte. Il Rogare, essendo mancino, scelse l’amputazione» Le labbra esangui dell’uomo si piegarono in un atipico sorrisino, come divertito. «Venne in seguito assunto da Lady Samantha Tarly, interessata alle sue… conoscenze in materia finanziaria…» Non terminò la frase, lasciando che la sorella unisse da sé i punti.

    La bambina piegò la testa, riflettendo per qualche attimo prima di sgranare leggermente gli occhi. «La fondatrice della Banca di Vecchia Città!?»

    I nobili avevano dunque affidato nuovamente- anche se indirettamente - i propri soldi ad un membro della famiglia che li avevano messi in ginocchio?

    Il ghigno di Roose aumentò. «Esattamente.»


    Parole: 1369/600

    Tratto: Studioso lv2
    Requisiti: Economia 1
    Ricompense: 5 punti esperienza, Economia 2
  11. .
    Parlato Septa Loreza
    Parlato Vidya
    Parlato Roose


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      Forte Terrore · 272AA
    «Devi comportarti in modo impeccabile.» La Septa le strinse la mano e la guardò brevemente mentre, tra una raccomandazione e l'altra, la trascinava a gran passo lungo i corridoi del Forte. «E, mi raccomando, mantieni la concentrazione, hai sempre la testa fra le nuvole ultimamente.»

    La piccola Vidya annuì, cercando di tenere il passo. La tensione della donna era contagiosa e, man mano che si avvicinavano alla loro meta, si ritrovò ad aumentare la forza della propria presa.

    Giunte davanti alle porte dello studio Loreza si fermò e, chinandosi, le rassettò nervosamente l'abito cremisi, controllando che la semplice acconciatura - una treccia a cascata legata con un nastro dello stesso colore dell'abito che contrastava con la scura chioma corvina della piccola - fosse in ordine prima di bussare e varcare la soglia.

    Roose era seduto, intento ad annotare qualcosa su dei voluminosi registri. Alzò lo sguardo, giusto in tempo per vedere il loro inchino e, facendo un cenno con la mano verso la sedia posta dinanzi allo scrittoio, tornò a scrivere.

    La Septa le posò le mani sulle esili spalle e la spinse gentilmente in avanti, incoraggiandola a sedersi nel punto indicato dal Lord quindi, con un altro inchino, se ne andò, lasciandola da sola.

    Era raro che le fosse permesso di entrare in quella stanza e Vidya si guardò attorno, curiosa. Come tutte le camere del Forte dalle finestre non entrava molta luce e delle candele erano state sistemate in modo da illuminare il piano di lavoro, strabordante carte e pergamene. Le pareti erano coperte di antichi arazzi, raffiguranti scene di caccia e battaglia, che isolavano l'ambiente, assorbendo ogni rumore e conservando il calore sprigionato dal piccolo caminetto poco distante. Alle spalle del Lord spiccava un grosso mobile, simile ad una cassettiera ma suddiviso in tanti piccoli cassetti quadrati dotati di serrature. Lo osservò per qualche istante, chiedendosi cosa potessero mai contenere dei tiretti tanto stretti, quindi riportò lo sguardo sul fratello, intento a valutare delle monete.

    Un compito che il Lord svolgeva con calma e perizia, soffermandosi sui diversi pezzi, controllando le scritte incise con una lente e grattando la superficie utilizzando la punta di uno spillo, prima di intingere la penna nel calamaio e scribacchiare qualche nota sulle pagine davanti a lui.

    «Il Maestro Tybald mi ha detto che sei abile con i conti.»

    Le verdi e pallide iridi della bambina si sollevarono di scatto e, senza proferir parola, mosse il capo. Sí. Il desiderio di non deludere l'anziano mentore la spingeva a dare il meglio di sé nella materia, sebbene trovasse terribilmente noiose le lezioni di aritmetica e macchinose le operazioni sull'abaco.

    «Bene. Ci faciliterà molto le cose.» Roose chiuse il volume e lo spostò di lato, concentrando l'inquietante sguardo latteo sulla piccola. «Un giorno dovrai essere in grado di gestire le finanze di un feudo in vece del tuo futuro marito. E, la prima cosa che un buon amministratore deve conoscere, è il valore del denaro.»

    Nell’ultimo periodo le persone intorno a lei, dalla Septa a Lady Bolton, facevano con sempre più frequenza riferimento ai suoi futuri doveri ma, per Vidya, il concetto di una nuova casa o di un marito erano ancora del tutto astratti e lontani. Parte di un domani che non comprendeva fino in fondo.

    Senza perdersi in ulteriori preamboli l'uomo aprì uno dei sacchetti disposti davanti a lui. Il tintinnio metallico del contenuto indicò cosa contenesse prim'ancora che venisse estratto un piccolo disco argentato. «Sai cos'è questa?»

    «Una moneta.»

    «E sai a cosa serve?»

    La piccola strinse i pugni in grembo per scaricare la tensione, nervosa nonostante la semplicità delle domande. «...A comprare le cose di cui abbiamo bisogno.»

    Il Lord annuì. «Un tempo, e tuttora tra i popolani, vigeva il baratto. Lo scambio di beni di cui si disponeva per altri di cui si necessitava: un sacco di mele per una forma di formaggio, un secchio di grano per del sale… » iniziò, rigirandosi pigramente la moneta tra le dita, la sua voce bassa ma chiara. «Ma non sempre gli interessi coincidevano. Bisognava convincere l'altro ad accettare il bene offerto in cambio del proprio, anche se non ne aveva bisogno. Si è quindi arrivati ad istituire uno strumento di pagamento che fosse riconosciuto ed accettato da tutti: la moneta. Tramite di essa si possono valutare i costi e fissare i prezzi - ovvero la quantità di moneta necessaria per acquistare un bene o pagare un servigio.»

    L’uomo afferrò una delle tartine poste sul vassoio, accanto alla brocca contenente il vino speziato. «Una tartina simile a questa comprata al mercato può costare 3 penny di rame. Il venditore, nel calcolare il prezzo, tiene conto non solo del costo delle materie prime - in questo caso: frutta, farina e tutti i vari ingredienti - e del tempo impiegato per produrla, ma anche della quantità di prodotto presente sul mercato - l’offerta - e della richiesta del bene - la domanda.» Spiegò, facendole diversi esempi e parlando lentamente, come se stesse cercando di scegliere con cura le parole per rendere i concetti quanto più semplici possibili, affinché fossero comprensibili alla piccola. «Un altro fattore molto importante che incide sul prezzo finale è la provenienza. Nei nostri mercati una bottiglia di vino dell’Altopiano costerà molto di più che a Vecchia Città, in quanto conterà nel prezzo anche il costo del trasporto.»

    Nel villaggio che sorgeva nei pressi di Forte Terrore, ogni settimana si teneva un piccolo mercato ove venivano esposti in gran parte prodotti locali e banchi di mercanti itineranti. Più volte, durante alcune delle passeggiate lungo l’Acqua Piangente insieme a Septa Loreza, le era capitato di passarvi accanto, osservando distrattamente ceste e carri ricolmi di merci e le diverse transizioni. Ma non si era mai soffermata a riflettere su tutto ciò che c’era dietro quelle - a volte accese- contrattazioni.

    «La moneta, tuttavia, non è solo uno strumento di pagamento ma anche una riserva di valore», proseguì il Lord. «Non spendere tutto il denaro di cui si dispone, mettendolo da parte, ci permette di fare fronte ad esigenze future.»

    «Come le riserve di cibo in vista dell’inverno…» mormorò timidamente la piccola.

    «Esattamente» convenne l’altro. «Il denaro non speso andrà ad accumularsi nelle casse del feudo, generando ricchezza. Starà al buon amministratore mantenerla o incrementarla, gestendo con accortezza i capitali, assicurandosi di avere il denaro per le spese necessarie e il pagamento dei tributi.»

    La bambina annuì, mostrandosi attenta come le aveva raccomandato la Septa, e Roose andò avanti, iniziando ad estrarre altri pezzi dal sacchetto.

    «Prima della Conquista ogni Regno coniava le proprie monete, poi, in seguito all’unificazione, è stata adottata un’unica valuta. Attualmente a Westeros abbiamo: i mezzi, i penny, i grossi,» elencò facendo scivolare una alla volta le monete in questione sul tavolo, disponendole in fila davanti alla bambina, «le stelle di rame, i cervi d'argento, le lune d'argento e i Dragoni.»

    Vidya le guardó affascinata, non sapeva ce ne fossero così tante e così varie per forma e colore.

    «La moneta di minor valore sono i mezzi.» Il Lord prese la prima della fila e la tenne tra pollice e l’indice in modo che la piccola lady ne potesse memorizzare l’aspetto e studiarne i dettagli. «Ne occorrono due per raggiungere quello di un penny.» Alzò quindi il penny. «Due penny, invece, fanno un grosso.»

    Vidya spostò lo sguardo sulla terza moneta. Era leggermente più grande rispetto alle precedenti.

    «Mentre per fare una stella di rame,» Roose le passò un leggero disco ramato, la stella a sette punte un tempo in rilievo ormai quasi del tutto consumata dall’uso, «occorrono quattro grossi.»

    «Due mezzi per un penny, due penny per un grosso, quattro grossi per una stella di rame…» mormorò, indicando man mano le monete in questione.

    «Per fare un cervo d'argento,» l’uomo le mostrò una moneta in argento dai bordi irregolari, su di una faccia era inciso il volto di Re Aerys II, sull'altra invece riportava la figura di un cervo, «sono necessarie sette stelle di rame.» Fece una breve pausa, dandole il tempo di registrarne le caratteristiche e la differenza con le altre, quindi passò a quella successiva, sempre in argento ma più grande e con una luna sul retro. «Per una luna d'argento, infine, occorrono sette cervi d'argento.»

    La piccola annuì diligentemente. Sette stelle per un cervo e sette cervi per una luna, ripeté tra sé e sé, cercando di memorizzare tutte quelle informazioni.

    Roose le porse dunque l'ultima moneta rimasta. «Questo è un dragone d'oro, la moneta di più alto valore. Per ottenere un dragone ci vogliono 30 lune, ovvero 210 cervi o 1470 stelle di rame…»

    Vidya non riusciva nemmeno ad immaginare così tante monete. La prese e la studiò tenendola sul palmo. Nelle sue mani sembrava enorme. Si soffermò qualche istante sul drago ignivomo a tre teste impresso nell’oro, simbolo dell’egemonia Targaryen, e la girò. Sull’altra faccia c’era un volto severo e distante, diverso da quello presente sul cervo d’argento. Lesse la scritta lungo il bordo consumato: Jaehaerys II e rivolse uno sguardo interrogativo al fratello.

    Non doveva esserci il volto del Re?

    «Ogni qualvolta viene incoronato un nuovo Re, la zecca reale provvede a coniare nuove monete, tuttavia le precedenti non perdono di valore» le rispose, intuendo l’origine della sua perplessità, «ma questo è un discorso per un altro giorno. Ora vediamo cosa hai appreso.»

    La bambina deglutì e si mosse nervosamente sulla sedia, ripetendosi mentalmente il valore delle diverse monete come una cantilena.

    «Dividi le monete contenute in questo sacchetto secondo il loro valore»le disse, vuotandolo. Quindi versandosi del vino speziato, si rilasciò contro lo schienale, portandosi il calice alle labbra.

    Vidya iniziò diligentemente la suddivisione, mettendo ogni moneta estratta sotto quelle già presenti fino a formare piccoli gruppi. Non era difficile, sebbene continuasse a confondere i penny con i mezzi e sentisse lo sguardo del fratello su di sé.

    «Ora contale.»

    «Undici mezzi» mormorò la piccola una volta terminato il primo mucchietto.

    «Con questo numero di mezzi quanti penny saresti in grado di ottenere?»

    Un penny equivale a due mezzi… La bambina si morse il labbro, nervosa, cercando di fare i calcoli il più velocemente possibile, aiutandosi con le dita. «Cinque penny,» rispose quindi, aggiungendo subito dopo: «con un mezzo di avanzo.»

    L’uomo annuì, il volto impassibile e, con un gesto della mano, le indicò di proseguire. «Ora conta il resto.»

    La bambina eseguì immediatamente, determinata a superare quel piccolo esame. Non mancava molto alla fine del sacchetto quando si trovò davanti ad una moneta diversa. Si bloccò e alzò i grandi occhi verdi verso il fratello che, nel frattempo, aveva ripreso a scrivere annotazioni sul libro. Fece per parlare ma esitò, non volendolo disturbare. Tornò a guardare i piccoli mucchietti di monete davanti a lei, confusa, alla ricerca di qualcosa che somigliasse al pezzo che aveva in mano.

    Udì un sospiro e il suo sguardo si sollevò nuovamente verso Roose. La stava guardando, un sopracciglio sollevato in un’espressione interrogativa.

    «C’è…» iniziò, la voce poco più di un intimorito sussurro. «Una delle monete è diversa.»

    Il Lord le porse la mano e la bambina gli consegnò il pezzo d’oro.

    «É una moneta che viene da lontano» disse dopo un pò, riconsegnandogliela. «Un oro di Braavos.»

    «Come è arrivata fin qui?» Se nella sua mente Grande Inverno era lontanissima, le città del Continente Orientale lo erano ancora di più.

    Roose alzò leggermente le spalle. «Mercanti suppongo» ribattè, prima di spiegarle brevemente come, solitamente, coloro che giungevano da terre lontane, erano soliti fermarsi ai banchi dei cambiatori per convertire, a seconda del conio del luogo, le proprie monete di valuta diversa. Al Nord, dove non c’erano grandi città né porti, i cambiavalute non erano molto diffusi ma era possibile trovarne alcuni a Porto Bianco.

    «Quanto vale?» chiese timidamente.

    «Una moneta d’oro proveniente da una delle Città del Continente Orientale vale quanto il nostro Dragone. Così come i loro argenti valgono una nostra Luna.» Poiché il loro valore era determinato dal contenuto in metallo, le disse, c’era chi le accettava come pagamento e per questo ogni tanto poteva capitare di trovarne in circolazione. «Per il rame, vista la differenza di valore, il discorso è diverso. Un loro pezzo di rame vale 2 stelle e mezzo delle nostre.»

    Vidya seguì diligentemente la spiegazione e tornò a fissare, affascinata, quel disco dorato e il simbolo - una clessidra - riportato su di essa.


    Parole: 2081/600

    Tratto: Studioso lv2
    Requisiti: /
    Ricompense: 5 punti esperienza, Economia 1


    Edited by »S« - 23/7/2023, 23:52
  12. .
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      Piazza di Torrhen · Lago · 23 gennaio 286AA
    Lungo le mura meridionali, di fianco all’ingresso che dava sul Molo di Torrhen, un piccolo portone si apriva direttamente sulla sponda nord del lago. Profondi intagli ne decoravano l'antico legno e Vidya, incuriosita, si soffermò per studiarli. Si trattava di motivi arborei, richiamanti il culto degli Antichi Dèi. Rami e foglie stilizzate che riempivano la superficie in una fitta trama senza inizio e fine, dipanandosi e intrecciandosi gli uni agli altri, creando figure e narrando, tramite di esse, remote leggende di eroi e divinità. Come in un'immagine speculare, partendo dal tronco di Albero Diga rappresentato al centro, molteplici radici si estendevano verso il basso; le storie raccontate da quegli intrecci, però, erano molto più oscure, moniti su quanto l’Oltre poteva riservare a coloro che offendevano gli Dèi. Nell’antico culto il concetto di inferi, così come concepito dalla dottrina eptastellata, non esisteva. Niente fiamme eterne che tormentavano le anime giudicate indegne dal Padre, quanto piuttosto un'eternità prigionieri in sempiterna oblivione - senza pace, dimenticati e soli.

    Varcata la soglia, ignorò la ripida scala in pietra che l’avrebbe condotta al molo, e proseguì seguendo la riva, percorrendo una stretta stradina coperta di aghi di pino bruniti e ramaglia.

    Nel fitto del bosco piccoli animali si muovevano, scuotendo le irte fronde, intenti a sfruttare le poche ore di luce rimaste, mentre gli uccelli riempivano l’aria con le loro conversazioni musicali e frulli d'ala. Riconobbe il dorso striato di una tamia che si arrampicava lungo uno dei tronchi prima di sparire tra la vegetazione e, man mano che avanzava, le parve quasi di poter udire la roca voce del Maestro Tybald spiegarle le caratteristiche delle piante e degli arbusti che la circondavano: le ampie chiome delle querce, “portatrici di forza e coraggio”; il balsamico e legnoso odore degli abeti, “indispensabili per contrastare i mali invernali”; i pallidi e alti tronchi d’avorio delle betulle, “simbolo di conoscenza e guarigione” e, in prossimità del lago, il “melanconico portamento” delle folte e scomposte capigliature dei salici.

    Il terreno divenne più fangoso e, ad ogni nuovo passo, poteva sentire gli stivaletti in pelle affondare nella terra umida e grigia. Dietro di lei, mantenendo una distanza tale da non darle fastidio, ma sufficiente per poterla tenere d’occhio, un cadenzato tintinnio metallico le ricordava la presenza di una delle guardie della sua scorta. Un giovane pallido e allampanato dallo sguardo impassibile e di poche parole.

    Il sentiero la condusse infine in una piccola insenatura, piena di ciottoli e pietre di varia grandezza, incassata tra il lago e i fianchi delle selvose colline. Poco più in alto, in cima ad un piccolo rialzo del terreno, nel punto in cui si interrompeva di colpo, piombando direttamente sulle trasparenti acque, spiccava un solitario Albero Sentinella. Il suo tronco e i suoi rami spogli erano stati deformati dal vento, resi simili ad una mano congelata nell’atto di indicare qualcosa davanti a sé.

    Seguì la direzione con lo sguardo, lasciandolo spaziare, avido e meravigliato, lungo il paesaggio. A largo diverse imbarcazioni si muovevano verso sud, pronte a ridiscendere il fiume che, attraversando i territori a confine tra i Rills e le Terre delle Tombe, le avrebbe condotte al mare. Da quel punto la sponda opposta era a malapena visibile, punteggiata da banchine e vecchie costruzioni in legno, alle cui spalle, silenti ed imponenti, le cime delle montagne svettavano su clivi verdeggianti d’abeti e querce, simili alla cresta dorsale di un drago dormiente, galleggiante in un liquido cielo grigio.

    Accomodatasi su uno dei massi più grandi, intinse le punte delle dita nei ferruginosi flutti ai suoi piedi, e iniziò a muoverle distrattamente, respirando il lago e assorbendo il silenzio. Attorno a lei null’altro che il sospiro delle acque increspate dalla leggera brezza di quel pomeriggio. La voce del lago, notò, mentre la morsa della nostalgia tornava ad artigliarle il cuore, era diversa dal rombante mormorio dell’Acqua Piangente, il cui fragore aveva il potere di placare il tumulto del suo animo.

    Tese le labbra in una linea sottile. Gli scuri nembi che quella mattina avevano minacciato tempesta si erano diradati, ma non le sue preoccupazioni che, al contrario, si erano acuite, scivolando subdole dai più oscuri meandri della sua mente, trovando nutrimento dalle sue paure, senso d’inadeguatezza e incertezze.

    Distolse lo sguardo dai contorni tremolanti del suo riflesso, e chiuse brevemente le palpebre, come a respingere fisicamente quei pensieri. Si era recata su quelle sponde per ritagliarsi un momento di pace e respiro, non per alimentare i propri timori e incupirsi rimuginando su quanto accaduto e quanto sarebbe potuto accadere. Un momento dedicato a se stessa - lontana dalle salmodie del Septon, da vuote chiacchiere di circostanza e da sguardi giudicanti o colmi d’aspettativa.

    Aprì la borsa che aveva portato seco ed estrasse la ghirlanda a cui stava pazientemente lavorando da giorni. La esaminò con cura, stringendo laddove necessario i rami in modo da rendereli più compatti e valutando la tenuta dell’insieme. L’anello stava gradualmente aumentando di spessore, arricchito ad ogni tappa da un elemento che simboleggiasse i terreni attraversati in una sorta di diario di viaggio. Piazza di Torrhen non avrebbe fatto eccezione. Si guardò attorno alla ricerca di qualcosa da poter usare e i suoi occhi caddero nuovamente sull’Albero Sentinella. In bilico su quel ciglio, con parte delle sue radici visibili e gli aggettanti e nodosi rami che sfioravano l’erba scura, trasmetteva allo stesso tempo vulnerabilità e resilienza.Un contrasto curioso e stranamente calzante per descrivere la sua situazione.

    Si alzò e, sfilando dalla cintura il coltello che aveva acquistato a Grande Inverno, raggiunse l’albero. Non proprio l’utilizzo per cui era stato creato, pensò, sentendo i rigidi e robusti aghi pungerle il palmo mentre lasciava che l’affilata lama recidesse il legno di quei rametti, ma adempiva perfettamente allo scopo.

    Fu in quel momento che li vide. Oltre i fitti cespugli di nasturtium officinale e i ciuffi di carice parte del fondale era visibile e, tra una pietra e l’altra, si potevano distinguere una serie di sottili solchi, come se qualcuno avesse usato un bastoncino per disegnare linee e curve casuali nella sabbia. Un piccolo sorriso le incurvò le labbra, sciogliendo il suo solito serio cipiglio. Quei segni erano opera delle larve di Tricotteri Limnefilidi.

    Facendo attenzione ai massi scivolosi e muschiosi, tenendo i lembi della gonna per evitare di bagnarla, entrò in acqua e seguì le tracce lasciate dalla piccola creatura, nella speranza di individuarne il guscio. Ricordava ancora la prima volta che ne aveva visto uno, scambiandolo per un curioso agglomerato di ciottoli, prima che il Maestro le spiegasse come i tricotteri costruissero il loro involucro durante la fase larvale.

    Ormai dimentica di ogni ansietà, iniziò a esplorare quel tratto di riva, osservando affascinata alcuni esemplari di coleotteri ditiscidi farsi strada tra le piante acquatiche e dei gerridi pattinare a filo d’acqua con le loro lunghe zampette. Pochi comprendevano la sua fascinazione per gli insetti, incapaci di superare l’istintiva e ancestrale repulsione, ciechi alla loro bellezza ed unicità. Dal canto suo, Vidya, amava lasciarsi circondare dai magici giochi di luce delle lucciole durante le notti d’estate e ammirare il tripudio di cromie delle varie specie di farfalle e falene, quanto scoprire i brulicanti mondi nascosti tra le umide ombre del sottobosco. Poteva passare intere giornate a studiare quei piccoli e complessi esseri, sfogliando i rari testi che li trattavano - per lo più intrisi di leggende e superstizioni popolari - intrigata dal mistero che li ammantava ed entusiasmata dalla promessa delle nuove scoperte che offrivano.

    Non avrebbe saputo spiegare esattamente il perché. Forse era solo l’ennesima dimostrazione della sua insaziabile curiosità o, forse, riflettè, in un certo qual senso, si sentiva affine a quelle creature dalla reputazione tanto sinistra e oscura. Evitati e incompresi.

    Tornò al castello quando l'acqua del lago era ormai tinta dalle cupe sfumature d’arancio e viola del tramonto, accompagnata dal sinistro grido delle strolaghe. Un lamento che sapeva di presagio e che risvegliò in lei una profonda inquietudine. Un’agitazione che la seguì fino alle stanze a lei assegnate, legata a quella paura a cui non aveva mai permesso di prendere forma, lasciandola aleggiare intangibile e taciuta nella sua mente.

    E se le fosse accaduto qualcosa?

    Si sedette allo scrittoio e intinse la penna d’oca nel calamaio.

    ‘A Roose Bolton, Lord di Forte Terrore.’



    Esitò, la punta sporca d'inchiostro ad un attimo dal toccare la pergamena. Non poteva esporsi in modo esplicito, con il rischio che le sue parole venissero lette da occhi indiscreti e strumentalizzate, né poteva essere troppo criptica e far sì che il messaggio risultasse incomprensibile. Si rilasciò contro lo schienale, pensierosa, rigirandosi la piuma tra le dita.

    Dopo qualche attimo di riflessione, tornò a chinarsi sul foglio e riprese a scrivere.

    Lo informò di come era stata coinvolta nel missione diplomatica e dell’avanzare dell’eresia e di come questa stesse intaccando persino le corti del Nord, in modo da essere pronto avesse dovuto spingersi fino ai territori dell’Uomo Scuoiato. Gli comunicò le sue impressioni sulle Lady incontrate, dandogli un quadro, attraverso i suoi giudizi, della situazione nei loro seggi - la Lady Madre alle prese con la gestione del feudo vista la prolungata vacanza del Lord - e la percezione del proprio - alludendo alle indiscrete domande su Shaelyne fatte da Lady Cerwyn. Ma, soprattutto, cercò di comunicargli che i loro timori erano fondati - il Maestro di Grande Inverno, e molto probabilmente anche i suoi signori, era a conoscenza della gravidanza di Odilia.


    L’ora del banchetto era giunta. Vergò le ultime righe e ripose di gran fretta la lettera al sicuro nella sua borsa.


    Parole: 1579
  13. .
    Parlato Vidya
    Vecchia Nan


      Grande Inverno · gennaio 286AA
    Il cortile era immerso nel più totale silenzio. Tempo un'ora e si sarebbe animato con suoni e rumori di vita ma, in quel momento, tutto taceva, immobile. Il sole non era ancora sorto oltre le alte mura e lo spiazzo conservava il gelo e l'umido notturno. Protetta dal mantello foderato in pelliccia e il largo cappuccio, Vidya avanzò lungo il cortile. Da vera donna del Nord, non temeva il freddo bensì lo accoglieva e sfidava. I bersagli da tiro erano rimasti fuori, i cerchi disegnati sul legno segnati da tanti piccoli tagli, lì, dove le frecce si erano conficcate durante gli addestramenti e alcuni utensili ed oggetti erano stati lasciati incustoditi, abbandonati come se i loro proprietari fossero svaniti nel nulla mentre li stavano utilizzando: un secchio d'acqua, pieno a metà, ai piedi di un barile; un'accetta conficcata nel legno vivo di un tronchetto. Raggiunse il piccolo pozzo all'angolo più estremo dello spiazzo e guardò oltre il bordo. Il fondo era ancora avvolto dalle tenebre, sebbene di tanto in tanto le acque più in basso sembravano reagire a quelle prime luci con brevi lampi luminosi. Alzò lo sguardo, facendolo scorrere lungo le costruzioni all'interno della cinta e non poté trattenere un moto di sorpresa. Davanti ad una delle porte era comparsa la Vecchia Nan. Gli occhi quasi del tutto ciechi che scrutavano lo spazio vuoto innanzi a lei, avendo probabilmente percepito la presenza della più giovane.

    «Chi c'è?!» domandò burbera, la voce resa ancora più stridula nel tentativo di farsi sentire.

    Vidya fece qualche passo verso di lei, identificandosi. «Quest'oggi il sonno ci ha abbandonato presto» disse, quasi a volersi giustificare per essere già sveglia a quella strana ora. Troppo tardi per l’ultimo degli amanti dei bagordi, troppo presto per il più ligio dei lavoratori e, ancora di più, per una Lady.

    L’anziana la invitò a seguirla, guidandola lentamente attraverso il cortile. «La quiete delle prime ore del mattino è un dono noto a pochi in gioventù, ma che tutti con l’avanzare dell’età scopriamo. È in queste ore che possiamo udire la voce della natura così come la si può sentire nelle più profonde ed isolate foreste, lontano dagli uomini e dai suoi rumori.» Sospirò e una piccola nuvola di condensa si formò nella fredda aria del mattino. «Un tempo, in queste terre, non si udiva altro che questo» fermandosi, allargò la mano ed indicò il silenzio che cominciava ad essere interrotto dai primi canti degli uccelli, «e la Vera Lingua.»

    «La lingua dei Figli della Foresta?»

    La Vecchia Nan annuì energicamente e riprese a camminare, ogni passo accompagnato da un respiro affannato. «Una lingua i cui suoni erano ispirati e tratti dalla natura stessa. Le parole tagliavano l’aria come il fruscio del vento tra le foglie e picchettavano l’udito come la pioggia sull’acqua o i ciottoli in un ruscello… in armonia con ciò che li circondava. E le loro canzoni… le canzoni che componevano erano tanto belle e musicali da commuovere fino alle lacrime chiunque le udisse.»

    Vidya sorrise al tono trasognato della donna, non vi era alcun dubbio credesse davvero a questi racconti. Sembrava quasi parlare come se provasse nostalgia e potesse ricordare quei suoni. La guardò, fragile e curva sotto il peso degli anni, poggiarsi su di un vecchio bastone come sostegno - non poteva escludere fosse effettivamente così.

    «C’è chi mette in dubbio la loro esistenza …»

    Le labbra della donna si piegarono in un sorrisino furbo, tendendo le rughe che le rigavano. «I nostri padri e madri ci hanno tramandato il loro ricordo, non storie. Ma la memoria dell’uomo è debole.» Si fermò di nuovo, girandosi verso la giovane con giocoso fare di sfida. «Cosa sapete di loro?»

    «Quanto viene raccontato nei libri,» le rispose, ripensando al volume sulle leggende del Nord che Roose le aveva regalato per il viaggio, e ai tanti racconti che già conosceva su di loro. «Abitavano il nostro Continente durante l’Era dell’Alba, occupando i territori che andavano dal Mare dell’Estate alle Terre dell’Eterno Inverno, da molto tempo prima dell’arrivo dei Primi Uomini. Erano una razza diversa dagli uomini, più piccoli di statura e corporatura, simili a bambini.» Piegò la bocca in una smorfia amara al pensiero del loro triste, presunto, destino. «Si estinsero migliaia di anni fa in seguito all’arrivo degli Andali…»

    L’anziana mugugnò qualcosa di inintellegibile, chiaramente contrariata, e riprese nuovamente a camminare.

    «Non è noto da dove essi giunsero, né da quando vivessero in queste lande prima che gli uomini si imbattessero in loro. Per migliaia di anni condivisero il territorio con i ben più arretrati giganti. Dimoravano in caverne, paludi e villaggi nascosti tra gli alberi. Non coltivavano, non tessevano e non lavoravano metalli. Vivevano dei frutti della terra e della caccia - per cui utilizzavano archi costruiti con il flessibile e resistente legno d'Albero Diga o trappole d'erba - e creavano utensili in pietra ed ossidiana...»

    L’espressione trasognata era tornata. Vidya in parte la capiva, era bello perdersi in certe leggende, credere nell’esistenza di qualcosa in più, che desse colore al grigiore dell’esistenza.

    «La loro pelle era brunita come il guscio delle noci e pomellata da chiazze più chiare come il manto dei cervi. Snelli, agili ed aggraziati, erano soliti intrecciare tra i capelli foglie, viticci e fiori in complicate pettinature ed indossare mantelli ed abiti fatti di fogliame. Avevano piccole mani composte da quattro dita, dotate di aguzzi artigli neri per unghie. Le orecchie, tramite le quali potevano udire cose che sfuggivano agli uomini, erano grandi e grandi erano i loro occhi obliqui dalle iridi color oro o verde muschio, che gli permettevano di vedere anche nelle profondità della terra.»

    Superarono la Biblioteca e, svoltando sulla destra, iniziarono a dirigersi verso le cucine. Le finestre erano aperte e si poteva intravedere il tremulo baluginio delle fiamme nel camino.

    «Quello che i libri non raccontano è che alcuni dei Figli della Foresta nascevano con occhi rosso sangue, come la linfa degli Alberi Diga, segno fossero i prescelti dagli Dèi. La loro vita terrena era destinata ad essere breve ma, una volta legati ad un Albero Diga, sarebbero vissuti molto molto più a lungo dei loro fratelli. Alcuni di questi erano in grado di entrare nei corpi delle fiere dei boschi e controllarli, altri persino di parlare con i morti. I Veggenti Verdi.» La voce dell’anziana si abbassò leggermente, come se quanto le stesse dicendo fossero segreti e non leggende raccontate ad ogni bambino di Westeros. «Furono loro ad insegnare ai Primi Uomini come utilizzare i corvi per mandare messaggi.»

    «Ma i Figli della Foresta non avevano un linguaggio scritto…» Nulla era rimasto di loro e dalle poche testimonianze e racconti era emerso non utilizzassero alcuna forma di scrittura.

    Il sorriso di poco prima tornò. «Non inviavano messaggi scritti ma parlavano attraverso di essi. A differenza degli uomini, i corvi, conoscono la Vera Lingua.» Le rivolse uno sguardo eloquente, come se percepisse, pur non vedendola, l’espressione di incredulità sul suo volto. «Quella dei Figli della Foresta era una civiltà con una profonda connessione con la natura, e con essa in armonia vivevano. 'Coloro che cantano la canzone della Terra', così si chiamavano tra di loro

    Una connessione che, purtroppo, alla fine non gli fu d’aiuto. «Un legame che non riuscì a proteggerli dagli invasori.»

    La donna annuì, il volto incupito. «Non bastò neanche la loro magia.»

    «Intendete il Martello dell’Acqua?» Le storie popolari su come il Braccio Spezzato di Dorne e L’Incollatura avessero avuto origine l’avevano affascinata da sempre.

    Varcarono la soglia delle cucine e alcuni servitori presi dalle faccende si voltarono, perplessi tanto dal vederle assieme quanto, Vidya immaginò, dai loro discorsi.

    «Sì. I Figli della Foresta non si limitarono ad incidere i volti degli Alberi Diga affinché gli Dèi vegliassero sulle foreste e sui loro territori. Ma, con i loro canti li invocarono affinché arrestassero l’avanzata dei Primi Uomini e, in seguito, degli Andali.»

    C'erano diverse versioni a riguardo. Secondo alcune i Figli della Foresta, una volta riunitisi a centinaia sull'Isola dei Volti, per evocare i Vecchi Dèi, non usarono solo canti e preghiere. Si narrava di sacrifici cruenti in cui dei prigionieri venivano ‘dati in pasto’ agli Alberi Diga e, in altre storie, si raccontava persino che avessero utilizzato il sangue dei propri bambini, finché gli Dèi non si destarono, frammentando la terra che venne inghiottita dalle acque del mare, cancellando per sempre il Braccio di Dorne.

    La Vecchia Nan, tuttavia, non fece alcun cenno a questi oscuri e sanguinosi racconti, continuando a camminare, lentamente, fino a raggiungere il camino.


    Parole: 1432/700

    Tratto: Studioso lv2
    Requisiti: Conoscenze 46/10
    Ricompense: 12 punti esperienza, tratto "Conoscenze Religiose 4", Affinità culto antichi dei +5

    Add retrospettivo: partenza da Grande Inverno postata il 4/3 .
  14. .
      Forte Terrore · 284
    Il vento all'esterno infuriava, scuotendo i vetri con le sue invisibili dita, mentre le nere nuvole, venate d'azzurrini lampi, rombavano furiose nella notte. Un forte schianto, seguito dal clangore del metallo sulla pietra, irruppe nella stanza. Vidya alzò di scatto gli occhi dallo scrittoio, tendendo l'orecchio. Qualcosa di pesante rotolava nel cortile dabbasso, trascinato dalle violente folate. Si udirono voci concitate, quindi il rumore cessó. La giovane Lady intinse nuovamente la penna d'oca e riprese a scrivere, il grattare della punta sulla pergamena tornò a riempire l'atmosfera come ogni sera. L'inchiostro formò una parola dopo l'altra, diverse dalle solite annotazioni e liste per tenere d'occhio l'andamento della malattia...

      · 9 marzo 284AA ·

    "Qualcosa d'inaspettato è accaduto quest'oggi. Passeggiavo nei pressi dell'antica quercia, quando ho scorto una macchia di colore tra la neve. Mi sono avvicinata, incuriosita. E, con mia grande sorpresa, si è rivelata essere un piccolo uccellino ferito. Un batuffolo dalle piume rosse e bianche. L'ho preso, temendo il peggio. Sembrava la vita lo avesse ormai abbandonato, poi ho sentito il suo cuoricino battere frenetico contro i palmi. Era così leggero e fragile tra le mie mani.

    Si tratta di un Carpodaco Purpureus, fringuello viola nella lingua comune. Il Maestro Tybald dice che la ferita è troppo netta per essere stata causata da un animale. Qualcuno si è divertito a torturare quella povera ed indifesa creatura. Mi ha anche consigliato di lasciarlo morire... "Quella di un uccello che non può volare non è vita", mi ha detto, ma io non ho il cuore di farlo."


    La calda luce della candela illuminava le pareti della scatola di legno, lasciando in ombra l'interno imbottito di paglia. Vidya distolse lo sguardo, frenando l'istinto di sbirciare per controllare se il piccolo uccellino rosso stesse riposando. Necessitava di tranquillità per riprendersi dal trauma. Con un sospiro, triste, aggiunse qualche altra riga all'annotazione.

    "Che ci sia una ragione per cui è sopravvissuto, e che sia stata proprio io a trovarlo? Il suo piumaggio, dai colori così simili a quelli Bolton, può essere solo una coincidenza?"



      · 10 marzo 284AA ·

    "Shaelyne mi ha detto che sono crudele. Ironico che una tale accusa mi venga mossa proprio da lei…"


    Le mani le tremarono e Vidya smise di scrivere. L'uccellino era nella scatola, la testolina incassata nel folto piumaggio. Ciò che rimaneva dell'ala sinistra era visibile al di sotto del leggero strato di garza. Provò nuovamente a nutrirlo, aiutandosi con un bastoncino cavo. Aveva tentato più volte in quelle ore, tuttavia l'animale continuava a non fidarsi. Il Maestro le aveva detto che doveva forzargli il becco ma… E se quello era il modo in cui la creatura cercava di dirle di lasciarlo morire? Quel pensiero fu come una pugnalata al cuore.

    "Mia nipote ha ragione? È davvero crudeltà quella che mi spinge a salvarlo? Lo sto condannando ad una vita di infelicità e di patimento? Dovrei forse lasciarlo morire?"


    Si rilasciò contro lo schienale e guardò fuori dalla finestra il tramonto tingere di rutilante splendore le mura del Forte, cercando di ignorare il pungente dolore delle lacrime che si rifiutava di versare. Era persa in quella contemplazione quando un attutito, e poi man mano più chiaro e insistente, pigolio la raggiunse. Alzò il panno che copriva la scatola e lo vide: occhietti neri e becco in su. Lo prese, facendo attenzione alla ferita, e avvicinò il bastoncino. L'uccellino aprí il becco di sua sponte ed un peso le si sollevò dal cuore.

    "Quella di Shaelyne è una visione miope. Dalla sua posizione privilegiata non può capire il potere della volontà e della resilienza…

    Ho avuto la risposta che cercavo. Vuole vivere. Ed io lo aiuterò."



      · 19 marzo 284AA ·

    Il piccolo fringuello pencolò verso il diario e, attirato dal movimento della penna, tentò di salire sulle pagine. Il primo tentativo andò a vuoto ma, determinato, provò ancora, e riuscì a raggiungere il bordo salvo poi, con una sorta di trillo sorpreso, ruzzolare rovinosamente sullo scrittoio.

    Vidya che aveva osservato tutta la scena, incluso il frenetico frullio d'ala nell'estremo tentativo di non capitombolare, non poté trattenere una leggera risata. E, con un sorriso divertito, si affrettò a soccorrerlo.

    Una sensazione, quella, del ridere e sorridere, che aveva quasi dimenticato e che con lui stava riscoprendo.

    "Mi è stato chiesto quale fosse l'utilità di un uccellino storpio. Non ho degnato la domanda di una risposta. Non potrebbero capire. Come posso spiegare loro che, se è vero che io ho salvato lui, lui sta salvando me? Questi giorni passati ad accudirlo sono tra i più sereni che ricordi da tempo. Con quali parole posso descrivere il calore che avvolge il mio cuore quando, entrando nella mie stanze, un tempo vuote e silenziose, vengo accolta da un festoso trillo o battito d'ala? Riuscirebbero a comprendere la gioia e l'orgoglio che ho provato quando è riuscito a saltare per la prima volta senza perdere l'equilibrio, o il divertimento nel vederlo esplorare ogni superficie a lui sconosciuta?
    Cosa ne sanno dell'affetto puro e incondizionato che la carezza delle soffici piume contro la mia guancia sa comunicare, quando il dolore stringe la sua morsa su di me?

    Il grigio delle mura avviluppa tutto ciò che contengono, ma il suo rosso piumaggio respinge le ombre. Una purpurea fiamma di speranza in questa perenne notte."



      · 21 marzo 284AA ·

    "Ho finalmente trovato un nome: Jiàn.
    Significa 'forza' , 'perseveranza' e… vita."




    Parole: 897


    Ho scelto di approfondire questo episodio perché Jiàn non rappresenta solo il lato umano di Vidya, quella parte che l'essere cresciuta in un ambiente fortemente dominato dalla violenza come il Forte poteva spegnere. Il suo ritrovamento - in un momento in cui la giovane stava rinunciando a lottare, trascinandosi di giorno in giorno nella solitudine della sua condizione - ha segnato l'inizio di un nuovo capitolo per lei. Una sorta di 'rinascita'. Accudendolo le sue giornate hanno riacquistato colore e calore. E l'attaccamento alla vita di Jiàn, nonostante la propria realtà sia stata tanto brutalmente e irrimediabilmente stravolta (proprio come la malattia ha fatto con Vidya) le è d'ispirazione.
  15. .
      Forte Terrore · 283AA
    Raramente a Forte Terrore si ricevevamo ospiti, quindi, la notizia dell'arrivo direttamente dalla Cittadella del Maestro Wardell White, uno tra i più eminenti linguisti del Continente, si diffuse rapidamente. A condurlo nelle gelide lande del Nord, le rivelò il Maestro Tybald, era stato il rinvenimento di un probabile sito di un antico insediamento dei Primi Uomini a poca distanza dall'Acqua Piangente.

    Vidya aveva, inizialmente, osservato i lavori a distanza, ascoltando i resoconti e commenti degli scavi, finché la curiosità aveva avuto la meglio su di lei e aveva pregato l’anziano mentore di intercedere in suo favore, convincendo il Maestro White a portarla con loro.

    La zona, una radura che si apriva nella fitta vegetazione del bosco ai piedi delle colline, era un punto di sosta noto ai viaggiatori che erano soliti usarlo da secoli per bivaccare. Un anello formato da una decina di tronchi di legno di quercia che emergevano dall'erba scura, come neri denti marci di una bocca spalancata in un grido verso il cielo.

    Al centro spuntava un tronco dalla circonferenza molto più ampia. Un tempo, le avevano spiegato, probabilmente le nodose radici sarebbero state visibili, rivolte verso l'alto come una spoglia chioma a formare un altare in legno.

    Il Maestro White si calò nella fossa che i novizi, dopo giorni di scavi, erano riusciti a creare intorno al tronco centrale ed iniziò il lento processo di ripulitura dal fango mentre Vidya, insieme al Maestro Tybald, si dedicò al setacciamento del terriccio estratto alla ricerca di reperti e residui di ogni tipo che potessero aiutare gli studiosi ad identificare gli autori e l’epoca di costruzione di quello strano sito.

    La presenza di una donna tra di loro aveva infastidito, e non poco, gli aspiranti Maestri. Inizialmente, li aveva uditi borbottare tra di loro sul fatto che queste importanti ricerche non fossero uno spettacolo per una nobile annoiata. Ma Vidya avea ignorato gli sguardi torvi che le rivolgevano e aveva deciso di dimostrare loro che ‘la nobile’ non era lì per capriccio o svago, partecipando attivamente agli scavi e tornando al Forte ogni sera con gli abiti altrettanto sporchi di terra - per l'orrore della Septa e disappunto di Bethany. E, sebbene continuassero ad essere perplessi e a disagio, dopo giorni di lavoro, avevano cominciato ad abituarsi.

    D’improvviso un’esclamazione di giubilo s’udì provenire dalla fossa.


    «Ah!»

    Vidya e il Maestro Tybald alzarono la testa di scatto, guardandosi incuriositi. Anche i novizi interruppero le loro occupazioni, posando scopini e affacciandosi dalle fosse minori scavate intorno ai tronchi della circonferenza esterna.

    «Lo sapevo!»

    «Trovato qualcosa d'interessante Maestro Wardell?» vociò Tybald facendosi avanti, e la giovane, ripulendosi velocemente le mani dal terriccio sulla gonna, lo seguì, sporgendosi oltre il bordo.

    L'altro anziano annuì energicamente. «Venite a vedere!»

    Ignorando le occhiatacce dei novizi, palesemente risentiti nel vedersi scavalcati, scesero nella fossa e si avvicinarono al tronco.

    La corteccia era ancora in gran parte ricoperta di terra ma le condizioni del fusto erano ottime, come se fosse stato interrato qualche anno prima e non secoli… o millenni fa. Per un attimo, Vidya, si chiese se non fosse davvero così e non ci fosse alcun valore storico in quello strano anello di monconi, se non quello di fornire comode sedute ai viandanti.

    «La torba ha conservato il tronco,» illustrò l’uomo, rispondendo inconsapevolmente ai suoi pensieri, quindi con un sorrisino trionfante, indicando un punto preciso del fusto, aggiunse: «e tutto ciò su di esso è stato inciso.»

    La giovane Bolton, inizialmente, non scorse nulla di diverso dal resto di quella superficie lignea. Poi le notò.

    «Rune» mormorò meravigliata. Non erano le prime che vedeva, ma quelle erano appena emerse dalla terra, direttamente dal passato. Tagli netti e profondi, alcuni ancora pieni di fango e a malapena distinguibili. Ad un’occhiata veloce potevano sembrare semplici segni del legno, confondersi con la ruvida e irregolare superficie, ma una volta individuate era ovvio non fossero di origine naturale.

    L'anziano annuì di nuovo, entusiasta. «Questo conferma le nostre ipotesi!»

    «É un sito dei Primi Uomini» si accodò il Maestro Tybald, altrettanto emozionato dal ritrovamento, intanto che l'altro riprendeva a studiare le antiche iscrizioni e a togliere terra dalle incisioni. «Non ci sono più dubbi a riguardo.»

    «Cosa c'è scritto?», chiese timidamente la giovane.

    L’anziano linguista continuò a ripulire il tronco e, prima di risponderle, gridò ai novizi fermi sul bordo della fossa di preparargli il necessario per un calco epigrafico. «Devo studiare meglio i caratteri» disse infine, puntando il dito su quattro di quei simboli, «ma riesco a riconoscere chiaramente la parola VATN, ovvero ‘acqua’.»

    Quella sera durante il viaggio di ritorno, e la frugale cena offerta dal Forte, la discussione si incentrò sull’importante scoperta e Vidya ascoltò avidamente il dibattito sulla possibile datazione di quelle rune.

    L’Antica Lingua, apprese, aveva subito un lungo processo evolutivo. L’idioma parlato dai Primi Uomini nelle loro terre d’origine era ben diverso da quello parlato dai loro discendenti millenni dopo a Westeros. Le rune stesse, con le loro incongruenze e lacune che tanto lasciavano perplessi gli studiosi da secoli, sembravano testimoniare le ultime fasi di quel graduale cambiamento.

    «La Lingua Comune, tuttavia, non è un’evoluzione dell’Antica Lingua. Quando gli Andali invasero il Continente Occidentale distrussero gran parte del tessuto culturale dei Primi Uomini, inclusa la lingua. » Il Maestro White prese l’ultimo cucchiaio di stufato di manzo e orzo e si pulì le labbra con un grosso tovagliolo. «Per un lungo periodo il Nord, non essendo stato conquistato, mantenne la propria indipendenza linguistica ma, con lo scorrere del tempo e l’incremento dei contatti con il Sud e i Regni degli Andali, fecero sì che anche oltre L’Incollatura venisse adottata la lingua andala. Un processo lento, ma inesorabile, che vide quest’ultima soppiantare completamente l’Antica Lingua, ormai in via d’estinzione.»

    Vidya lasciò spaziare lo sguardo lungo la Sala - atipicamente vivace - avvolta in una caliginosa atmosfera. Per quanto il Nord si vantasse di essere riuscito a respingere l’invasore, pensò amareggiata, la perdita della lingua testimoniava che c’erano altri modi per conquistare un popolo. E gli Andali vi erano riusciti.

    Quel che si sapeva dell’Antica Lingua, aveva continuato l’uomo, sorseggiando un grosso calice di vino speziato, veniva dalle traslitterazioni di antichi poemi per mano di pazienti studiosi e da quanto si era riuscito a mettere assieme ascoltando chi ancora la parlava nelle gelide lande del profondo Nord. Le raccontò dunque i pericolosi viaggi intrapresi negli anni alla Barriera alla ricerca di contatti con i Bruti - gli ultimi custodi di quel dimenticato idioma - e di come si fosse riusciti a risalire ad un vocabolario se non completo, abbastanza esteso.

    Una conoscenza, però, limitata ai pochi.

    «Che suono aveva l’Antica Lingua?» chiese la giovane, riportando lo sguardo sull'anziano sapiente.

    L'uomo si scambiò un’occhiata con il Maestro Tybald, che seduto a poca distanza da loro stava ascoltando la loro conversazione in silenzio, e si sistemò meglio sulla panca in modo da poterla guardare direttamente in volto.

    «Sól varp sunnan, sinni mána, hendi enni hægri of himinjǫður.» Cominciò, scandendo quei versi lentamente. «Sól þat né vissi, hvar hon sali átti; stjǫrnur þat né vissu, hvar þær staði áttu;máni þat né vissi,hvat hann megins átti.»

    Vidya lo ascoltò rapita. Era una lingua dai suoni aspri e duri, ma a suo modo musicale. «Cosa vuol dire?»

    «Con forza da sud il sole, compagno della luna, stese la mano destra verso l'orlo del cielo. Il sole non sapeva dov'era la sua casa; le stelle non sapevano di avere una dimora; la luna non sapeva qual era il suo potere.» Rispose l’uomo, recitando nuovamente i versi uno alla volta, seguiti dalla traduzione.

    «Sol fat ne vissi hvar hon…» ripetè la giovane nobildonna, cercando di imitarlo.

    «Sól -þat - né», la corresse il Maestro Wardell White. «L’Antica Lingua conta nove vocali - ed ognuna di esse può avere un suono lungo o corto. La o di hOn viene pronunciata come nella Lingua comune, mentre in Sól ha un suono prolungato: so:l. Stesso discorso per , che viene pronunciato allungando la e.»

    Sool that nee vissi hvar hon sali autti.

    «Sól þat né vissi, hvar hon sali átti» tentò nuovamente, facendo attenzione alla lunghezza delle vocali, e sorrise quando l’altro annuì soddisfatto dalla sua pronuncia.

    «Esattamente.» L’uomo prese un nuovo sorso dal calice e si lanciò in una breve infarinatura sulla fonetica dell’Antica Lingua. «Come vi ho detto poc’anzi l’Antica Lingua conta nove vocali: a e i o u che sono pronunciate come nella lingua comune e quindi y - pronunciata come una u molto chiusa.» Posizionò le labbra come se stesse per dire una o ed invece emise il suono u, quindi invitò Vidya a fare altrettanto. « æ, che ha un suono tra la a e la e; ǫ che si pronuncia come la o di cono, ma allungando il suono. E, infine, ø che si pronuncia disponendo la bocca come se fosse una “o”, ma pronunciando invece una “e”. Ogni singola vocale ha una forma prolungata, indicata nelle traslitterazioni con un accento acuto. L’unica eccezione è la a, che quando è accentata corrisponde al suono della 'o' nelle parole notte o sarò. Ad esempio, átti - ɔ:tti.»

    La giovane provò ogni vocale, cercando di imprimere nella mente quelle regole e abituare la sua bocca a pronunciare quelle strane lettere.

    «Le consonanti si pronunciano come nella lingua comune» continuò il Maestro, palesemente compiaciuto dall’attenzione e genuino coinvolgimento della fanciulla. Non tutti mostravano lo stesso interesse per i tecnicismi delle lingue, pretendendo venisse loro insegnate frasi da recitare, più che cercare di comprenderne la meccanica. « I casi particolari sono la F, che se preceduta da una vocale va pronunciata come una v. Ad esempio la parola ‘af’, che corrisponde alla proposizione da, diventa ‘av’. La R, che a fine parola viene pronunciata come una monovibrante retroflessa.» Le mostrò il suono pronunciando una erre molto calcata e vibrante. « Ci sono poi lettere che non compaiono nel nostro alfabeto: ð - pronunciato th, come una s con la lingua tra i denti e þ- simile ad una f sorda, ma senza contatto tra labbro inferiore e incisivi.»

    Ancora una volta Vidya ripeté ogni lettera e nuovo vocabolo pronunciato dall’uomo. Non le bastava impararne un paio, quella era la lingua dei suoi antenati voleva poterla padroneggiare.


    Eldr - fuoco. Vindr - vento. Haf - oceano. Vatn - acqua. Skagos - pietra. Heimr - casa. Úlfr - lupo.


    E, forse era suggestione, ma non le parvero suoni del tutto alieni - freddi e sconosciuti. Al contrario, le parve riscoprire il calore di parole dimenticate.


    Da quella sera le lezioni di Lingua Antica divennero un appuntamento fisso. Ogni momento libero, che fossero un paio di ore il pomeriggio di ritorno dagli scavi, o giornate intere quando la pioggia impediva ogni movimento e il Maestro era costretto a rimanere al Forte, venne dedicato al suo studio, approfondendone la grammatica e imparando sempre più parole ed espressioni.


    «Er ek geng, þat er í þeim skóm er ek valda» Vidya pronunciò con attenzione ogni parola, sentendo scivolare le lettere senza più intoppi fra le sue labbra e si soffermò a riflettere sul loro significato. Quando cammino è nelle scarpe che scelgo.

    Un’espressione idiomatica che il Maestro aveva utilizzato nel suo libro come esempio dei diversi significati della parola er. Un rivendicare il ruolo del libero arbitrio ad onta di chi vedeva la vita come una serie di percorsi prestabiliti e gli uomini sospinti da venti e forze al di fuori del loro controllo.

    Alzò lo sguardo dal volume e lo puntò sull’anziano che, seduto davanti a lei, era totalmente immerso insieme al Maestro Tybald nell’analisi del calco preso giorni prima. Gli scavi andavano avanti da settimane e nuovi oggetti erano stati trovati nel fango, aiutando gli studiosi a mettere insieme una teoria sullo scopo del sito. Poteva trattarsi di un luogo di sacrificio, con i corpi dei prescelti posizionati su quell’altare naturale; o essere un sito di antichi - e atipici per i Primi Uomini- riti funebri come la scarificazione dei cadaveri, in cui i corpi erano lasciati in balia degli elementi della natura e gli animali. La cosiddetta sepoltura celeste.

    Si alzò, prendendosi una pausa dal proprio studio, e li raggiunse. Il foglio di pergamena davanti a loro era pieno di scritte, prove di interpretazione dell’iscrizione presente sul tronco riportata in alto, al centro.

    ᚴᚱᚬᛏᚢᚱᛅᚾᛏᛁ ᚠᛅᛏᚾ



    D’un tratto l’anziano linguista annuì vigorosamente. «Gráturandi vatn!» Sottolineò una delle combinazioni vergate sul foglio e guardò il Maestro Tybald prima di girarsi brevemente verso di lei, rivolgendole un grosso sorriso con gli occhi che brillavano d’entusiasmo. «Acqua che piange...»

    «Acqua Piangente.» Vidya tornò a guardare quegli arcani simboli, affascinata. «Come sapete quale lettera collegare ad ogni runa?»

    L’uomo sospirò e si rilasciò contro lo schienale. «É proprio su questo che si incentrano gran parte dei dibattiti tra noi linguisti. L’Alfabeto runico è molto più giovane rispetto alla Lingua Antica, e si ipotizza che, ad un certo punto, ne esistesse uno più esteso che comprendesse ogni fonema, ma di cui non abbiamo che pochi indizi. I simboli giunti sino a noi sono di un alfabeto successivo, ridotto nei segni; il che rende la loro decifrazione molto complessa poiché ogni runa può indicare diverse lettere.» L’uomo prese la penna d’oca ed iniziò a scrivere su un altro pezzo di pergamena le rune conosciute.



    «Ognuna di esse ha un nome. La prima, ad esempio, è , che significa “bestiame”, e può essere utilizzato per rappresentare la ‘ricchezza’. É da questo che si è generata la convinzione che le rune fossero simboli. Ma in realtà queste associazioni sono un modo per ricordare le lettere e il loro ordine, utilizzando parole note che avessero come suono iniziale la lettera da rappresentare.» Iniziò dunque ad indicare, sotto ogni runa, non solo il significato associato ma anche le lettere. « può essere usata per indicare la F ma anche la V. Così come, la seconda, úr , viene utilizzata per trascrivere i suoni u / v / w / y / o / ø»

    Spiegato l’alfabeto runico nella sua interezza, scrisse delle parole, chiedendole di farne la traslitterazione in lingua comune usando come riferimento gli appunti da lui appena vergati.

    ᛘᛅᚴᚾᛅᚱ



    M ( a / æ / e ) ( k / g ) N ( a / æ / e ) R

    MAKNER
    MAGNER
    MA…

    «Magnar!» Esclamò, riconoscendo la parola. Era tra i vocaboli che il Maestro White le aveva fatto imparare a memoria. «Lord.»

    «Giusto. E questa?»

    ᚢᚼᚢ ᛏᛅᚴ ᚾᛅᚴ ᚴᚱᛅᚾ



    Vidya fece numerosi tentativi, provando diverse combinazioni, in difficoltà.

    «??H TAK NAK KRAN ?»

    L’uomo sorrise e scosse la testa. « WOH DAK NAG GRAN. La gente scoiattolo. É così che i Giganti chiamavano i Figli della Foresta.» Le spiegò quindi alcuni trucchi per ricostruire le parole quando la maggioranza delle rune presenti avevano molteplici significati. «Ora provate a fare il contrario, trascrivendo in rune: SYGERRIK.»

    Ingannatore. La giovane Bolton si concentrò, cercando di mettere in pratica i consigli dell’uomo e scegliere le giuste rune.

    ᛋᚢᚴᛁᚱᚱᛁᚴ



    «Così?» chiese alla fine, titubante.

    Il Maestro White annuì, soddisfatto, prima di metterla ulteriormente alla prova. «Adesso provate a scrivere la parola 'pietra' nell’Antica Lingua.»

    Vidya cercò di richiamare alla mente il termine poi, facendo attenzione nel copiare i simboli, vergò sulla pergamena:

    ᛋᚴᛅᚴᚬᛋ



    Avrebbe potuto prenderci la mano.




    Parole:2543


    9) Il cielo è l'unico limite= avete la possibilità (che è anche la ricompensa) di fare UN solo add della Cittadella insegnatovi da qualcuno di passaggio, rispettando le solite regole ed i soliti requisiti. Sono esclusi Alti Misteri.
34 replies since 4/8/2017
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